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eJournalism, il digitale non basta a risolvere la crisi dell’editoria

Estratti dall’incontro-lezione di Carlo Verdelli, Direttore editoriale per l’Offerta Informativa della Rai, tenutasi il 26 febbraio scorso all’Università di Padova a conclusione del corso di “Linguaggio giornalistico” dell’anno accademico 2015-2016 di Raffaele Fiengo.  Il tema dibattuto: “Giornalismo un check up”. Assieme a Verdelli e Fiengo nel video anche Vincenzo Milanesi, direttore del dipartimento di filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata (FISSPA).

Nel corso del suo intervento Verdelli, che è stato fra le altre cose vice direttore del Corriere della Sera e direttore della Gazzetta dello Sport, ha parlato a lungo della transizione digitale, sottolineando più volte e con grande vigore e precisione che la vera  novità della  rivoluzione che sta vivendo il mondo dell’informazione non sta (solo) nelle nuove tecnologie ma nell’approccio culturale che deve forzatamente essere diverso.

Partendo dal fatto epocale che ha cambiato le nostre vite per sempre, “l’11 settembre “, e dall’analisi di come è stato raccontato in Italia e in particolare sul giornale di cui lui era all’epoca vice-direttore, il Corriere della Sera, Verdelli ha introdotto il concetto di “info-motion”, una crasi creata all’epoca dal regista cinematografico Wim Wenders, ricordando che nel 2001 la rete era ancora un fenomeno trascurabile e i quotidiani, nel nostro Paese e nel resto del mondo, vendevano ancora milioni di copie e avevano un’influenza fortissima sulle persone e sulla politica.  Di seguito una serie di estratti dall’intervento di Carlo Verdelli di cui, se vorrete, potrete seguire l’intervento integrale nei due video che abbiamo inserito nel pezzo. Buona lettura!

“Sono passati 15 anni dall’11 settembre, sono pochi, ma nel frattempo è cambiato tutto a cominciare proprio dall’informazione. Mentre accadeva una cosa così devastante ma a suo modo rivoluzionaria come l’11 settembre c’è stata anche la rivoluzione digitale. Un fenomeno che ha cambiato non tanto il presente o il tempo del presente ma la civiltà in toto, senza accorgercene passiamo da una civiltà all’altra. Dalla civiltà industriale di metà ‘800 alla civiltà digitale del terzo millennio”.

“Nel 2004 tre anni dopo l’11 settembre in un dormitorio di Harvard un paio di studenti inventano MyFacebook, una app diremmo oggi, riservata agli studenti del prestigioso ateneo che nasce per mettere in contatto gli studenti di quell’università rapidamente, in breve collega tutte le più prestigiose università americane e diventa Facebook. Oggi oltre 1 mld di abitanti popolano il social media di Mark Zuckerberg“.

Nel 2006 il prestigioso settimanale americano Time, il più importante periodico al mondo, dedica la propria copertina al personaggio dell’anno, ma per la prima volta in copertina non c’è una foto di una personalità, bensì una specchio che riflette l’immagine di chiunque lo compri e la scritta “You”.  L’intuizione di Time è che la possibilità di personalizzare il mondo in cui viviamo attraverso le nuove tecnologie digitali ci renderà protagonisti, a partire dal mondo della comunicazione.

La rete impone la comunicazione diretta, la comunicazione orizzontale. Non più proclami e idee lanciate da un pulpito ma conversazioni paritarie e condivise.

Un altro segno del cambiamento è del 2011 vince l’oscar un film che si chiama The Artist.  La storia del celeberrimo attore del muto che spende tutto il suo patrimonio per realizzare un kolossal “muto” per contrastare l’arrivo del sonoro al cinema, ma perde la scommessa. Metafora del cambiamento inarrestabile e incontrovertibile.

La comunicazione da verticale è diventata orizzontale. Quello che voglio, quando lo voglio e come lo voglio.

Questo determina una grande crisi per l’editoria italiana a cui gli editori, invece di aprirsi al cambiamento e sperimentare, rispondono in maniera inspiegabile.

Per contrastare il calo verticale delle copie dei giornali finiti dentro una congiuntura globale- crisi dell’economia, perdita di posti di lavoro – loro cosa fanno? Invece di occuparsi di capire cosa c’è che non va, chiudono e tagliano posti, e diminuiscono la qualità del giornale, impoveriscono il corpo redazionale e invece di abbassare il prezzo del prodotto lo alzano.

In nessuna parte del mondo e in nessun settore produttivo si è mai reagito in questo modo.

Questo è ad oggi lo stato dell’arte in questo Paese.

Mi stupisco di questo fatto, mi stupisco di come non sia davvero cambiato nulla, i giornali hanno aperto siti internet a fotocopia di se stessi sulla carta. Non ha nessun senso fare questo.

<< L’uomo ha l’obbligo di abitare il tempo >> dice Heidegger

Anche il giornalista dovrebbe più di tutti vivere il proprio tempo e invece fa molta fatica, è molto difficile, per i giornalisti, rinunciare al proprio pulpito, alla propria rilevanza.

Montanelli diceva: il mio unico padrone è il lettore.  Oggi più che mai il lettore ha preso il controllo. Tutto il mondo della produzione è rivolto verso la personalizzazione del prodotto, anche nel mondo dell’informazione, noi lettori, vogliamo poter scegliere.
I giornali non avvertono il cambiamento non capiscono che si deve puntare all’essenza che si deve restituire alla gente il tempo e la capacità di gestire in piena autonomia il proprio tempo. I giornali italiani pensano di aver a che fare ancora con lettori fedeli (heavy buyer).

Invece siamo difronte ad un pubblico molto più complesso e variegato, formato di persone che sono sempre di più in grado di trovarle da soli le risposte che cercano, e quindi anche le notizie, come si dice, si costruiscono da soli la propria dieta informativa.
Il lettore ha tre diritti: non sapere, non capire, non ricordare.

Come diceva un grande collega, prematuramente scomparso, Roberto Morrione: noi giornalisti dobbiamo tornare ad essere francescani della notizia.

Essere al servizio della notizia e al servizio del lettore.

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