Finestra sul mondo

Elezioni francesi, Disastro May, Guardiola difende la catalogna, Usa snobbano G7 clima di Bologna, G20 e Africa

di Agenzia Nova |

Poteri, economia, finanza e geopolitica nelle ultime 24 ore

Finestra sul mondo è una rubrica quotidiana con le notizie internazionali di Agenzia Nova pubblicate in collaborazione con Key4biz. Poteri, economia, finanza, lette in chiave di interdipendenza con un occhio alla geopolitica. Per consultare i numeri precedenti, clicca qui.

Usa, i procuratori generali di Dc e Maryland intenteranno causa al presidente Trump

12 giu 11:31 – (Agenzia Nova) – I procuratori generali del District of Columbia e dello Stato del Maryland intenteranno causa al presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che accusano di aver violato le clausole anti-corruzione previste dalla Costituzione. Lo riferisce la “Washington Post”, che ha ricevuto in esclusiva l’annuncio dai due funzionari. Trump, sostengono i due procuratori, avrebbe accettato milioni di dollari in contributi e donazioni private da governi stranieri dopo il suo insediamento alla Casa Bianca. La causa, che dovrebbe essere depositata nella giornata di oggi, e’ la prima nel suo genere, e fa leva sul fatto che il presidente abbia mantenuto la proprieta’ nominale della sua azienda, la Trump Organization, pur avendo rinunciato a qualunque posizione dirigenziale effettiva. Lo scorso gennaio, alla vigilia del suo insediamento alla Casa Bianca, Trump ha annunciato il trasferimento di tutti gli asset di sua proprieta’ ad un fondo fiduciario gestito dai suoi figli, cosi’ da eliminare potenziali conflitti di interessi. I procuratori Karl A. Racine e Brian Frosh, entrambi democratici, sostengono pero’ che il presidente abbia violato diverse degli impegni formulati prima del suo insediamento per separare i suoi doveri pubblici e i suoi interessi privati, ad esempio ricevendo aggiornamenti in merito allo stato delle finanze della sua compagnia. Se un giudice federale accogliera’ il caso, per Trump si aprira’ un nuovo campo minato giudiziario, che rendera’ ancora piu’ ardua l’azione della sua amministrazione presidenziale, gia’ alle prese con l’inestricabile scandalo “Russiagate”. Proprio sul fronte degli ipotetici contatti tra la campagna del presidente e la Russia, la “Washington Post” e il “New York Times” rilanciano le accuse dopo la testimonianza dell’ex direttore dell’Fbi James Comey, che non ha rivelato alcuna “pistola fumante” a carico dell’inquilino della Casa Bianca. I due quotidiani danno voce all’ex procuratore di New York, Preet Bharara, licenziato dalla Casa Bianca lo scorso marzo dopo aver rifiutato di rassegnare le dimissioni, in aperta polemica col presidente. Proprio lo scorso marzo l’amministrazione Trump aveva infatti chiesto e ottenuto le dimissioni di tutti e 46 i procuratori nominati dall’ex presidente Obama; una pratica comune da parte dei presidenti neoeletti, ma che era comunque valsa all’attuale presidente feroci critiche da parte di chi gia’ lo accusava di collusione con la Russia, e dunque di non aver conquistato legittimamente la presidenza. Bharara era stato l’unico dei 46 procuratori a opporsi alla richiesta di dimissioni, montando di li’ innanzi una battaglia pubblica con l’amministrazione presidenziale in carica. L’ex procuratore e’ tra quanti sostengono che Trump sia indubbiamente colpevole di ostruzione della giustizia per aver auspicato la fine delle indagini dell’Fbi a carico dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn. Ieri Bharara ha accusato Trump, con tre mesi di ritardo, di aver tentato di garantirsi la sua lealta’ prima di licenziarlo. In sostanza, l’ex procuratore accusa il presidente di averlo “avvicinato” impropriamente proprio come Trump avrebbe fatto con Comey. “Quando ho letto le storie di come il presidente abbia contatto personalmente Jim Comey, ho avvertito una sorta di deja vu”, ha dichiarato l’ex procuratore alla Abc. Quanto a Trump, ieri si e’ scagliato contro i media con una nuova serie di Tweet, rivendicando i risultati economici del suo governo taciuti dai mezzi d’informazione: gli indici di borsa ai massimi, la disoccupazione al 4,3 per cento e i 501 mila posti di lavoro creati dal settore privato sin dal suo insediamento alla Casa Bianca. Trump ha anche attaccato Comey, che ha ammesso pubblicamente di aver trasmesso informazioni in forma anonima alla stampa “Del tutto illegale? Sicuramente molto codardo”, ha scritto il presidente in merito alla condotta dell’ex direttore dell’Fbi.

