Il mercato

FAMAG, i giganti globali della tecnologia vanno oltre l’oligopolio digitale e spendono 80 miliardi in beni fisici nel 2017

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Facebook, Apple, Microsoft, Amazon e Google hanno cominciato a spendere grandi quantità di risorse finanziarie per acquistare attrezzature e impianti. I giganti dei bit si lanciano alla conquista dei beni capitali, stravolgendo le dinamiche concorrenziali del mercato.

Google è il grande motore di ricerca che più o meno tutti al mondo utilizzando per cercare in rete qualsiasi informazione. Un gigante tecnologico il cui regno è certamente virtuale. General Motors, al contrario, produce ogni anno milioni di automobili, il suo regno è fatto di materiali pesanti e migliaia di persone che assemblano pezzi.

Da un lato informazioni e bit, dall’altro bulloni e lamiere, solo che mentre General Motors fa questo da anni e continuerà a fare questo lavoro probabilmente per molto altro tempo, Google non si occupa solo di “nuvole”, ma anche di molte altre cose, grazie alla casa madre Alphabet.

Negli ultimi anni, questa divisione tra mondo del lavoro virtuale e fisico non ha più molto senso, da una parte perché la trasformazione digitale si sta integrando progressivamente a tutti i settori economici ed industriali esistenti, dall’altra perché le grandi aziende tecnologiche di rilievo mondiale hanno allargato sensibilmente il proprio raggio di azione.

Nell’ultimo anno, secondo un articolo apparso su Bloomberg, Facebook, Apple, Microsoft, Amazon e Google (le FAMAG) hanno speso complessivamente in “beni fisici, quindi infrastrutture fisiche, attrezzature e hardware, qualcosa come 80 miliardi di dollari.

Una montagna di risorse investite in materiali anche, in componenti per assemblare smartphone, tablet, smart tv, console per i videogiochi, apparecchiature per la realtà virtuale e la realtà aumentata, schermi di nuova generazione, ma anche cavi per le interconnessioni continentali (necessari tra l’altro per potenziare i flussi di dati, per garantire la massima definizione UHD dei video, per offrire servizi e applicazioni), datacenter e molto altro, tra cui l’aerospaziale, la manifattura, la produzione di automobili di nuova generazione, la sanità, l’istruzione/formazione, l’automazione, l’industria della robotica e del 4.0.

Un salto in avanti enorme, secondo l’articolo, che sta modificando rapidamente il mondo del lavoro e della produzione. Quando un’impresa di grandi dimensioni investe tali risorse in un settore è difficile che le altre concorrenti possano fare altrettanto per rimanere competitive.

Azioni del genere sbaragliano ogni concorrenza e soprattutto creano oligopoli sempre più forti.

Nel 2015 le FAMAG spendevano in beni fisici circa 40 miliardi di dollari tutte assieme. Praticamente in meno di tre anni hanno raddoppiato le risorse.

Quando Google spende miliardi l’anno per assicurarsi i migliori sensori laser per le automobili a guida autonoma più efficace e i chip più efficienti per i propri computer, è difficile pensare che ad esempio General Motors possa fare altrettanto, o meglio, che  lo possa fare anno dopo anno aumentando gli investimenti nella stessa misura di Big G.

Perché un altro problema è la capacità di reperire le risorse finanziarie necessarie per partecipare a questo gioco al rialzo.

Motivo per cui negli ultimi anni è evidente, secondo uno studio Credit Suisse, la corsa esasperata alla spesa in beni capitali da parte di tutte le grandi imprese americane: impianti, fabbriche, attrezzature, materiali, insomma tutto ciò che serve per tirare su una struttura produttiva, dal cacciavite alle strade di accesso, dall’illuminazione ai servizi, passando (visti i tempi) per i robot, i tablet e le soluzioni per la stampa 3D.

Quale sarà l’effetto globale di questi giganti digitali sull’economia reale? Se Google ed Apple, ad esempio, investono miliardi di dollari l’anno nell’automotive come potranno gli altri competitor stare al loro passo? Come si evolverà il mercato? Che ne sarà del mondo del lavoro? Che effetto avrà questa situazione sui prezzi dei beni? Sono queste le prime domande a cui bisogna dare una risposta nei prossimi anni per comprendere davvero da che parte va il mondo.