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eJournalism, giornalisti imprenditori per superare la crisi?

La materia è a dir poco complessa eppure così attuale e stringente da auspicare che il dibattito appena appena abbozzato nell’ultima edizione di digit a Prato il 3 ottobre durante un panel che si intitolava proprio “giornalista imprenditore: unica via eppure impossibile da percorrere” sia solo il primo, timido, ma nitido segnale di un rinnovato interesse di tutti: istituzioni, editori, giornalisti, società civile verso il ruolo del giornalista e della professione giornalistica e dell’apertura di un vero, importante dibattito sociale per tornare a comprendere l’importanza della stampa. La crisi in atto, soprattutto e principalmente, nel nostro Paese, nel giornalismo e in particolare nella professione giornalistica ci deve indurre a rimettere in discussione tutto il sistema e a pensare al più presto a come riformulare dentro e con la “rivoluzione digitale” in corso, gli assetti professionali e nei ruoli della stampa.

Può un giornalista essere anche imprenditore?

Può essere editore di se stesso?

Nessuno nega la possibilità di svolgere la libera professione, esistono da sempre giornalisti free lance indipendenti, ma fare un giornale non è il frutto di un lavoro collettivo?

Di seguito un estratto scritto del dibattito scaturito nel corso del panel fra gli ospiti relatori: Daniele Chieffi responsabile della comunicazione digitale di Eni, Marco Giovannelli direttore di Varese news, Alberto Puliafito direttore di Blogo.it, Lucia Aterini consigliere dell’Associazione Stampa Toscana, Luigi Cobisi commercialista, pubblicista e consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Carlo Bartoli presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Toscana, e il pubblico in sala e da casa.
Per i più temerari ecco il video integrale dell’evento, buona lettura e/o visione.

 

Daniele Chieffi:

Chi non è riuscito ad ottenere un art.1 o al massimo un art.2 è da sempre considerato fra i non fortunati nel giornalismo, almeno, lo à stato per la mia generazione e quasi fino ad oggi. Per arrivare ad essere assunti si è fatta da sempre molta gavetta: uffici stampa, collaborazioni. Un percorso quasi obbligato con tempi lunghi di attesa e lunghi periodi di sfruttamento in attesa della fantomatica assunzione, prima con contratti a termine, brevi sostituzioni, e poi il praticantato e infine il posto di lavoro. Oppure stufi di aspettare si tenta l’assunzione forzata con il praticantato d’ufficio e l’apertura di una causa di lavoro nei confronti dell’editore. Oggi le cose sono molto cambiate, il posto fisso è sempre più una realtà non perseguibile e soprattutto nel giornalismo odierno nel pieno di una crisi epocale, soprattutto in Italia i modelli professionali sono diversi o lo devono diventare. Una delle realtà più interessanti dal punto di vista editoriale è quella di VareseNews.

Marco Giovannelli:

A Varese siamo noti, fuori è difficile far capire chi siamo. Quello di cui parliamo oggi è un tema scabroso e spiace che non ci siano al tavolo con noi l’ordine e il sindacato, manca un confronto e sarebbe importante che ci fosse.

Due numeri: siamo nati nel 1997, un’epoca in cui nessun comune della provincia di Varese aveva un sito internet, e nessun consigliere comunale aveva un indirizzo mail. Oggi abbiamo un volume d’affari di 1 mln e 200 mila euro, 30 dipendenti, di cui 20 giornalisti, tutti sotto contratto, 14 professionisti assunti con contratto Aeranti Corallo. Siamo la più grossa realtà editorial/giornalistica italiana fra i nativi digitali, rispetto anche a più di prestigiose testate nazionali come Il Post, Linkiesta, Lettera43. Il giornale nasce dalla volontà di tre persone e un po’ per gioco. Non nasce economicamente strutturato. Esisteva già una cooperativa di lavoro che si occupava di altro.  Nel tempo ci hanno affiancato soci importanti.