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Francia, Macron in marcia verso una maggioranza schiacciante

12 giu 11:31 – (Agenzia Nova) – Il Partito del neo presidente francese Emmanuel Macron, La Republique en Marche (Lrem; “La Repubblica in Marcia”; ndr), ha dominato i primo turno delle elezioni che si e’ tenuto in Francia ieri domenica 11 giugno: secondo le proiezioni fatte dalla societa’ di rilevazioni statistiche Kantar Sofres per il quotidiano “Le Figaro”, al secondo turno di ballottaggio domenica prossima 18 giugno Lrem potrebbe conquistare una schiacciante maggioranza parlamentare ottenendo dai 400 ai 440 seggi nell’Assemblea Nazionale, che conta 577 deputati; ha ottenuto il 32,32 per cento dei suffragi, distanziando nettamente il centrodestra che ha raccolto il 21,6 per cento tra candidati de I Repubblicani (LR) e dell’Udi. Il Front national si e’ fermato al 13,2 per cento: poco piu’ della meta’ del risultato raggiunto da Marine Le Pen al primo turno delle elezioni presidenziali il 23 aprile scorso; e due volte e mezza meno di quanto la leader frontista aveva raccolto al ballottaggio presidenziale perso il 7 maggio contro Macron. Sconfitta catastrofica per il Partito socialista (Ps), le cui liste insieme agli ambientalisti di Europa ecologia – I verdi (EeLv) ed al Partito radicale di sinistra (Prg) ottengono in totale il 13,2 per cento dei voti; il Ps ed i suoi alleati vedranno la propria rappresentanza parlamentare letteralmente decimata: degli attuali 302 deputati, appena una trentina hanno qualche speranza di essere rieletti. Arretra anche il cartello di estrema sinistra della “France insoumise” (FI, “Francia non-sottomessa”; ndr): al primo turno presidenziale il suo candidato Jean-Luc Me’lenchon aveva raggiunto il 19,1 per cento dei suffragi, ora raccoglie solo l’11 per cento, che si tradurra’ in 8-10 deputati. Per loro l’unica consolazione e’ che FI ha superato il Ps e che, se si contassero anche i suffragi raccolti dal Partito comunista (Pcf, alleato alle presidenziali ma separato in queste parlamentari), la sinistra francese e’ spaccata esattamente a meta’ tra estrema sinistra e socialdemocrazia. Per il presidente Macron dunque e’ una vittoria storica, macchiata tuttavia da un altissimo livello di astensione dal voto: si sono recati alle urne solo il 48,71 per cento degli aventi diritto al voto, gli elettori astenuti sono stati il 51,29 per cento; un’astensione record per la Quinta Repubblica francese, un campanello di allarme della disaffezione dei francesi per la politica a cui la squadra di Macron e del suo primo ministro Edouard Philippe devono prestare la massima attenzione.

