didattica

eLearning e docenti, perché le lezioni online sono un’altra cosa

di Antonio Prado, Giornalista e Chief Digital Officer - Città di San Benedetto del Tronto |

Purtroppo quelli che vengono considerati i depositari della conoscenza con capacità di infonderla nei giovani, hanno dimostrato di avere delle enormi lacune nell’uso dei nuovi mezzi di comunicazione.

Premessa

Vorrei premettere che il sistema scolastico è costellato di eccellenze tra gli insegnanti, persone che interpretano il lavoro come una missione, che vivono per la scuola e per gli alunni con i quali stringono rapporti duraturi anche oltre gli esami di giugno. Sono loro che entrano in classe con il sorriso e trascorrono i pomeriggi sui libri, che approfondiscono e si aggiornano, che frequentano anche a proprie spese corsi di formazione, che sono sempre i primi a sperimentare e a imparare dai propri sbagli, che sono dispiaciuti a dover scrivere un votaccio sul compito e che sanno prendere gli alunni per il verso giusto. Li ringrazio, ma non parlerò di loro.

Scuola e Covid-19: cosa è cambiato

Che stravolgimento: nel giro di qualche settimana alcune decennali consuetudini sono state interrotte per decreto, in reazione alla pandemia da virus SARS-CoV-2 che ci fa ammalare di COVID-19. Tra queste, uno vero scossone hanno subìto il mondo della scuola e quello dell’Università, e non solo in Italia.

Le consolidate modalità di erogazione dell’istruzione, a tutti i livelli, non si sono rivelate adatte ad affrontare questa emergenza, per una molteplicità di ragioni che tenteremo di analizzare.

Innanzitutto, la forma mentis degli insegnanti forgiata da un sistema che affonda le radici all’inizio del secolo scorso. Cioè insegniamo ai nostri studenti grosso modo come i nostri insegnanti insegnarono a noi: spiego, assegno gli esercizi, verifico i compiti, eventualmente rispiego, interrogo, valuto le competenze, vado avanti con il programma, promuovo, boccio, indebito.

Anche gli strumenti sono gli stessi, da sempre: penne, matite, carta, quadernoni, fogli protocollo, libri, ingombranti dizionari, pesanti zaini, banchi di legno da una parte e cattedra dall’altra, lavagna e gessi, carte geografiche alle pareti.

Negli ultimi dieci anni abbiamo visto la comparsa in tante aule della LIM (lavagna interattiva multimediale), per molti un oggetto sconosciuto da accendere una volta ogni tanto per proiettare un film o un documentario. Praticamente un surrogato della sala cinematografica.

Più recentemente, i dirigenti scolastici più attivi sono riusciti, in via sperimentale, anche a dotare alcune classi di dispositivi mobili (cosiddetti tablet) provando a introdurre nuovi metodi di insegnamento e apprendimento. Su questa scia sono state introdotte nuove discipline come l’apprendimento dei linguaggi di programmazione dei computer attraverso il gioco, o come l’assemblaggio di piccoli automi ai quali dare poi istruzioni per compiere azioni elementari. Quasi sempre come attività pomeridiane, cioè oltre le ore canoniche di scuola.

I risultati, l’ho constatato in prima persona, non sono sempre brillanti e dipendono molto non tanto dall’avere una buona attrezzatura (cosa che pure può fare la differenza), quanto dall’entusiasmo e dalla dedizione degli insegnanti coinvolti.

Docenti e tecnologie

Ecco, a fine febbraio, momento in cui sono state sospese le lezioni, forse ancora nessuno poteva immaginare che quella situazione si sarebbe protratta per mesi e mesi e dunque i ragazzi a casa, gli insegnanti a casa si è rimasti come in un limbo.

Quando poi è stato chiaro che le lezioni in aula non sarebbero riprese, le scuole si sono attivate per consentire a docenti e discenti di incontrarsi, stavolta in modo virtuale.

Tralasciando il fatto che si sia perso del tempo prezioso, durante le prime settimane dello stop, nell’adozione di una piattaforma software funzionale e funzionante, la scuola italiana (ma pure l’Università non è che abbia fatto meglio) si è mossa in modo disordinato e assolutamente scoordinato attivando soluzioni non omogenee tra loro e ingenerando molta confusione negli studenti, nei loro genitori e negli insegnanti.

