Il caso

EntARTainment, ‘Game of Thrones’ fa il pieno di Emmy Awards

di Bruno Zambardino, Armando Maria Trotta |

‘Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori, io canto di chi agli Emmy non vinse mai così tanto!’, ecco come l’Ariosto avrebbe aperto questo l’articolo.

Al posto nostro, probabilmente, l’Ariosto avrebbe aperto così questo articolo e forse è giusto dare spazio al suo parlare pomposo, alla sua piana e deserta provincia ferrarese da affollare di mostri e gesta eroiche per parlare della nuova letteratura cavalleresca del nostro secolo, quella che va da Tolkien a Martin, da Jackson all’HBO.

La rubrica EntARTainment, ovvero libere riflessioni sull’economia dei media e della creatività tra nuovi linguaggi, mercati globali e moderne fruizioni. A cura di Bruno Zambardino Docente di Economia del Cinema e dello Spettacolo alla Sapienza e Direttore Osservatorio Media I-Com, in collaborazione con Armando Maria Trotta, autore cinematografico. Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.
Stiamo parlando dello straordinario successo riscosso ai Creative Arts Emmys della serie televisiva “Game of Thrones” creata da David Benioff e D.B. Weiss, tratta dai romanzi di George R.R. Martin e giunta alla sua quinta stagione.

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Ma non sono soltanto le ben dodici statuette a parlare (mai nessuna serie televisiva aveva vinto tanto) e neanche la distribuzione massiccia e capillare con la quale il fantasy più cruel del momento si è aggiudicato un altro posto d’onore nel Guinness World Record (il secondo episodio della quinta stagione è stato trasmesso simultaneamente in 173 paesi), bensì sono i fan a decretarne lo status di “caso sociale”.

Ricordate? Avevamo già parlato di “Romanzo d’appendice” e serialità televisiva ma in questo caso ci toccherà risalire alla radice del nostro DNA narrativo.

Si parta, dunque, dal basso medioevo, cioè quando si delineò la figura del cavaliere senza macchia e senza paura (modello per quasi tutti i personaggi della letteratura, della cinematografia e, più in generale, dello storytelling occidentale; dal cowboy solitario al sicario dall’animo nobile) e dai due cicli che ci hanno condotto, con la loro lenta ma inesorabile evoluzione, ad assistere alle lotte di potere delle famiglie di Westeros per il dominio sul trono di spade: parliamo del ciclo carolingio e del ciclo bretone.

Del primo, per intenderci, l’opera più illustre e significativa è certamente la “Chanson de Roland”, res gestae dei paladini di Carlo Magno (tra cui, ovviamente, Orlando) alla Battaglia di Roncisvalle. Pietra miliare della letteratura medievale francese che, come dicevamo, ha inciso molto sul nostro modo di raccontare. Tuttavia, semplificando un po’ le cose, potremmo dire che i cavalieri del ciclo carolingio sono fieri e valorosi, ma di donne non ne sentono neppure l’odore. Invece, nel ciclo bretone (quello di Re Artù, per intenderci) gli amori si sprecano e riempiono un mondo che sa come animarsi di elementi fantastici (pensiamo agli amori ed agli elementi magici che caratterizzano le vite di Uther Pendragon e Igraine, di Tristano e Isotta e finalmente di Lancillotto e Ginevra). Unisci le due tipologie e il gioco è fatto!

La nostra ricerca ci ha spinti fino al basso medioevo per comprendere in quale modo si siano strutturati i nostri gusti narrativi nel corso dei millenni (e abbiamo volutamente escluso buona parte di letteratura anteriore solo per ragioni di spazio). Tuttavia, per lungo tempo ci siamo lasciati il medioevo alle spalle ed abbiamo incarnato questi stessi caratteri e queste dinamiche in cavalieri moderni, con pistole al posto dello spadone e femme fatale al posto di angelicate cortigiane, il mago è stato sostituito dallo scienziato e la fantasia dalla fantascienza.

Come abbiamo fatto a tornare indietro? Opere come “Lord of the Rings” hanno contribuito a farci riscoprire visivamente il fascino di un certo tipo di cinema in costume, ma la cosa che ha più contribuito a decretare il successo di questo filone fantasy è certamente il “rispetto delle regole”.

Il film di Peter Jackson nasce da un’opera di cosiddetta mitopoiesi (dal greco “creazione del mito”), dalla raffigurazione di un mondo, delle sue leggende, di lingue ed argot inventati di sana pianta ma proposti come verità storiche. Tolkien è stato uno dei primi ad intuire che un’opera, per potersi elevare dallo status di semplice romanzo, ha il bisogno di poggiarsi su un intero universo, con dogmi e regolamenti che il lettore possa imparare ad amare nella loro complessa semplicità. Dalla terra di mezzo a Narnia il passo è breve, poiché anche C.S. Lewis è uno degli autori che della creazione del mito artefatto ne ha fatto un marchio di fabbrica fino ad arrivare a J. K. Rowling, l’autrice che ha insegnato al mondo che un “Patronus” è differente da un “Vingardium leviosa” attraverso le lezioni di magia impartite ad Hogwarts al maghetto più popolare tra i babbani.

Insomma, nel fantasy lo spettatore cerca un’evasione dal proprio mondo, non un’incursione momentanea in un’altra storia: il Trono di Spade offre esattamente questo tipo di viaggio. Non importa chi tu sia, verrai rapito da un mondo che imparerai a conoscere e decodificare, proprio come fai con il tuo, perché utilizza gli stessi archetipi, e ti proporremo centinaia e centinaia di personaggi con i quali poterti confrontare ed immedesimare. Una volta nella rete non potrai più uscirne poiché sentirai di appartenere a qualcosa e questo qualcosa è esattamente ciò che, alla radice, li ha condotti a vincere dodici Emmy!