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Regno Unito, il Labour di Corbyn per la prima volta in testa nei sondaggi

12 giu 11:31 – (Agenzia Nova) – Per la prima volta da quando e’ guidato da Jeremy Corbyn, un sondaggio, effettuato da Survation, da’ il Labour del Regno Unito in vantaggio sul Partito conservatore, di sei punti percentuali: 45 contro 39. Un trionfante Corbyn, in un’intervista al quotidiano “The Independent” e in un intervento nel programma televisivo della Bbc “The Andrew Marr Show”, ha spiegato il suo positivo risultato elettorale come un’affermazione della speranza, dovuta soprattutto alla partecipazione dei giovani, e ha avanzato l’ipotesi che si torni a votare per superare lo stallo parlamentare. “Penso che sia possibile che ci sia un’elezione prima della fine dell’anno o l’anno prossimo, e sarebbe una cosa buona perche’ non si puo’ andare avanti con una fase di grande instabilita’”, ha dichiarato. “Abbiamo un programma, abbiamo i consensi e siamo pronti a combattere un’altra campagna elettorale non appena ci sara’. Perche’ vogliamo poter servire il popolo di questo paese”, ha aggiunto. L’ipotesi di un governo laborista e’ ammissibile secondo il commentatore Sean O’Grady. A suo parere, Corbyn potrebbe diventare primo ministro con sei mosse. Innanzitutto dovrebbe chiamare alcuni dei suoi critici – come Hilary Benn, Yvette Cooper, Liz Kendall e Owen Smith – e dare loro un ruolo nel partito. Quindi dovrebbe aspettare il momento giusto per colpire la premier, Theresa May: appena fosse gia’ a terra (“lei farebbe altrettanto”). Quindi dovrebbe rispondere all’apertura di Nicola Sturgeon, leader del Partito nazionale scozzese (Snp) e prima ministra della Scozia, ricordando che in questo momento e’ in difficolta’. E’ importante, poi, ottenere un po’ di sostegno dalle imprese, ascoltando le loro richieste: disprezzano Corbyn, ma temono di piu’ la Brexit. Il programma di governo potrebbe essere riordinato, con una limatura di alcune parti. Infine, nel corso dell’estate Corbyn dovra’ tenere alta la motivazione e spingere ulteriormente sulla partecipazione dei giovani.

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Francia, le elezioni parlamentari confermano la crisi del regime

12 giu 11:31 – (Agenzia Nova) – Il primo turno delle elezioni parlamentari svolto in Francia ieri domenica 11 giugno ha mostrato che il sistema dei partiti e’ morto e sotterrato, ma quel che ne ha preso il posto e’ in realta’ un tentativo di restaurazione del regime della Quinta Repubblica in difficolta’ dopo la crisi finanziaria del 2008: e’ quanto sostiene il politologo Gael Brustier sul quotidiano di sinistra “Libe’ration”. Lo scrutinio legislativo, che si concludera’ domenica prima 18 giugno con il secondo turno di ballottaggio, sta certificando la morte dei partiti che hanno dominato la scena politica francese negli ultimi trent’anni; ma a sostituire la destra “classica” ed il Partito socialista non e’ una formazione politica nuova, bensi’ un altro personale politico le cui fondamenta ideologiche sono tuttavia le stesse del recente passato. Insomma, sostiene Gael Brustier, cambiano i volti ma non l’impostazione: il neo presidente Emmanuel Macron ha come compito e obbiettivo quello di puntellare un regime politico che ha perso la fiducia di una gran parte dei cittadini. Lo dimostra il fatto che il partito di Macron, La republlique en Marche (Lrem; “La Repubblica in Marcia”; ndr) e’ per buona parte costituito da esponenti politici provenienti dai due partiti storici di destra e di sinistra: una caratterizzazione che non viene smentita dalla presenza di numerose personalita’ espresse dalla cosiddetta “societa’ civile”, perche’ si tratta di persone che condividono l’ideologia vigente, cosiddetta “repubblicana”. Lrem secondo il politologo Brustier e’ una formazione costruita a tavolino, piu’ che un vero partito politico e’ un cartello elettorale, un partito-aziende per certi versi simile a Forza Italia di Silvio Berlusconi nel 1994: la sua vittoria e’ resa possibile dal calendario elettorale francese, che vede le elezioni parlamentari seguire e confermare quelle presidenziali svoltesi tra aprile e maggio; in sostanza e’ stato pensato per rafforzare l’esecutivo Macron contando sulla smobilitazione di tutta quella parte di elettorato che non condivide piu’ l’ideologia del regime repubblicano corrente. Si presenta come una forza che ambisce a mostrare l’unita’ nazionale di tutti i francesi aldila’ delle tradizionali divisioni ideologiche; ma in realta’, scrive Bustier, vince solo perche’ e’ aumentato il divorzio tra una buona meta’ del paese ed il regime politico che lo governa: la conferma e’ che il 50 per cento degli elettori semplicemente non e’ andata a votare. Il risultato per il momento rafforzera’ la maggioranza presidenziale, ma queste elezioni parlamentari non fanno che confermare che la situazione politica ed ideologica della Francia e’ estremamente “magmatica”. Il rischio e’ che da essa possano scaturire spettacolari rivolgimenti nel corso del quinquennato di Macron; e nulla, conclude l’intervento su “Libe’ration”, fa pensare che possano essere necessariamente positivi.

