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‘Fake news? È più grave il passaggio da informazione a persuasione’. Intervista a Walter Quattrociocchi (IMT Lucca)

Oggigiorno sono tutti contro le bufale sul web, dai governi agli Over the top. “Invece, il vero problema è ‘la polarizzazione’ dei gruppi sui social network, che si realizza quando le persone non seguono i fatti ma le narrazioni, cercando conferme alle proprie idee e pregiudizi”. A parlare è Walter Quattrociocchi, responsabile del gruppo di ricercatori, del Laboratorio di Computational Social Science dell’IMT – Alti Studi di Lucca, autori della ricerca sulla disinformazione online. Secondo Quattrociocchi, “sui social la comunicazione si trasforma in persuasione e l’uso strumentale dell’informazione genera disinformazione digitale”.

Key4biz. In merito alle notizie scientifiche e ai post sulle teorie del complotto la ricerca cosa ha messo in evidenza?

Walter Quattrociocchi. Siamo partiti da questa domanda: perché si diffondono le notizie false? Così abbiamo organizzato un setting sperimentale in cui abbiamo confrontato la fruizione di informazioni più o meno verificate di cui si conoscono le fonti (autori, università) versus l’informazione complottistica, alternativa alla Scienza, al sistema, ossia quella “non ti dicono che…”

Dunque abbiamo osservato che su Facebook si stringono amicizie, e quindi si formano gruppi coesi, con persone che condividono gli stessi interessi: in psicologia è chiamato “Bias di conferma”. Questo fa sì che si generi il meccanismo della polarizzazione dei gruppi, in cui due o più persone che condividono la stessa visione tenderanno ad essere più estreme quando condividono post sull’argomenta che accomuna loro. A questo punto il passaggio verso la disinformazione è breve: siccome è in corso una narrazione condivisa si veicoleranno tutte le informazioni in linea con le proprie idee (anche palesemente false), ignorando tutto il resto.

Key4biz. Qual è la differenza tra fake news e disinformazione online?

Walter Quattrociocchi. Le Fake news sono una parte marginale del fenomeno, perché le notizie false restano comunque poche rispetto a tutto l’ecosistema sul web. Quello che spaventa è il sistema dell’informazione, in cui, oggi, il giornalista insegue la notizia che più si sposa con la personale visione del mondo, e la disintermediazione è un effetto a valle: attraverso quella notizia selezionata si va a rinforzare un determinato gruppo di persone che la pensano in quel modo.
Le fake news sono un problema collaterale: il vero problema è la “polarizzazione” dei gruppi di persone. Per esempio nelle campagne elettorali i social non cambiano le idee alle persone, al massimo spingono a votare chi è già incline verso un determinato partito o politico. In questo caso la comunicazione si trasforma in persuasione e l’uso strumentale dell’informazione genera disinformazione digitale. Per esempio quando si strumentalizzano situazioni complicate da spiegare, come i processi dietro la crisi finanziaria, si va per semplificazioni, si sceglie quindi, volutamente, non l’informazione ma la narrazione emotiva
per persuadere gli utenti, elettori, consumatori. Così l’informazione viene meno e nasce la disinformazione online.

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