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Facebook paga l’odio razziale, advertising boicottato negli USA: rischio crollo verticale per il 2020

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Organizzazioni per i diritti civili e democratici a capo di una rete di brand, aziende e multinazionali che si schierano apertamente contro razzismo, discorsi d’odio e violenza. Quando c’è in gioco l’immagine e i guadagni di un’impresa non c’è da scherzarci sopra. A rischio miliardi di dollari di investimenti.

Impedire che la piattaforma social sia utilizzata per dividere il Paese, per limitare il diritto di voto, per ridurre gli spazi di democrazia, per fomentare l’odio razziale e la violenza sociale: questo il messaggio che diversi brand, corporation e numerose aziende hanno rivolto a Facebook in questi giorni.

Si tratta del corpus centrale di richieste portate avanti dalla Stop Hate for Profit campaign, di cui fanno parte tanti attori sociali e civili impegnati da anni nelle lotte civili e politiche a sostegno delle minoranze etniche, soprattutto in queste settimane, dopo l’uccisione da parte della Polizia di George Floyd e le proteste anche violente scoppiate in diversi Stati subito dopo.

Facebook nel mirino delle associazioni antirazziste

Di questa rete, secondo quanto riportato da Nbcnews, fanno parte tante organizzazioni per i diritti civili e democratici, tra cui l’Anti-Defamation League (ADL), la National Association for the Advancement of Colored People (NAACP) e Common Sense, unite nella campagna per chiedere a Facebook e altri social di fare di più, molto di più di quanto fatto finora, per estirpare l’odio e il razzismo dalle sue pagine.

Una campagna a cui hanno aderito anche brand molto popolari come Eileen Fisher, Ben & Jerry (Gruppo Uniliver), Eddie Bauer, Patagonia, The North Face, Arc’teryx, multinazionali come Procter & Gamble, il celebre browser libero Mozilla Firefox, piattaforme web come Upwork, il magazine Modern Farmer e la casa di distribuzione cinematografica Magnolia Pictures (tra i suoi film distribuiti di maggior rilievo c’è il magnifico “I’m not your negro” di Raoul Peck).

The Stop Hate campaign accusa senza mezzi termini Facebook di chiudere un occhio o tutti e due in alcuni casi nei confronti dei contenuti razzisti e apertamente violenti e discriminatori nei confronti di chiunque sia “non bianco” (e generalmente “non eterosessuale”).

Un esempio su tutti l’infelice uscita del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, successiva ai fatti di Minneapolis (“Quando iniziano i saccheggi, si inizia a sparare”, quasi un invito del Presidente alla Polizia ad usare la forza estrema): bannata da Twitter, accettata da Facebook.

Un movimento che chiede a tutti gli investitori pubblicitari di ritirare le proprie campagne dai social network collusi con razzismo, odio, violenza e disinformazione/fake news.

Le richieste a Mark Zuckerberg

Tra le richieste presentate a Facebook c’è la creazione di un apposito canale di moderazione per chiunque ritenga di esser stato oggetto di discriminazione razziale, religiosa e sessuale; la massima trasparenza sui dati relativi alle pagine che propagandano i discorsi d’odio; un report aggiornato periodico sulle azioni messe in campo dal social network per il contrasto all’odio, la disinformazione e il razzismo.

Come ha spiegato bene David Kirkpatrick, fondatore di Techonomy: “Dalla sua nascita, Facebook non hai mai dovuto affrontare una pressione pubblica del genere”.

Quello che sta accadendo è qualcosa di assolutamente nuovo nel panorama economico e finanziario americano e mondiale: una rete di aziende e multinazionali guidata da gruppi sociali e civili indipendenti come ADL e NAACP in una campagna politica contro la rete sociale più grande del mondo”, ha precisato Kirkpatrick in occasione di una conferenza.

Il messaggio finale è che Facebook non dovrebbe prendere sotto gamba questa novità, perché stiamo parlando di brand e corporation, cioè entità finanziarie che farebbero di tutto per migliorare la propria immagine pubblica e far crescere i propri profitti.

Se l’opinione pubblica iniziasse a premiare certe prese di posizione a favore dei diritti civili e democratici potrebbero aprirsi tempi duri per i giganti del web come Facebook, Twitter & Co..

Il mercato advertising USA

Nel 2019 i ricavi advertising di Facebook crescevano del +26,1%, entro la fine dell’anno potrebbero non superare il +4,9%, secondo stime eMarketer, un vero e proprio crollo verticale sul mercato, una caduta storica.

Un campanello d’allarme che è già suonato insomma.

Risultato pessimo condiviso in parte anche da Google, che per la prima volta in tantissimi anni potrebbe registrare un segno negativo nel mercato advertising: -5,3% per il 2020, contro il +14,6% del 2019.

Anomalo anche l’andamento dei ricavi di Amazon sul mercato ads americano: +23,5% per quest’anno, contro il +39,4% del 2019.