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L’appello di Guardiola al mondo, “difendiamo la Catalonga dallo Stato autoritario spagnolo”

12 giu 11:31 – (Agenzia Nova) – “I catalani sono vittime di uno Stato che ha messo in moto una persecuzione politica non propria di una democrazia nell’Europa del XXI secolo”. E’ stato l’allenatore del Manchester City Pep Guardiola, gia’ eroe della panchina del Barcellona e a lungo titolare nella nazionale spagnola, il protagonista mediatico della manifestazione convocata domenica dagli indipendentisti catalani per lanciare il referendum sulla separazione dal resto della penisola. Un appuntamento fissato per il prossimo 1 ottobre ma che Madrid non intende far celebrare, perche’ contrario alla Costituzione. Guardiola – un passato anche tra Roma e Brescia, in Serie A -, ha letto una dichiarazione nella quale si chiamano “tutti i democratici dell’Europa e del mondo ad appoggiarci nella difesa dei diritti oggi minacciati in Catalogna” e ad affrontare uno Stato autoritario. Per Pep lo Stato spagnolo porta avanti una “minaccia” che “colpisce tutti i democratici”, tra cui i funzionari pubblici “e gli imprenditori che si vedono pressati dalla procura e dalla polizia giudiziaria. Il governo centrale ha avvertito dipendenti pubblici e imprenditori delle possibili conseguenze in cui possono incorrere nel caso favoriscano la convocazione illegale in qualsiasi modo, dall’allestimento dei seggi alla verifica dei registri elettorali alla produzione del materiale referendario. Il discorso di Guardiola rimarra’ come “un esempio di infamia politica e di insulto al resto dei cittadini spagnoli”, scrive oggi il quotidiano “El Mundo” in un editoriale senza appello: “la dismisura, il ricorso alla delegittimazione e l’aggressivita’ delle parole di Guardiola” prosegue il testo, “dimostrano l’animo di rottura unilaterale” di Barcellona. Per il quotidiano “Abc”, definire “autoritario” lo Stato spagnolo e’ “una affermazione curiosa, se si tiene conto che Guardiola ha definito il Qatar”, dove ha giocato per due stagioni, “un paese ‘aperto’ e ‘occidentale'”. Critiche sono arrivate un po’ dappertutto, come testimonia il quotidiano “La Vanguardia” in una rassegna dei tweet piu’ rilanciati. C’e’ il presidente del Partido popular catalano che ricorda al centrocampista i lauti compensi presi quando giocava con le “furie rosse” e il segretario dei centristi di Ciudadans, Albert Rivera che si attende una pronuncia contro lo Stato autoritario della Germania, visto che il tribunale costituzionale tedesco ha bocciato una analoga iniziativa referendaria della Baviera.

