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eJournalism, l’informazione ‘seria’ è ormai un prodotto di nicchia

Notizie e social

Quello a cui si assiste con internet non è la fine del giornalismo, ma lo sviluppo delle sue forme alternative, quelle che finora erano sul filo della legittimità, mentre l’informazione ‘’seria’’ diventa un prodotto di nicchia riservato alle classi alte. Questa inversione non viene riconosciuta da un gran numero di professionisti, che restano attaccati alla gerarchia convenzionale dell’informazione.

La deregolazione mediatica è lo specchio dell’esplosione di un nuovo modello di società. Le forme del giornalismo di domani accompagneranno l’emergere di nuovi equilibri, gran parte dei quali sono ancora tutti da scoprire.

Sono i temi al centro di una interessante riflessione sul giornalismo e il suo futuro che André Gunthert ha pubblicato su Image sociale e di cui pubblichiamo la traduzione.

eJournalism è una rubrica settimanale promossa da Key4biz e LSDI (Libertà di stampa, diritto all’informazione).

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Pourquoi la conversation l’emportera. Les reconfigurations de l’information

di André Gunthert

(Image Sociale)

Apparentemente poco è cambiato. A dispetto delle predizioni arruffate dei guru della Silicon Valley, il dilettantismo non ha rimpiazzato il giornalismo. La stampa ha seguito il trasferimento delle risorse pubblicitarie e ha investito sul web, ma le istituzioni del giornalismo e la loro visione del mondo sembrano ancora solidamente radicate. Su Facebook, dove si scambiano video di gattini e foto delle vacanze, la partecipazione ha assunto i colori delle discussioni da Bar Sport.

La televisione resta il primo mezzo sul piano dell’audience, quello in cui le personalità di rango vanno a parlare quando vogliono rivolgersi alle masse.

Ma questa facciata nasconde delle profonde riconfigurazioni del rapporto con l’informazione. Come le istituzioni politiche o quelle economiche, le cui sorti sono legate, il giornalismo tradizionale si rivolge ormai solo a un pubblico ristretto – a coloro che si sentono pienamente parte del mondo descritto dai grandi media, e votano saggiamente secondo le loro raccomandazioni.

La cultura LOL

 

Il fatto che una parte sempre più rilevante della popolazione si allontani dalle fonti autorizzate, preferendo a loro il people, la cultura del LOL, i video su YouTube o la conversazione sulle reti sociali non dipende soltanto dal rinnovamento delle tecniche di comunicazione dopo l’introduzione di internet. Questo allontanamento, sia dei giovani che degli strati popolari, è legato al viraggio economico e politico adottato negli anni 1970 e che si traduce in un abbandono progressivo delle forme di protezione che caratterizzavano le società evolute.

Dietro la rivendicazione formale di un ‘’vivere-insieme’’, l’aumento delle diseguaglianze tocca anche il mondo dell’informazione e favorisce un universo sempre più segmentato e individualizzato, e una ricezione ironica delle ingiunzioni che provengono dalle élites. Questi tratti spiegano il successo delle forme di cultura LOL, dei ‘meme’ e delle deviazioni o false informazioni che si iscrivono nella vecchia tradizione satirica, ma la cui ascesa e la cui avanzata capovolgono surrettiziamente la informazione seria.

Quando la critica rimaneva al suo posto (…) poteva essere tollerata come un segno di buona salute di un sistema che accetta la sua caricatura. Invece ora testate come Le Petit Journal, The Onion o Le Gorafi mostrano una visione ben più sovversiva, designando l’insieme del paesaggio mediatico come il teatro di manipolazioni ed artifici. Il successo di queste formule è rilevatore di uno sguardo sempre più distante, come se la sola percezione pertinente dell’informazione non potesse essere che quella del secondo grado.