La Varese web srl nasce nel 2000. Nel 2000 noi rifiutammo di essere comprati da Confindustria. Serviva, nella nostra idea di giornale, continuare ad essere una società diffusa. Mantenere indipendenza e libertà per poter far funzionare al meglio il giornale. Nel 2003 la nostra società ha raggiunto lo status attuale che non è più cambiato. Il break even l’abbiamo raggiunto nel 2004 e da allora lavoriamo con una certa tranquillità con bilanci sostanzialmente in pareggio.

Nel 2009-2010 abbiamo fatto un grande salto di qualità. E’ stato il momento in cui il bilancio è passato da 400 mila a 1 mln di euro. Ed è stato anche il momento in cui abbiamo assunto la maggior parte dei nostri dipendenti per una scelta precisa di crescita.  Abbiamo continuato a farlo ogni anno e anche ora stiamo completando l’iter di perfezionamento di 2 nuove assunzioni. In genere formiamo e poi assumiamo i nostri collaboratori e piano piano li portiamo allo status di giornalisti professionisti. Prima di fare questa scelta e passare alle assunzioni ci siamo arrangiati per alcuni anni usando tutte le forme legali e previste dal mondo del lavoro: cococo, cocopro, contratti a progetto etc.etc.

La figura di congiunzione fra la parte business e la parte giornalistica sono io. Io sono il presidente della srl Varese web e anche il direttore responsabile del giornale. Situazione al limite dell’imbarazzo ma che ci ha consentito di avere una serie di garanzie perché nel nostro caso sono le persone che hanno fatto l’impresa e non i capitali.

Varese web è partecipata da Confindustria, e poi in quote diverse da Confartigianato, da Confcommercio, da Cna, dai sindacati tutti cgil, cisl e uil, dalla cooperativa di giornalisti che si occupa stabilmente di produrre il giornale e che ha il 15% delle quote, da alcune aziende private con quote diverse e alcuni professionisti. 15 soci diversi con quote dal 2% (come la mia) al 30 di Confindustria.

Il giornale è molto più piattaforma che giornale puro e semplice, facciamo progetti sul territorio non solo news. E’ una cosa che abbiamo capito in epoca non sospetta e di cui ora parlano tutti e che è in linea con la fantomatica ricerca del nuovo modello di business per il giornalismo digitale.

Oggi il giornale ha circa 110 mila visite al giorno. 70 mila visitatori unici. 350.000 pagine viste. (fonti Shinystat e Google Analitics). Abbiamo una community social molto vasta. Ad esempio ad oggi su Facebook abbiamo 116.000 seguaci senza aver comperato mai alcun like. In tre anni abbiamo investito non più di 2000 euro per fare pubblicità a nostre iniziative su Facebook. Il nostro più grosso investimento pubblicitario su Facebook è stato fatto per Glocalnews, la nostra manifestazione sul giornalismo digitale nata 4 anni fa come digit e che quest’anno si svolgerà a Varese dal 19 al 22 novembre.

Il nostro core business non sono solo le notizie ma cercare di costruire progettualità e iniziative sul territorio e con il territorio per dare valore al nostro ruolo sul territorio, e al territorio stesso. La composizione del nostro reddito arriva da un 10 per cento di quota garantita dai soci statutariamente ogni anno, (100 mila euro ca.), una quota similare (100 mila euro) arriva dalla rete: affiliazioni, pubblicità, rojalties (e va evidenziato che da circa 1 anno e mezzo ci manca completamente Google Adsense da cui siamo stati bannati per aver pubblicato foto di opere d’arte che secondo loro esprimevano contenuti violenti e pornografici). Solo attraverso Google noi guadagnavamo 60 mila euro l’anno.