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Regno Unito, May alla resa dei conti col suo Partito conservatore dopo il disastroso risultato elettorale

12 giu 11:31 – (Agenzia Nova) – La premier del Regno Unito, Theresa May, riferisce il “Financial Times”, affrontera’ oggi la resa dei conti con i neoeletti deputati conservatori, nel disperato tentativo di mantenere la sua posizione dopo le elezioni anticipate della scorsa settimana, nelle quali ha perso la maggioranza assoluta. George Osborne, figura di spicco dei Tory, ex cancelliere dello Scacchiere e direttore del quotidiano “Evening Standard”, l’ha definita “una morta che cammina”. Diversi segnali inducono a pensare a una ripresa della guerra civile all’interno del Partito conservatore sulla politica europea. Intanto, May continua a trattare col Partito unionista democratico (Dup) dell’Irlanda del Nord, che dispone di dieci seggi alla Camera dei Comuni, utili ad arrivare a una risicata maggioranza (di due seggi); l’accordo sembrava cosa fatta, invece non e’ ancora stato concluso. May ha ribadito di voler andare avanti col suo lavoro. Nella stessa direzione le dichiarazioni di questa mattina del segretario per l’Uscita dall’Unione Europea, David Davis, che ha tentato di difendere la Brexit “dura” sostenendo che i due partiti maggiori, Tory e Labour, hanno entrambi preso posizione nella campagna elettorale per l’uscita dal mercato unico e per il controllo dell’immigrazione. Il segretario agli Esteri, Boris Johnson, ha negato di voler prendere il posto della premier. May ha apportato pochi cambiamenti alla sua squadra: la prevista estromissione del cancelliere dello Scacchiere, Philip Hammond, non c’e’ stata; Michael Gove torna come segretario all’Ambiente; la nomina piu’ rilevante, tuttavia, e’ quella dell’europeista Damian Green come primo segretario di Stato. Le scelte fatte, soprattutto quella di Green, fanno ipotizzare un arretramento rispetto alla linea della Brexit “dura”, alla quale, del resto, si oppongono anche gli unionisti con i quali sono in corso le trattative. E’ improbabile che l’accordo col Dup porti a un esecutivo di coalizione: l’ipotesi e’ un’intesa di “confidence and supply”, letteralmente “fiducia e offerta”, che permetterebbe di far nascere un governo di minoranza. Il primo ministro dell’Irlanda, Enda kenny, ha espresso preoccupazione per l’impatto dell’eventuale alleanza sull’Accordo del Venerdi’ Santo.

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Messico, il leader di sinistra solo contro tutti alle prossime presidenziali

12 giu 11:31 – (Agenzia Nova) – Non ci sara’ nessuna coalizione a sinistra. Forte di un consenso che cresce sull’impopolarita’ della classe politica tradizionale, il leader del giovane movimento Morena (Movimiento Regeneracio’n Nacional), Andre’s Manuel Lo’pez Obrador, ha respinto le offerte di alleanza in vista delle presidenziali del 2018. “Amlo”, questo il nomignolo costruito sulle sue iniziali, ha spiegato ai delegati del partito riuniti a congresso il perche’ non si dovranno accettare le proposte di alleanza venute in prima battuta dal Partido de la revolucion democratica (Prd), formazione di centrosinistra che aspira a scalzare dalla presidenza i centristi del Pri (Partido revolucionario institucional): “associarsi alla mafia del potere” significherebbe essere “mercenari, politicanti, opportunisti”. Lopez Obrador ha gia’ tentato due volte l’assalto alla presidenza del paese, in entrambi i casi da membro del Prd, ma stavolta i sondaggi sembrano assegnargli possibilita’ maggiori di successo. Le urne, assicura, dovranno rappresentare “un plebiscito tra un regime a pezzi e il vero cambio”. Amlo gioca la carta della lotta alla burocrazia e alla corruzione della politica: prima di conoscere l’alternanza, nel 2000, il paese e’ stato guidato per 71 anni dal Pri, lo stesso partito che oggi esprime il presidente Enrique Pena Nieto. Una situazione di cui il centrosinistra del Prd e’ “complice”, assicura il leader ricordando anche gli accordi stretti dallo stesso Prd con formazioni di destra. Dell’ipotesi di un’alleanza a sinistra si era tornati a parlare a seguito delle ultime elezioni nello Stato del Messico (Edomex), l’unita’ amministrativa piu’ importante del paese. Elezioni vinte dal candidato del Pri, Alfredo del Mazo, che ha ribaltato i pronostici secondo cui Delfina Gomez, di Morena, era pronta a raccogliere l’ondata di malcontento popolare. Ma con i voti del Prd il centrista non avrebbe vinto, hanno ricordato i dirigenti Prd sperando di convincere Lopez Obrador a fare un passo assieme.

