I dati

Energia, agli italiani costa il 18% in più del resto d’Europa

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“Una tassa da 68 miliardi di euro che ogni anno esce dalle tasche degli italiani ed entra in quelle dei produttori di combustibili fossili”. Anche gli incentivi alle rinnovabili contribuiscono da noi all’aumento del costo dell’elettricità, mentre il gas lo paghiamo fino al 36% in più.

La nostra economia è fortemente dipendente dai combustibili fossili. Recenti dati Eurostat hanno evidenziato che il contributo delle fonti fossili alla domanda complessiva di energia è sensibilmente calato dal 94% del 1990 all’81% del 2015, mentre la percentuale di combustibili fossili importati è lievemente aumentata (dall’88% al 91%).

I sussidi alle fonti fossili sotto forma di esenzioni fiscali e agevolazioni ammontano in Italia ad oltre 5,3 miliardi di euro annui. Se si calcolassero anche i danni prodotti all’ambiente e alla salute, si legge in una nota Avvenia, si arriverebbe ad un aggravio pari a 50 miliardi di euro annui.

La produzione elettrica lorda da fonti rinnovabili è passata da 34,9 TWh nel 1990 a 108,9 TWh nel 2015, con un incremento particolarmente sostenuto dal 2008 fino al 2014 e una riduzione negli ultimi anni.

Storicamente l’aumento dell’efficienza energetica e tecnologica nel settore termoelettrico e il conseguente impiego di combustibili a minore contenuto di carbonio, si legge in un Rapporto dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), hanno avuto un ruolo determinante nella diminuzione delle emissioni di CO2, ma a partire dal 2007 l’apporto delle fonti rinnovabili assume una dimensione rilevante, con un contributo alla riduzione delle emissioni atmosferiche superiore a quanto registrato per le altre componenti.

Ogni anno in Italia il costo dell’energia (elettricità, gas, benzina e diesel) aumenta del 12%, stando ai dati diffusi da Avvenia. Dopo l’aumento del 4,7% del gas a gennaio, questo mese aumenta del 2,9% la bolletta della luce: “una tassa da 68 miliardi di euro che ogni anno esce dalle tasche degli italiani ed entra in quelle dei produttori di combustibili fossili”.

I consumatori italiani, inoltre, pagano il 18% in più rispetto alla media europea. “Colpa della nostra dipendenza dai combustibili fossili: l’84% contro una media europea del 52%”, ha puntualizzato Giorgio Mottironi, Chief Strategic Officer di Avvenia.

La strada è quindi quella della massima efficienza energetica. Secondo uno studio McKinsey su scala globale, riportato in un articolo su La Repubblica di fine marzo, l’innovazione tecnologica e digitale in atto ha permesso di ottenere un gigantesco risparmio di risorse e di taglio di costi a favore delle imprese, con una stima che va dai 900 ai 1.600 miliardi nei prossimi 20 anni.

Gli investimenti complessivi dell’industria italiana per l’efficienza energetica nel 2015 ammontano a 5,63 miliardi, e più della metà sono stati destinati agli interventi per la casa e l’edilizia (circa il 53 per cento del totale).

Sempre secondo una stima elaborata da McKinsey per Affari&Finanza di La Repubblica, al 2030 si potrebbe raggiungere un obiettivo minimo di un altro 20-25% di risparmi.

Ovviamente, si fa molto affidamento da un lato sulla trasformazione digitale, dall’altro sulla diffusione delle fonti rinnovabili che al 2030 “potrebbero coprire il 60 per cento della domanda elettrica e che, se combinate in maniera ottimale con l’efficienza energetica, “potrebbero portare a un’ulteriore riduzione delle emissioni di CO2 tra il 35 e il 40 per cento rispetto a oggi”.

Il problema, però, ci ricorda Avvenia, è che in Italia “gli incentivi alle fonti rinnovabili nell’ultimo decennio hanno pesato per circa un terzo dell’aumento del prezzo del chilowattora elettrico di una famiglia”.

A cui va aggiunto il fatto che il prezzo del gas naturale “è dal 25% al 36% più alto della media europea”.

Con la sola eliminazione di questo divario, spiega l’azienda, “il risparmio ammonterebbe a 5 miliardi di euro l’anno, pari a circa 350 euro per ogni famiglia”.

Giusto per fare un paio di esempi di politica energetica virtuosa, vale la pena ricordare che la Danimarca ha ridotto la sua dipendenza dai combustibili fossili di quasi un quarto (nel 1990, infatti, il 91% dell’energia consumata veniva da fonti fossili, dato sceso al 69% nel 2015), mentre la Svezia ha stabilito che i combustibili fossili non possono incidere più del 30% sul costo dei consumi finali (anche per il rilevante contributo del nucleare, lì considerato fonte rinnovabile).