Lo studio

Energy citizens: energia fai-da-te per 2 italiani su 5 nel 2050

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Entro il 2050 la metà dei cittadini europei sarà in grado di generare e gestire energia elettrica in maniera autonoma. Un nuovo processo virtuoso che sfrutta le fonti energetiche rinnovabili e favorisce il raggiungimento degli obiettivi Ue in materia di decarbonizzazione dell'economia e di taglio drastico delle emissioni di CO2.

Gli obiettivi dell’Unione europea per il 2050 sono chiari: ridurre le emissioni di CO2 dell’80% rispetto ai livelli del 1990 e procedere con la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio (low carbon economy).

Il settore energetico presenta il maggior potenziale di riduzione delle emissioni, con la possibilità di eliminarle quasi totalmente entro il 2050. L’energia elettrica generata da fonti rinnovabili potrebbe sostituire progressivamente i combustibili fossili nei trasporti e per il riscaldamento.

Per effettuare la transizione l’UE dovrebbe investire altri 270 miliardi di euro da spalmare sui prossimi 40 anni (o, in media, l’1,5% del PIL all’anno).

In tale contesto va inserito il report scientifico “The Potential for Energy Citizens in the European Union”, redatto dall’istituto di ricerca ambientale CE Delft per conto di Greenpeace, Federazione Europea per le Energie Rinnovabili (EREF), Friends of the Earth Europe e REScoop.eu.

Secondo tale studio, entro il 2050 La metà dei cittadini dell’Unione europea, circa 264 milioni di persone, i futuri energy citizens, potrebbe autoprodurre energia elettrica in maniera autonoma e da fonti rinnovabili, soddisfacendo così il 45 per cento della domanda di energia dell’Ue.

Analizzando i risultati relativi all’Italia, si prevede che nel 2050 2 italiani su 5 contribuiranno alla produzione di energia. Si potrebbe arrivare così, entro questo anno, a produrre il 34 per cento del totale dell’elettricità grazie alle fonti rinnovabili distribuite. In particolare, in relazione alla suddivisione tra categorie, il 25 per cento degli energy citizens saranno piccole e medie imprese, mentre il contributo più importante arriverà dagli impianti domestici e dalle cooperative, entrambe con un impatto del 37 per cento. Il restante 1 per cento sarà legato agli enti pubblici.

Un buon dato per il nostro Paese, che però deve fare i conti con politiche energetiche che nell’immediato sembrano andare contro tale prospettiva, con provvedimenti che, secondo il Rapporto, stanno disincentivando il consumo e la produzione di energia da fonti rinnovabili. Se infatti nel 2012 erano entrati in esercizio quasi 150 mila nuovi impianti fotovoltaici, nel 2014 – anno di insediamento del governo Renzi – i nuovi impianti entrati in esercizio sono stati appena 722. Un crollo che rispecchia la scarsa appetibilità dell’Italia per gli investitori, causata dall’incertezza normativa che regna sovrana da anni in tema di energie rinnovabili più che dalla mancanza di incentivi.

In questo processo di transizione verso la smart economy e la smart energy, al vecchio modello centralizzato dominato dalle grandi aziende subentrerà il modello dei cosiddetti energy citizens, individui o famiglie che producono energia e ne gestiscono la domanda e i consumi in maniera flessibile. Una massa critica di prosumer che potrebbe generare già 611 Twh di elettricità nel 2030 e 1557 Twh nel 2050.

In termini percentuali, nel 2030 la produzione domestica potrebbe soddisfare il 19 per cento della domanda di elettricità nell’Ue, percentuale che salirebbe al 45 per cento nel 2050. Sarebbe un contributo significativo per raggiungere gli obiettivi che l’Unione Europea si è prefissata per il 2030 in tema di rinnovabili. Un passaggio fondamentale per puntare a un sistema energetico 100 per cento rinnovabile.