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Germania, le monarchie del Golfo finanziano la diffusione del salafismo

12 giu 11:31 – (Agenzia Nova) – La famiglia reale dell’Arabia Saudita avrebbe stanziato fondi per la costruzione di 200 nuove moschee in Germania. E’ vero, scrive la “Sueddeutsche Zeitung”, che le moschee tedesche sono sovraffollate a seguito all’arrivo di quasi un milione di profughi dal 2015, ma le autorita’ tedesche temono gia’ le ricadute per la sicurezza legate alla drammatica diffusione del salafismo nel paese. I Servizi temono in particolare l’aflusso di predicatori radicalizzati dalla Bosnia-Erzegovina, dove Arabia Saudita e Qatar hanno operato importanti investimenti economici negli ultimi anni, ha dichiarato il capo dell’intelligence della Turingia Stephan Kramer. La legge tedesca garantisce liberta’ di religione, e dunque le autorita’ tedesche non hanno appigli legali per impedire la costruzione di edifici di culto come quello di Fellbach-Oeffingen, nel Sud della Germania: un complesso di edifici su tre livelli, con 14 piazzole, in una cittadina di appena 7 mila abitanti. L’Ufficio criminale di Stoccarda ha scoperto che dietro alla societa’ kuwaitiana “Revival of Islamic Heritage”, intenzionata ad acquistare l’immobile, c’e’ il “Rihs”, una delle maggiori organizzazioni internazionali di proselitismo islamico del Golfo, a cui e’ stato vietato nel 2008 di operare negli Stati Uniti per i legami con le organizzazioni terroristiche. Il movimento tenta di acquistare terrenni e scuole coraniche in Germania dal 2002, e da allora gli investimenti gli sono stati vietati. Il numero di soggetti residenti in Germania e identificati dalle autorita’ tedesche come salafiti radicali e’ raddoppiato negli ultimi cinque anni a oltre 10 mila unita’. Negli ultimi mesi il Bnd e l’Ufficio federale per la protezione della Costituzione hanno rilevato un drastico aumento delle attivita’ di proselitismo salafita finanziato dagli Stati del Golfo. I servizi tedeschi collegano queste attivita’ ai finanziamenti di Arabia Saudita, Kuwait e Qatar. L’Arabia Saudita, in particolare, investe secondo le autorita’ tedesche oltre 100 milioni di euro ogni anno per la diffusione del wahabismo in Europa, e controlla direttamente o indirettamente almeno 20 entita’ dedite alla diffusione di quella dottrina islamica radicale in tutto il mondo: un esempio e’ l’ International Islamic Relief Organization (Iiro), che l’Onu ha accusato di legami con al Qaeda. L’Ambasciatore saudita a Berlino, Awwad al Saleh Awwad, nel 2015 aveva fornito rassicurazioni riguardo l’attivita’ di queste organizzazioni, e altrettanto aveva fatto il segretario generale della Lega musulmana mondiale nel 2016. Secondo i Servizi di sicurezza tedeschi, anche il Qatar, tramite la “Eid Charity Foundation”, ha stanziato fondi per la costruzione di 6 mila moschee in tutto il mondo, e in particolare nel 2016 ha destinato 41 milioni di dollari a progetti in 60 Paesi. A maggio il Qatar ha finanziato con 3 milioni di euro la realizzazione della piu’ grande moschea dei Paesi scandinavi nella citta’ svedese di Malmo, con una capienza di 2 mila persone.