Questi ultimi si sono mossi un po’ in ordine sparso e, come al solito, i volenterosi sono partiti prima mentre gli altri si sono accodati a peso morto.

Lezioni online: cosa non va

Ma cosa è successo, e sta ancora succedendo, durante le mattina di scuola? Noi tutti sappiamo quanto sia complicato per ciascun istituto scolastico riuscire a sfornare un orario delle lezioni a inizio anno. Ecco, quell’orario non si applica più, nel senso che non si hanno più due ore di italiano il lunedì mattina, seguite da matematica, tecnologia e inglese.

Gli insegnanti segnano su un calendario quando desiderano fare lezione. Gli alunni devono consultare quel calendario e tenersi pronti per collegarsi alla classe virtuale al giorno e all’ora stabiliti (sperando che non si accavallino due materie).

A quel punto, ciascuno con il proprio dispositivo elettronico (computer, tablet, telefonino) si connette sulla piattaforma scelta dalla scuola (o a volte dal singolo insegnante) e, con telecamera e microfono, interagisce con il docente e questi con gli alunni.

La prima mezz’ora trascorre bellamente con: “Ragazzi mi sentite?”, “Rossi c’è? Non lo vedo!”, “Bianchi, hai la telecamera?”, “No prof, non funziona!”, “Neri, parla vicino al microfono ché non si capisce niente!”, “Giallini, non ho ricevuto i tuoi compiti, dove me li hai mandati?”, “Prof, io ho fatto la foto ai compiti, poi li ha mandati mia madre sul gruppo Whatsapp”, “Chi è questa persona collegata con il nome di Cucciol8?”, “Prof, sono io, Franchi, sto usando il computer di mio padre!”.

Dei sessanta minuti programmati, sì e no dieci saranno quelli buoni durante i quali gli insegnanti possono trasmettere una nuova competenza o rafforzarne una già acquisita dagli alunni.

Purtroppo quelli che vengono considerati i depositari della conoscenza con capacità di infonderla nei giovani, hanno dimostrato di avere delle enormi lacune nell’uso dei nuovi mezzi di comunicazione. Molti di loro che in tanti anni hanno ignorato la formazione sulle nuove tecnologie forti di essere virtuosi del gesso e maghi della matita rossoblù, fanno scontare questo ritardo a tutta una platea di ragazzi che di sicuro non ha colpa in questa circostanza.

Dunque, mentre gli alunni generalmente riescono a districarsi agevolmente tra microfoni e telecamere, per i docenti è un imparare sul campo cose nuove tutti i giorni.

E devono necessariamente re-imparare anche i metodi giacché quelli tradizionali non funzionano. Mi spiego: durante una lezione on-line l’insegnante più volte chiede agli allievi di leggere un paragrafo del libro ciascuno in silenzio e per conto proprio così che poi egli lo possa spiegare a tutti. Ammesso che sia un metodo valido per le lezioni in aula, di sicuro non lo è per quelle virtuali durante le quali l’attenzione dei discenti dovrebbe essere attratta dalla figura e dalle parole magnetiche dell’insegnante.

Anche i compiti devono cambiare forma. L’insegnante deve lavorare per trasformare alcuni degli esercizi del libro in compiti fruibili a schermo, come pure le esercitazioni che possono essere svolte direttamente on-line.

Il consiglio che vorrei dare ai docenti è di non trasferire tout-court i metodi e modi tradizionali nel mondo digitale, ma piuttosto di usarne di nuovi nati in digitale per il digitale.

Venendo infine ai mezzi necessari per vivere questa nuova modalità di scuola. Occorrono un calcolatore elettronico, o un tablet, oppure un telefonino e una buona connessione a Internet.

Ecco, alcuni alunni non hanno i mezzi e per loro è più difficile che per altri rimanere al passo. Chi dovrebbe provvedere in questi casi, dato che l’istruzione inferiore gratuita è un diritto sancito dalla nostra Costituzione?

In un momento di emergenza chi può dia e chi ha bisogno prenda. Per questo invito quanti avessero un computer portatile funzionante, anche se non recentissimo, o un tablet in buone condizioni in più di donarlo a chi ne ha necessità. Per farlo basterà scrivere direttamente al proprio Comune che, attraverso i Servizi Sociali, potrà immediatamente soddisfare la necessità di famiglie bisognose.