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eJournalism, la dura vita del freelance

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Dopo averne annunciato la nascita, Lsdi torna sul progetto Radio Bullets con un’intervista approfondita alle due curatrici. Alessia Cerantola e Barbara Schiavulli raccontano la genesi del progetto e, basandosi sulle proprie esperienze professionali, forniscono una valutazione a tratti amara del nostro giornalismo attuale e compiono una riflessione sulla categoria dei freelance italiani: evidenziando le difficoltà di un mestiere stretto tra regole assurde e indifferenza da parte degli editori, ma sottolineando anche le responsabilità degli stessi freelance.

#eJournalism è una rubrica settimanale promossa da Key4biz e LSDI (Libertà di stampa, diritto all’informazione).

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Una situazione che, secondo Alessia Cerantola, è peggiorata, ma dalla quale vede emergere comunque “nuovi giornalisti, quelli che vengono chiamati d’avanguardia, che stanno rivoluzionando nel loro piccolo, a volte senza un soldo il nostro settore” dando vita a “nuovi tipi di giornalismo, collaborativo, multimediale, transnazionale”.

Un settore, sottolinea Barbara Schiavulli, in cui “i nostri pezzi sono in vendita, non noi” e che deve essere rivoluzionato grazie all’iniziativa di chi questo mestiere lo ama: “Non sarà facile, non sarà veloce, ma qualcosa proveremo a farla accadere. Spetta solo a noi rimboccarci le maniche e provare a fare la differenza”.

a cura di Fabio Dalmasso

Perché e quando avete deciso di dare vita a Radio Bullets?

Radio Bullets è stata l’evoluzione sonora della rassegna online, condivisa via Facebook, che pubblicavamo da settembre e che Barbara aveva iniziato mesi prima. L’abbiamo proposta, decisa, creata assieme ai nostri lettori, che hanno partecipato alla scelta del nome, del logo e di altri dettagli.

Perché avete scelto questo nome?

È l’opzione che andava per la maggiore tra il nostro pubblico. Le pallottole sono una metafora della raffica di notizie sul mondo che lanciamo, che servono ad avere una veloce carrellata e non sono in genere esaustive.

Perché avete scelto questa forma di comunicazione, cioè un notiziario radio sul web?

La radio ha una fruizione diversa rispetto allo scritto, può essere ascoltata anche mentre si fa altro e l’intimità che permette questo strumento può diventare molto forte e raggiungere molte più persone.  Personalmente (Alessia Cerantola, n.d.r.), una collaborazione nata un anno fa con la radio di BBC World Service mi sta facendo conoscere e apprezzare le potenzialità della voce nel raccontare diversi generi e temi giornalistici. Noi di Radio Bullets, non potendo permetterci una frequenza FM, ci siamo rivolte al web.

Secondo voi le notizie dall’estero trovano spazio sufficiente e vengono tratte in maniera adeguata sui media italiani?

Abbiamo lanciato prima la rassegna e poi la radio proprio per integrare e rafforzare, nel nostro piccolo, la scarsa copertura degli esteri che c’è nel nostro paese. Vogliamo capire se si tratta davvero di scarso interesse o di una cecità da parte degli editori, la stessa che ha spesso condizionato e limitato sia me con il Giappone, sia Barbara con il Medio Oriente e altri luoghi che ha coperto come inviata. Il successo crescente di alcuni giornali, come Internazionale, con cui ho iniziato il mio percorso giornalistico, dimostra che forse l’ interesse c’ è già, basta stimolarlo. Come puoi capire il tuo paese senza sapere che cosa accade attorno o lo condiziona di riflesso?

In quanti giornalisti collaborano a Radio Bullets?

Per ora siamo circa una decina, tra collaboratori occasionali e fissi

Cosa pensate del giornalismo italiano attuale?

Alessia Cerantola: È in via di trasformazione. Molti giornalisti si stanno formando all’estero o stanno semplicemente prendendo spunto e creando nuovi modelli, in piena rottura con la tradizione del giornalismo italiano, fatto soprattutto di opinioni e bella scrittura e mostra di sé e che si basa poco su fatti e dati e corretta scrittura. Quello cui si va incontro è un giornalismo che spesso, ma non sempre, arricchisce meno chi lo fa, ha meno tutele e privilegi, ma che forse aspira a riconquistare il suo ruolo principale, informare e avere una funzione per la comunità che serve. In questa cesura con il passato sono molto ottimista.