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Gli Usa snobbano il G7 dei ministri dell’Ambiente a Bologna

12 giu 11:31 – (Agenzia Nova) – La grave spaccatura tra gli Stati Uniti e le altre economie avanzate generata dalla decisione del presidente Usa, Donald Trump, di abbandonare l’accordo di Parigi sul clima e’ tornata in scena domenica a Bologna, dove ieri si sono incontrati i ministri dell’Ambiente del G7. L’agenda dell’incontro prevedeva il confronto su una serie di questioni quali il mutamento climatico, lo sviluppo sostenibile e l’inquinamento dei mari. Scott Pruitt, direttore dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente Usa (Epa), ha pero’ presenziato soltanto alla sessione mattutina dell’incontro, ed ha poi fatto subito rientro negli Stati Uniti. Stando a Patricia Espinosa, segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, Pruitt ha riferito ai suoi colleghi che gli Usa intendono proseguire sforzi tesi al contrasto dei mutamenti climatici, e ribadito che Washington punta a rinegoziare l’accordo di Parigi o un altro “i cui termini siano piu’ equi nei confronti degli Stati Uniti”. Secondo il ministro dell’Ambiente italiano, Luca Galletti, le posizioni “restano distanti”. Tra le voci piu’ critiche nei confronti di Washington quella del ministro dell’Ambiente tedesco, Barbara Hendricks, che in segno di aperta opposizione all’amministrazione presidenziale Usa venerdi’ ha incontrato il governatore della California, Jerry Brown, uno dei volti dell’ambientalismo politico statunitense. Sotto la guida di Brown, lo Stato federato ha aggirato il governo federale Usa aderendo alla “Under 2 Coalition”, un gruppo di 175 Stati e citta’ in tutto il mondo che si sono date l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 2 gradi celsius entro la fine del secolo.

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 G20 e Africa, investimenti e sviluppo