In un universo mediatico calibrato dalla consultazione gratuita e dal numero dei click, tutti i mezzi sono buoni per attizzare la curiosità. Così abbiamo visto svilupparsi delle strategie legate essenzialmente alla cattura dell’attenzione: titoli provocatori, mobilitazione di vip, video ammiccanti, stupidari, ecc. In maniera più elaborata, un nuovo giornalismo ha sviluppato delle forme di trattamento dell’informazione attraenti, come le classifiche tematiche illustrate, il diaporama commentato o l’infografia. La quasi totalità dei media online ricorrono ormai, con dosi diverse, a questi ingredienti.

In questo lavoro di rinnovamento sono spesso delle forme precedentemente relegate in secondo piano e più discrete a vedersi conferire una nuova visibilità. Come accade ad esempio per il genere dei consigli pratici, delle ricette, dei vari tutorial, un tempo riservati ai giornali femminili e che invece sono esplosi su internet, potenziati dalle risorse del diaporama o del video.

A questo riguardo, bisogna ammettere che la visione tradizionale del giornalismo, legata alla definizione della ‘’informazione generale’’, non è che una griglia arbitraria. Quando Émile de Girardin creò La Presse nel 1836, primo quotidiano di massa, pensò bene di mettere in prima pagina regolarmente il feuilleton, diffondendo le opere di Balzac, Chateaubriand o Dumas. L’infotainment non è quindi una invenzione recente: al contrario, il divertissement è stato sempre parte integrante del giornalismo, inteso come offerta di informazione nel senso più ampio.

Quello a cui si assiste con internet non è la fine del giornalismo, ma lo sviluppo delle sue forme alternative, quelle che finora erano sul filo della legittimità, mentre l’informazione ‘’seria’’ diventa un prodotto di nicchia riservato alle classi alte. Questa inversione non viene riconosciuta da un gran numero di professionisti, che restano attaccati alla gerarchia convenzionale dell’informazione.

La conversazione, nuova gerarchia dell’informazione

Esiste poi un’altra metamorfosi fondamentale dell’informazione, e cioè la sua appropriazione da parte del pubblico grazie agli strumenti conversazionali delle reti sociali.

Come la radio prima e la tv poi avevano allargato in maniera considerevole lo spettro dei programmi per allargare l’audience, così Facebook ha inventato un terreno di gioco in cui noi siamo gli intrattenitori di noi stessi. Questa autoproduzione garantisce una captazione di attenzione massima ma fa anche degli utenti i coproduttori della piattaforma. Per farci ritornare il più spesso possibile, Facebook mette a punto le incitazioni conversazionali più seducenti e risponde sempre positivamente alle dinamiche di appropriazione.

In questo universo sono logicamente gli utenti ad apportare il materiale principale, attraverso i loro contributi e la loro attività di segnalazione. Questa attività ha avuto tre effetti a cascata, che hanno costituito altrettanti grossi mutamenti. Il primo è stato di mischiare senza distinzioni contenuti personali e risorse mediatiche, unificate dal filtro della conversazione. Il secondo è stato sostituire la raccomandazione amichevole alla consultazione dei media per avere il polso dell’attualità. Il terzo, dare alle fonti personali una visibilità equivalente a quella delle fonti mediatiche, attraverso l’integrazione e la normalizzazione della presentazione dei contenuti nel flusso della timeline.

Le reti sociali sostituiscono il nostro giornale quotidiano perché la pertinenza della raccomandazione del gruppo di amici, nella fase della individualizzazione degli interessi e dei gusti, si rivela superiore a quella di una testata giornalistica. Costruiti dal gioco delle affinità e da test di prova/errore, i pacchetti informazionali così prodotti propongono per definizione un effetto mirato più raffinato e più adattato di qualsiasi media di massa. Ma non è l’unica ragione che li situa in una situazione di alternativa ai media tradizionali.

Il consumo di informazione ha per tratto fondamentale quello di legare il divertimento all’utilità. La legittimità degli organi di stampa proviene dalla loro capacità di portare alla nostra conoscenza delle informazioni che sono utili per gestire la nostra vita. A differenza di un piacere che si può consumare in maniera passiva, esse sollecitano il nostro giudizio e una appropriazione attiva.