La quota più consistente del nostro business è costituita dalla pubblicità. La seconda quota è determinata da alcuni lavori di comunicazione spesso mutuati dai rapporti/contratti pubblicitari. Non prendiamo nulla dal Pubblico salvo un accordo con Camera di Commercio di Varese per servizi che forniamo loro.

Negli ultimi 2 anni siamo riusciti, e ne siamo molto fieri, a entrare in due bandi pubblici. Con cui abbiamo finanziato alcune particolari operazioni. Tutto il resto è mercato e molto di questo mercato è costituito da piccole, piccolissime realtà imprenditoriali, non dimentichiamoci mai che siamo una realtà locale. Come potete immaginare tutto questo è molto, ma molto, faticoso, però funziona.

Il tema di oggi è fondamentale per capire quale che siano i meccanismi ai quali noi abbiamo dovuto piegarci negli anni per costruire quello che siamo: la nostra è una macchina complessa che per motivi evidenti deve rimanere super partes e scevra da contaminazioni “commerciali” ma che allo stesso tempo per riuscire a campare deve farsi contaminare continuamente e in modo più o meno profondo dal suo territorio altrimenti non sopravvive.

Siamo giornalisti ma anche imprenditori di noi stessi. Come ho già detto la cooperativa di giornalisti di Varese news possiede il 15% dell’srl della società editoriale. Il giornale è appaltato alla cooperativa dei giornalisti. Io sono garante dell’una e dell’altra. Varese news sul proprio territorio ha un livello di autorevolezza notevole. Non stiamo con il potere. Siamo stati una spina nel fianco da sempre di chi governa il territorio. Il rapporto con il potere è cambiato negli anni ma è sempre stato trasparente ma non per questo burrascoso, anzi non esiterei a definirlo sereno. Tutti i giornali digitali locali non sono messi come noi, qualcuno sta crescendo e diventando grande, la maggior parte sono più piccoli anche molto più piccoli ma si trovano o si sono trovati a dover affrontare le nostre stesse problematiche e a fare le nostre stesse scelte. Noi dopo 17, quasi 18 anni, per certi versi siamo ancora considerati una startup, e la cosa fa sorridere evidentemente, ma coglie perfettamente la mentalità con la quale lavoriamo noi e sono costretti più o meno ovunque a lavorare quelli che come noi provano a fare questo mestiere. Da un punto di vista deontologico questo tema non può essere trattato né tantomeno risolto come lo abbiamo risolto noi e quindi è fondamentale che venga discusso e approfondito. Stanno cambiando delle cose, ad esempio l’Odg lombardo prevede che ci siano degli studi associati, modello avvocati o commercialisti. Noi siamo un’altra cosa siamo impresa ma siamo anche giornale.

Daniele Chieffi:

Tanti colleghi free lance vengono a chiedere e proporre in Eni collaborazioni, progetti giornalisti, progetti completi di comunicazione da parte di giornalisti che si propongono a noi come professionisti della comunicazione. Si propongono per fare lavori giornalistici per noi: approfondimenti, video, reportage quanto c’è di giornalistico in questo tipo di proposte di lavoro? Quanto è impattante rispetto alla deontologia del giornalismo? La comunicazione aziendale istituzionale è giornalismo? Vendere cose del genere a chi è in grado di pagarle è deontologicamente corretto? E’ corretto fare il giornalista per un’azienda? A mio modo di vedere saper fare i giornalisti non significa essere imprenditori né tantomeno saper fare gli imprenditori.

Alberto Puliafito:

Sono direttore responsabile di blogo.it, un direttore non assunto, un direttore a partita iva.  Ho iniziato a fare il giornalista nel cartaceo nel 1996, ho fatto esperienza di redazione e sono diventato pubblicista. Poi ho fatto altro, diverse esperienze. Nel 2005 sono stato contattato dai fondatori di blogo per gestire tv blog e da allora me ne sono occupato come lavoratore a partita iva. Non so niente di casagit e inpgi.

