La radio

eJournalism, il linguaggio della radio spesso incomprensibile ai più

di Redazione |

I cronisti radiofonici spesso parlano in modo incomprensibile ai più, quando invece servirebbe una comunicazione breve, chiara e precisa. A dirlo è il giornalista Rai Sergio Canciani alla conferenza a Trieste su ‘I linguaggi della comunicazione, dalla radio di Marconi al Web’.

Il linguaggio dell’informazione radiofonica spesso non è comprensibile e la colpa è dei giornalisti che spesso usano parole e modi di dire accessibili a pochi e autoreferenziali. Parola di Sergio Canciani, voce e volto storico del giornalismo radiotelevisivo della Rai, per anni corrispondente da Mosca, che ha fornito un lucido e, per certi aspetti, preoccupante ritratto dell’informazione radiofonica attuale. L’occasione è stata la conferenza ‘I linguaggi della comunicazione, dalla radio di Marconi al Web’ che si è tenuta nei giorni scorsi, promossa dalla “Vitale Onlus”, in collaborazione con l’Università degli Studi di Trieste in occasione dei 140° anniversario della nascita di Guglielmo Marconi e del 90° della radio.

#eJournalism è una rubrica settimanale promossa da Key4biz e LSDI (Libertà di stampa, diritto all’informazione).

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All’incontro, tenutosi all’Università di Trieste, hanno partecipato anche Elettra Marconi, figlia dello scienziato; Umberto Macchi, della Corporate University di Mediolanum, Alberto Iantera, direttore del Museo della Radio di Verona; Fabio Carini, di Cuffie d’oro e Pierluigi Franco, responsabile della sede Ansa del Friuli Venezia Giulia. Gli interventi prettamente inerenti il linguaggio radiofonico sono stati quelli di Sergio Canciani e Pierluigi Franco i quali hanno evidenziato alcune caratteristiche, positive e negative, del giornalismo alla radio.

Introdotto da Roberto Vitale, docente di Storia del giornalismo all’ateneo giuliano, Canciani ha ripercorso la sua carriera ricordando che da Mosca “lavoravo sia per la radio che per la televisione, ma scrivere per la radio è più difficile e necessita di una vera e propria disciplina linguistica”.

Linguaggio poco comprensibile

L’inviato della Rai ha ricordato un sondaggio della radiotelevisione pubblica fatto a cavallo tra gli anni ’60-’70 secondo il quale la grande maggioranza dei radioascoltatori non capiva le notizie trasmesse: “Stiamo parlando dell’85-90% degli intervistati che aveva problemi di comprensione – ha sottolineato Canciani – purtroppo credo che la situazione non sia cambiata affatto: che dire quando si sente un cronista che afferma durante un servizio: “C’è stato un tavolo al Nazareno”? Inevitabilmente la gente con capisce e questo è un grave crimine professionale”.

 

Mancano scuole di giornalismo

Canciani ha inoltre evidenziato come spesso il cronista parli e scriva per pochi (‘spesso per altri cronisti e basta’) e che non esiste una figura che lo corregga e gli mostri come invece dovrebbe fare: “Mancano scuole che insegnino una divulgazione comprensibile ma non banalizzata. E non bastano le scuole, nemmeno quelle sponsorizzate dal nostro sindacato: provate a leggere i comunicati di quest’ultimo, sono incomprensibili, come possono insegnare agli altri a scrivere?”. Concludendo l’intervento, Canciani ha ribadito che l’informazione radiofonica (ma non solo) deve essere come la comunicazione marina: breve, chiara e precisa.

Linguaggio della radio come riferimento

Indicazione che Pierluigi Franco, responsabile della sede Ansa del Friuli Venezia Giulia, assicura essere le linee guida dell’agenzia stampa più famosa d’Italia: “Il linguaggio usato in Ansa è come quello che dovrebbe essere il linguaggio radiofonico, cioè chiaro e preciso”. Franco ha poi ricordato come Sergio Lepri, storico direttore dell’Ansa, insegnasse a scrivere le notizie “come se dovessero essere lette alla radio”, cioè con tutte le informazioni all’inizio, in uno spazio breve così come breve è la durata di attenzione del radioascoltatore. “Il linguaggio giornalistico si è poi evoluto o involuto, dipende dai punti di vista – ha concluso Franco – oggi, quello usato nel web, è sicuramente diverso e, per certi aspetti, molto meno verificabile”.