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Facebook inizia ad alimentare la sua AI con foto private e non pubblicate

Meta sta espandendo la sua raccolta di dati per addestrare i modelli di AI includendo potenzialmente anche immagini non pubblicate presenti nei dispositivi degli utenti di Facebook. In passato, l’azienda ha fatto affidamento su miliardi di immagini caricate pubblicamente su Facebook e Instagram.

Ora, mediante la funzione ‘cloud processing’, alcuni utenti stanno ricevendo notifiche che li invitano ad attivare un’opzione che carica regolarmente contenuti dalla propria galleria fotografica sul cloud di Meta.

Questa scelta permette alla AI di analizzare le immagini inedite per generare contenuti personalizzati come collage, ricapitolazioni, o effetti AI su misura per eventi specifici.

Tuttavia, l’attivazione di questa funzione implica anche l’accettazione dei termini di utilizzo di Meta AI, che includono l’analisi automatica di caratteristiche facciali, dati temporali e riconoscimento di oggetti o persone nei contenuti.

Nonostante Meta abbia dichiarato a The Verge di non utilizzare attualmente queste foto per addestrare i propri modelli, ha evitato di chiarire se tale scenario possa verificarsi in futuro.

Questo solleva importanti interrogativi sulla gestione della privacy e sul consenso consapevole, soprattutto alla luce del fatto che l’azienda ha già ammesso di aver utilizzato tutti i contenuti pubblicati dal 2007 in poi per istruire i propri sistemi generativi.

L’ambiguità nel definire cosa sia “pubblico” e chi sia considerato un “utente adulto” in quegli anni alimenta ulteriori dubbi e preoccupazioni su possibili abusi e carenze normative.

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Le emissioni di Google aumentano del 51% a causa della domanda energetica dell’AI, ostacolando gli sforzi ecologici

Le emissioni di carbonio di Google sono aumentate del 51% rispetto al 2019, compromettendo in modo significativo il percorso dell’azienda verso la sostenibilità ambientale. Questo incremento è dovuto principalmente alla crescente richiesta di energia necessaria per l’addestramento e il funzionamento dei modelli di AI, che hanno causato un’espansione dei data center a livello globale.

Sebbene Google abbia investito in energia rinnovabile e tecnologie per la rimozione del carbonio, non è riuscita a contenere le cosiddette ‘emissioni scope 3’, che includono quelle legate alla catena di approvvigionamento e rappresentano la fetta più ampia del totale.

Secondo quanto riportato, il consumo elettrico di Google è cresciuto del 27% in un solo anno, mentre le previsioni per il 2026 indicano che i data center, alimentati in gran parte dall’AI, richiederanno una quantità di energia pari a quella consumata dal Giappone. Inoltre, si prevede che entro il 2030 rappresenteranno il 4,5% del consumo energetico globale.

La scarsità di progressi nell’adozione di tecnologie a basse emissioni di carbonio, come i reattori nucleari modulari (SMR), ostacola ulteriormente la decarbonizzazione dell’infrastruttura digitale.

Nonostante ciò, Google sostiene che l’AI potrebbe, nel lungo termine, contribuire positivamente alla riduzione delle emissioni globali, grazie ad applicazioni capaci di ottimizzare il consumo energetico e promuovere soluzioni ambientali.

L’obiettivo dichiarato è quello di ridurre 1 gigatonnellata di emissioni all’anno entro il 2030 attraverso strumenti AI. Tuttavia, le attuali proiezioni sollevano dubbi sulla sostenibilità di questo sviluppo, specialmente in assenza di incentivi regolatori e tecnologie scalabili.

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