Blogo è una redazione diffusa ci parliamo e vediamo esclusivamente sul web ma anche 24 ore al giorno. Non vado mai in redazione ma sono continuamente in collegamento con i miei giornalisti. Oltre a fare il giornalista ho anche una mia società in cui lavoro e che si occupa di produzioni televisive. Come concilio le due cose? Evito di pubblicare o far pubblicare cose su quello che faccio fuori dal mio lavoro giornalistico per non cadere nel conflitto di interessi. Secondo me un giornalista imprenditore di se stesso deve prendere atto che grazie alle tecnologie digitali può pubblicare direttamente, senza intermediazione di un editore, per se stesso e i propri lettori. E’ meno libero per questo? Non direi, ne deve rendere conto direttamente ai propri lettori. Perché non provarci? Perché non è previsto? Secondo le ultime e aggiornate norme europee per molti versi un libero professionista è già in qualche modo equiparato ad un’impresa. C’è anche un articolo del nostro codice civile che dice che se un libero professionista, cioè un free lance, si accolla il rischio di impresa è configurabile e equiparabile come impresa. E’ deontologico tutto questo? Direi di sì. Non lo sarebbe se facessi pubblicità occulta attraverso i miei pezzi. Ma se dichiaro ai lettori che realizzo una scheda prodotto per recensirlo, quindi se dichiaro in modo trasparente i miei intenti, a mio avviso rispetto l’etica. Imprenditore e giornalista hanno fini diversi, certo, ma anche un giornalista deve vivere, o no?

Luigi Cobisi:

Non solo l’Odg Lombardia ha introdotto studi su associazioni di giornalisti, è successo dovunque con l’applicazione della legge Severino. L’Odg è un ordine professionale a tutti gli effetti anche se nasce come ordine di contrattualizzati. La professione giornalistica è una professione intellettuale. Si spera che attraverso il digitale tante forze polverizzate, individualizzate possano trovare un loro sviluppo. Ce ne sono migliaia di direttori di giornale a partita iva. C’è un malinteso circa la posizione da giornalista dentro le aziende e si pensa che l’unico modo per fare determinate cose sia quello di prendere la partita iva, si tratta di un malinteso sulla libera professione. Ci sono persone che, sbagliando, vengono addirittura costrette a prendere la partita iva. Stiamo vivendo un periodo di cambiamento epocale. Il passaggio su cui riflettere è questo a mio avviso: siamo passati dal precariato alla libera professione. Un passaggio che andrebbe esaminato con attenzione.

Per poter lavorare i giornalisti hanno davvero bisogno di fare i liberi professionisti. Questo passaggio dal precario che spera di entrare stabilmente in un’azienda al libero professionista non è stato compreso dai giornalisti. Nelle redazioni si parla ancora dell’odore del piombo nemmeno delle macchine da scrivere. Nel nostro paese esiste dualismo fra editore e giornalista. Esiste la fabbrica tante parcellizzazioni del lavoro che conducono il giornalista a fare una parte del lavoro che è un tipico processo industriale. La distinzione fra libero professionista e imprenditore è notevolissima anche nel nostro diritto.

I giornalisti da soli non riescono a qualificarsi come imprenditori di se stessi. Il libero professionista presta la propria abilità professionale come consulente. L’imprenditore organizza i mezzi della produzione. In Italia non esiste, o quasi il direttore di giornale che ne è anche il proprietario. In America ad esempio è una figura comune. In Italia una ditta individuale fatta da un giornalista che si prende la partita iva e fa l’imprenditore di se stesso non si può fare. Il giornalista che volesse fare questo da una parte viene spinto verso l’iscrizione alla camera di commercio, e quindi diventerebbe ditta individuale, dall’altra però deve essere iscritto per legge ad un ordine professionale che è fatto di liberi professionisti.