Ai tempi del caffè al bar si prendevano delle notizie per sezionarle fra amici. La conversazione è uno spazio di formazione del giudizio attraverso il confronto delle osservazioni. La usiamo per testare e migliorare le nostre valutazioni, per imparare o per dar mostra della nostra conoscenza, per negoziare il nostro posto nel gruppo.

Nella prole del web interattivo, i social network sono stati costruiti non solo come degli spazi propensi allo scambio, ma come delle macchine per mantenere e premiare la conversazione. Promuovendo una delle competenze più basilari della vita in società, sono diventati strumenti insostituibili del mondo dei media.

Visto che si può applicare all’attualità, la possibilità di discutere una informazione è ovviamente preferibile alla sua sola consultazione. Informazione+conversazione costituiscono la formula magica dei social network, senza che nessun media tradizionale possa competere.

È sufficiente aprire un articolo ai commenti per beneficiare di questo potere?

Dobbiamo andare più a fondo nelle dinamiche della conversazione per capire che l’interazione non è un problema tecnico, ma un cambiamento di espressione.

A differenza di un articolo chiuso su se stesso, la dinamica conversazionale suppone che si faccia posto all’ altro. Se i commenti sui siti di informazione sono così spesso rancorosi, è perché la tecnologia interattiva viene applicata a forza a degli enunciati che non hanno integrato i parametri di questa nuova logica – quella dello scambio fra pari o della scelta di un oggetto condivisibile (esempio tipico di oggetto non condivisibile: il privilegio critico che permette di parlare di un film prima della sua uscita).

Perché si preferisce discutere di una questione di attualità sulla propria rete sociale piuttosto che su un sito giornalistico?

Se la possibilità della conversazione è sempre preferibile alla sua assenza, l’enunciato si adatta alle condizioni del dialogo. La situazione del piccolo gruppo e il controllo delle condizioni dello scambio favoriscono la formazione del giudizio. Un numero eccessivo di partecipanti ostacola il confronto dei punti di vista e incoraggia una enunciazione puramente declaratoria. Vari scandali mediatici scatenati da un tweet o da un commento intempestivo nascono dalla inadeguatezza di enunciati localizzati sottoposti a una esposizione imprevista.

Dalla conversazione nasce la partecipazione all’avvenimento. Gli attentati del 7-9 gennaio scorsi in Francia hanno riprodotto una dinamica osservata a più riprese, specialmente con le primavere arabe, e cioè una dinamica di mobilitazione degli strumenti di comunicazione a profitto di attività di ricerca, commento e condivisione dell’informazione, ma anche di omaggio o di presa di posizione. Dopo la tragedia di Charlie, lo stesso strumento che alla vigilia serviva a scambiare video di gattini è stato messo al servizio, per varie settimane, di una intensa conversazione; in uno sforzo di comprensione e di intelligenza condivisa degli avvenimenti. E quindi nella definizione stessa di spazio pubblico nella sua dimensione più nobile, perfetta messa in atto dei principi descritti da Habermas.

In un paesaggio più aperto e più complesso, la cui offerta non è mai stata così abbondante, nel momento in cui gli strumenti disponibili mettono sullo stesso piano divertimento, informazione e documentazione, la ridefinizione dello spazio comune rappresenta una sfida senza precedenti. Se la vecchia gerarchia dei valori ormai ha soltanto un’apparenza di legittimità, bisogna capire che le dinamiche in atto superano largamente la sola dimensione tecnica. Così come il giornalismo delle news è stato lo strumento di un capitalismo regolato, la deregolazione mediatica è lo specchio dell’esplosione di un modello di società. Le forme del giornalismo di domani accompagneranno l’emergere di nuovi equilibri, gran parte dei quali sono ancora tutti da scoprire.

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