12 giu 11:31 – (Agenzia Nova) – La parola d’ordine della nuova politica promossa dalla Germania in Africa e’ “con”, scrive il quotidiano “Handelsblatt”: si tratta di un cambio di paradigma dalla politica di aiuti intrapresa sinora dal paese “per” il Continente nero. Il ministro per lo Sviluppo tedesco, Gerd Muller (Csu) ha lavorato per un anno al suo “Piano Marshall con l’Africa”, mentre durante la presidenza del G20 il ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble (Cdu) ha sviluppato il piano di “Partnership con l’Africa”. L’obiettivo e’ quello di elaborare in collaborazione con i governi africani un programma di rafforzamento delle strutture statali e sviluppo economico. Solo a questo punto giungeranno gli aiuti tedeschi e degli altri paesi che parteciperanno a luglio all’incontro del G20 ad Amburgo. E’ stato un successo del cancelliere Angela Merkel (Cdu) quello di veder aderire a questo processo l’industria tedesca, le assicurazioni e l’economia digitale, scrive il quotidiano. “Per la prima volta nel processo del G20 insieme ai paesi africani, sono migliorate le condizioni per gli investimenti dei privati”, commenta Dieter Kempf, presidente dell’associazione dekk’industria tedesca Bdi. Volkswagen, per esempio, sta progettando un impianto per la produzione di vetture Polo in Kenya. Daimler recentemente aperto a Nairobi un centro di distribuzione per autobus e camion. Cosi’ hanno fatto i produttori di macchinari per l’agricoltura. “Non solo il cacao, ma il cioccolato, non solo i chicchi di caffe’, ma il caffe’ tostato devono essere i prodotti da esportazione dell’Africa del futuro”, ha dichiarato all'”Handelsblatt” il ministro dello Sviluppo Mueller. L’Africa non ha mai superato, sino ad oggi, la sua dipendenza dalle esportazioni di materie prime. Con il calo dei prezzi delle commodity, negli ultimi anni, molti dei paesi del Continente hanno subito gravi ripercussioni economiche e di bilancio. Le condizioni di investimento, pero’, oggi appaiono favorevoli. C’e’ un mondo in cerca di nuove opportunita’ di investimento, ha sottolineato piu’ volte il ministro Schaeuble. Per l’Europa alle prese con la crisi migratoria, non si tratta solo di affari: le opportunita’ di lavoro e benessere in Africa sono il solo freno sostenibile al fenomeno. Nel 2016, la stragrande maggioranza dei circa 180 mila migranti giunti in Italia erano africani emigrati per ragioni economiche. E per il 2017 ci si aspettano numeri anche maggiori. Questo lunedi’ e martedi’ si incontreranno a Berlino, oltre al cancelliere Merkel e i ministri Schaeuble e Mueller, anche il direttore dell’Fmi Christine Lagarde, il presidente della Banca mondiale Jim Yong Kim, i ministri economici e finanziari dei Paesi africani e 100 investitori internazionali. L’associazione delle imprese tedesche e internazionali con l’iniziativa “Business B20” ha espresso alcune raccomandazioni: la sicurezza per gli investimenti, migliori progetti infrastrutturali, una migliore alimentazione e un maggiore accesso a Internet. Finora sono stati spesi poco piu’ di 50 miliardi di dollari in investimenti diretti principalmente a cinque Paesi: Angola, Egitto, Mozambico, Ghana e Marocco. L’Africa offre oggi “un’opportunita’ unica”, ha detto il presidente del B20 Juergen Heraeus. Il Governo federale, assieme ai Paesi del G20 africani, ha stretto i primi 7 accordi di partenariato. In particolare con Tunisia, Costa d’Avorio e Ghana. La Spagna, invece, e’ attiva in Marocco, Ruanda, Senegal ed Etiopia. “Il B20, assieme al G20 e ai Paesi africani e’ impegnato nella corretta attuazione dei partenariati di investimento”, ha dichiarato Heraeus all'”Handelsblatt”. Del B20 fanno parte l’ad della cinese “Alibaba”, Jack Ma, l’italiana Emma Marcegaglia, i responsabili di Bosch e Siemens, il capo di Allianz, Oliver Baete, l’ad di Deutsche Telekom, Timotheus Hoettges, e i rappresentanti delle associazioni imprenditoriali tedesche Bdi e Dihk. Finora le iniziative di Mueller e Schaeuble, e del ministro dell’Economia Zypries – “Iniziativa per l’Africa” – del ministro degli Esteri Gabriel – “Linee guida per l’Africa” – hanno seguito strade separate. Merkel ha lavorato per una politica organica che includa tutti questi progetti. Tuttavia, per la Germania c’e’ molto da fare in termini concreti: la partecipazione tedesca agli investimenti diretti esteri nelle 55 economie africane e’ stata appena nell’ordine del 3 per cento negli ultimi 10 anni. Molto di piu’ hanno fatto Gran Bretagna, Cina, Francia e Stati Uniti. Corruzione, regolamentazione poco chiara, conflitti politici, sono i maggiori problemi riscontrati. Gli aiuti allo sviluppo dovrebbero andare, nell’intenzione di Berlino, soprattutto a scuole e la formazione. Mueller ha inoltre sottolineato che c’e’ bisogno di migliore accesso al mercato interno della Ue per l’Africa e “di un commercio equo e solidale, non di uno sfruttamento coloniale”.

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