Barbara Schiavulli: Al contrario di Alessia, io non sono così positiva: lavorando da 20 e scrivendo sempre per i giornali italiani ho visto il progressivo decadimento della professione, veloce ed inesorabile come non credevo neanche fosse possibile. Ho visto entrare nel giro del giornalismo personaggi discutibili più legati alle conoscenze personali che a quelle del mondo che dovevano raccontare. Ho visto scadere la qualità in nome del basso costo. Ormai il giornalismo in Italia è una sorta di fast food al quale tutti, senza sconti, si sono adeguati: parlo soprattutto della carta stampata che è quella per la quale ho lavorato ed è quella dalla quale mi aspettavo un moto di stizza, invece nulla.

Non ci sono state proteste, non ci sono stati sussulti, la professione e le storie sono state lasciate andare con la scusa che costavano troppo per quello che interessavano alla gente. Io resto dell’idea che alle persone le storie degli altri, anche dalle parti più lontane del mondo, interessano perché fa parte della nostra partecipazione al mondo stesso. Sapere quello che accade è per me già un modo per migliorarlo od opporsi a quello che accade intorno a noi. Ma se le notizie non vengono date, alla gente non può interessare quello che non sa esistere. Molti dicono che ormai c’è internet, che ognuno può informarsi da solo, ma internet per molti è ancora un privilegio e non è facile farsi strada nella melma di informazioni che arrivano. Il giornalismo dovrebbe essere una sorta di garanzia per il lettore.

Siete entrambe freelance, come giudicate la situazione dei freelance in Italia?

Alessia Cerantola: Io mi sono espressa in passato su questo tema, denunciando in modo per quanto più possibile obiettivo e con dati, attraverso varie piattaforme in inglese come l’European Journalism Centre e il blog su BBC la drammatica situazione dei freelance italiani. Proprio tra qualche giorno è il secondo anniversario di un premio ricevuto da Reporter sans frontières e Unesco, “Freedom of the press”, per un articolo che spiegava che cosa volesse dire essere giornalisti non d’ élite in Italia. Durante la premiazione, a Vienna, dedicai il premio ai colleghi freelance italiani, ai loro sacrifici e all’ ingiustizia quotidiana cui sono sottoposti.

Oggi la situazione, se possibile, è peggiorata, però la mia dedica sarebbe diversa: proprio dal fondo di una condizione disperata e paradossale, stanno nascendo nuovi giornalisti, quelli che vengono chiamati d’ avanguardia, che stanno rivoluzionando nel loro piccolo, a volte senza un soldo il nostro settore. Non sono più quelli che cercano lo spazio di tre righe concesso da un giornale, o i due minuti di gloria in una tivù.

Sono persone che creano nuovi tipi di giornalismo, collaborativo, multimediale, transnazionale. Cercano nuovi modi per coinvolgere il lettore nei propri reportage o addirittura nelle inchieste. Sono persone che hanno fatto la loro gavetta nell’ ingiustizia del sistema italiano, che stanno producendo e collaborando con le principali testate del mondo e che rendono il giornalismo italiano orgoglioso di loro. Sono persone che non hanno più paura. E questo dà molta energia ed è molto bello per chi lo vede e lo vive.

Barbara Schiavulli: I freelance in Italia sono l’ultima ruota del carro. Sono una sorta di immigrati clandestini del giornalismo. Niente contratti, sfruttamento totale, pagamenti chissà quando, nessuna possibilità di rivendicare qualche diritto altrimenti non si scrive più o si fa scrivere a quello che prende meno. Il freelance oggi, soprattutto quello giovane, da una parte è strozzato dalla burocrazia pubblica e dall’ altro pugnalato dalle amministrazioni delle redazioni. Vero anche che soprattutto i giovani non sanno dire no. Sono disposti a tutto pur di vedere il proprio nome pubblicato. Ma non funzionerà e non migliorerà mai così. Bisogna sempre ricordarsi che quelli in vendita sono i nostri pezzi, non noi.

L’ unico modo secondo me, per dare una spallata al giornalismo tradizionale è inventarsi cose nuove, è dimostrare che quelli che si impegnano, ci credono, amano questo mestiere, possono dare il loro contributo. Non sarà facile, non sarà veloce, ma qualcosa proveremo a farla accadere. Spetta solo a noi rimboccarci le maniche e provare a fare la differenza.

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