In Europa solo il Portogallo è come noi.  Questo sistema degli ordini professionali che vige nel nostro Paese a mio avviso funziona e non dovrebbe essere distrutto. L’illusione internet dà la proprietà dei mezzi di produzione ad un signore che fino a qualche tempo prima faceva l’operaio dentro la fabbrica. Lo sforzo di adattamento per comprendere e adattarsi all’enorme cambiamento lascerà sul campo tanti feriti per creare delle basi economiche ci saranno molti esperimenti falliti ma anche le possibilità creative sono enormi. Il quadro giuridico normativo attuale è sfavorevole e non chiaro.

Un giornalista libero professionista e imprenditore di se stesso non siamo in grado di stabilirlo; al momento esistono le società, e la possibilità di fare giornalismo in forma associata. C’è questa illusione di avere le possibilità di fare tutto da se grazie al digitale e ai computer. Un giornale da soli non si fa. Anche però fare giornali per società private, enti, o altro, può non essere la strada giusta per creare basi economiche solide.

Bisogna riflettere attentamente. I giornalisti del futuro non saranno diversi da quelli del passato. Bisogna superare l’idea del precariato diventando con orgoglio liberi professionisti e imprenditori, sempre ammesso che venga risolto l’attuale problema giuridico.  Se questo riuscirà tutto si attiverà. Ricordiamoci che già ora i giornalisti possono esercitare la professione senza essere costretti a prendere la partita iva.  I giornalisti paludati con pensioni milionarie fanno un poco arrabbiare. Il vero problema deontologico, a mio avviso, è questo. Chi ha la fortuna di stare in un posto strutturato cerchi di trattare bene i colleghi meno fortunati.

Carlo Bartoli:

La posizione dell’Ordine è fondamentale. Questo mutamento genetico ha enormi conseguenze anche per noi. L’ordine nasce come ordine di dipendenti ed effettivamente lo era sino a 30 anni fa. Rispetto alla figura del giornalista imprenditore ricordiamoci sempre la storica sentenza della Corte Costituzionale che ha sancito il principio che nel giornalismo: “un ordine ci vuole perché serve a garantire l’indipendenza del giornalista rispetto al contrapposto ruolo del potere economico rappresentato dall’editore”.

Dice ancora la sentenza che tale ruolo di difesa non può essere assolto dal sindacato. In questo particolare momento che ruolo può svolgere l’ordine? Non possiamo essere difensori di una realtà che non esiste più. Le dinamiche professionali sono cambiate. Cerchiamo di aggiornarci e attraverso la formazione rendere competitivi i giornalisti ad un nuovo mercato del lavoro.

Marco Giovannelli:

La libera professione è una nobile cosa, una cosa che ha valore. Fare giornalismo significa però comprendere che il giornale è un’opera collettiva.  Il tema deve tornare ad essere cosa significa fare un giornale anche come impresa. Il tema non può essere come posso sopravvivere ad un mercato che prevede le competenze da seo. Noi abbiam bisogno di capire che tipi di risposte ad una crisi così profonda e che riguarda la società possiamo dare come giornalisti non in quanto singoli ma come agenti di un’impresa collettiva e che solo come collettivo posso fare, che si chiama giornale. Dobbiamo rispondere alla domanda su come fare informazione oggi.  Al centro va messa la forma di lavoro collettivo che è un giornale. Applaudo chi fa crowdfunding. Ma un po’ mi fido e un po’ no. Perché qualunque cosa succeda solo uno ne risponde. Un editore garantisce un processo collettivo di costruzione di un processo informativo.

La forma giornale è soprattutto a tutela del lettore. Non è che il comunicatore è un truffaldino e il giornalista è un santo. Pensate a Eni che ora ha la parte della comunicazione diretta da un grande giornalista come Marco Bardazzi. Non ci sono contrapposizioni su questo. Il concetto è molto diverso. Eni ultimamente proprio sui mezzi digitali sta facendo ottimo giornalismo e anche giornalismo di sperimentazione inteso come forme narrative.

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