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Emergenza chip, causerà all’industria globale dell’auto perdite per 100 miliardi di dollari nel 2021

Per realizzare un’automobile elettrica ci vogliono in media circa 3.500 chip (1.400 più o meno per un’auto tradizionale), per un valore approssimativo superiore ai 1.000 dollari, secondo stime della U.S. International Trade Commission.

Questo per capire quanto siano importanti questi prodotti e la continuità nella fornitura a livello globale per consentire all’industria automotive di provvedere a soddisfare il fabbisogno lungo tutta la catena del valore.

Purtroppo, prima con la pandemia di Covid-19 e le severe misure restrittive per il contenimento dei contagi, poi con gli squilibri (sempre legati al virus) che hanno modificato il sistema di approvvigionamento mondiale, la disponibilità di chip è andata via via diminuendo.

“Chip shortage”, quando ci costi?

Più si procede con l’innovazione tecnologica integrata ai nuovi modelli di veicoli pensati per un mondo più pulito e a basso o bassissimo impatto ambientale, magari connessi in rete ed automatizzati (in attesa delle prime auto a guida autonoma di livello 4 o magari 5), maggiore sarà il numero di chip necessari per la loro realizzazione (senza contare il loro impiego nel settore dell’elettronica).

Ad oggi, a causa della carenza di chip e della difficoltà di approvvigionamento, l’industria automotive potrebbe arrivare a perdere tra i 90 ed i 110 miliardi di dollari entro la fine del 2021, secondo stime pubblicate da AlixPartners.

All’inizio dell’anno le previsioni erano meno negative, con un costo dovuto al “chip shortage” che non avrebbe superato i 60 miliardi di dollari a fine anno, ma col passare dei mesi la stima è peggiorata in termini di danno economico al settore.

In totale, a gennaio si era calcolato un taglio della produzione in 2,2 milioni di automobili in meno, rispetto alle previsioni del trimestre precedente, ma ora il dato è peggiorato, arrivando ad ipotizzare 4 milioni di veicoli in meno sul mercato auto entro la fine del 2021, a causa della difficoltà di approvvigionamento da parte dell’industria nel suo complesso.

La produzione di chip è sostanzialmente in mano alla Cina (25% circa del mercato mondiale), seguita da Taiwan (21%) e Cora del Sud (19%), stando ai dati diffusi da BCG.

La guerra mondiale dei chip

Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno imposto una serie di sanzioni sempre più severe contro la loro superpotenza rivale, la Cina. Seguendo la linea ufficiale del governo americano, questa è stata una scelta obbligata, dovuta al fatto che la produzione di chip in Cina avrebbe principalmente scopi militari.

Tuttavia, a causa dell’interconnessione del commercio globale e della dipendenza di molte nazioni dalla Cina, principalmente per la produzione di tecnologia a prezzi accessibili, l’aspra misura ha creato rilevanti problemi di approvvigionamento per molti Paesi ad industria avanzata.

Poiché il mercato globale dei chip dipende sempre più dall’Asia, mentre gli Stati Uniti e altri Paesi stanno cercando solo ora di prendere in mano la situazione, attualmente, in pochissimi hanno reali capacità di produzione per soddisfare l’elevata domanda globale.

Con o senza la pandemia, l’impressione è che l’intensificarsi della guerra commerciali tra Stati Uniti e Cina avrebbe comunque comportato una carenza globale di chip.

L’azione dell’Europa

Per questo, La Commissione europea ha avviato a maggio un’alleanza di ampio respiro fra grossi gruppi industriali e mondo della ricerca per creare la filiera futura dei semiconduttori europei. La dipendenza del Vecchio Continente dalle forniture asiatiche, soprattutto da Taiwan, di microchip è peggiorata durante la pandemia in seguito alle sanzioni americane nei confronti della Cina. Le linee produttive di molti stabilimenti automobilistici in Europa sono ferme per la mancanza di chip.

Dotarci della capacità di essere meno vulnerabili e più indipendenti ci permetterà di creare in seguito delle condizioni di partenariati equilibrati e di mantenere la catena di approvvigionamento della nostra industria, compreso in periodo di crisi e di tensioni”, ha dichiarato il commissario al Mercato Interno, Thierry Breton. “Oggi – ha aggiunto Breton – sosteniamo già il settore dei semiconduttori con circa 5 miliardi di euro di soldi pubblici e privati investiti nella ricerca e 8 miliardi di euro nello sviluppo attraverso un primo Pieec (progetto importante di interesse europeo comune)”.

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