Differenza di genere

eJournalism: solo il 35% delle donne ai vertici dei giornali e ancora meno in tv

di Anna Griffin - Niemanlab.org |

Il sesso femminile, secondo i dati della American Society of News Editors, rappresenta soltanto il 35% dei vertici dei quotidiani cartacei. Ancora meno nella tv dove la percentuale scende al 20%.

Poche donne leader nelle testate giornalistiche? Proponiamo un articolo di approfondimento sul tema per capire come sta evolvendo il giornalismo e che ruolo ricoprono le donne in questa ‘rivoluzione’.

L’ articolo apre l’ultimo numero di Nieman Report, dedicato in particolare alla condizione femminile nei media.

 

 

#eJournalism è una rubrica settimanale promossa da Key4biz e LSDI (Libertà di stampa, diritto all’informazione).

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In un tempo in cui le donne dirigono meno quotidiani statunitensi di quanto non facessero dieci anni orsono, esiste un posto ove esse non soltanto conducono alcune tra le maggiori testate giornalistiche cartacee, ma le maggiori stazioni TV pubbliche e private e fanno la medesima cosa per le stazioni radio: tanto da fare in modo che alcuni dirigenti dei media e parte del pubblico desiderino maggiore presenza maschile.

Questa Eldorado, terra del potere femminile, non è la Svezia, la Finlandia o la Norvegia, focolari domestici di alcune tra le migliori, a livello planetario, politiche pro femminili per ciò che attiene ad assistenza parentale, congedo per maternità etc: no.

Quando si tratta di condizione femminile ai vertici dei media, il miglior luogo del mondo, se si è una donna in cerca di carriera, è…la Bulgaria.

In qualsiasi altro posto le donne non arrivano in alto per molteplici e svariate ragioni: perché sono state discriminate, sia esplicitamente ed intenzionalmente che in modo non volontario, perché sono state etichettate come troppo aggressive o troppo deboli, o, semplicemente, perché hanno scelto di occuparsi anche della cura dei propri figli.

In Bulgaria, semplicemente, le donne sono al vertice del giornalismo perché questo non è mai stato preso troppo sul serio: sotto l’egida comunista, la stampa era pesantemente sotto censura ed il giornalismo era mal pagato; al giorno d’oggi, non a caso, il cuore dei mezzi di comunicazione focalizza e si occupa di contenuti da tabloid, intrattenimento, pettegolezzo e scandali.

In Bulgaria il giornalismo è una professione di second’ordine. Nell’intero mondo, comunque, perfino in posti ove il cosiddetto Quarto Potere è considerato ganglio vitale del dibattito pubblico, le statistiche riferiscono una storia inquietante, di progresso non solo fermato, ma addirittura eroso. A dispetto del fatto che le donne costituiscano più della metà della popolazione ed egualmente, ogni anno, più della metà dei laureati in scienze della comunicazione, il sesso femminile rappresenta soltanto il 35 per cento dei vertici dei quotidiani cartacei (dati 2014, derivanti dal 2014 American Society of News Editors (ASNE) newsroom census, ASNE). Le donne gestiscono solamente tre delle testate di livello nazionale, otto dei maggiori quotidiani con tiratura sotto le centomila copie, tre delle maggiori testate con tiratura sotto le 50.000 e… soltanto tre delle 25 testate di punta a livello internazionale sono condotte e gestite da una donna.

I numeri sono finanche più anomali in radio e TV: nel 2014, un sondaggio 2014 della Radio Television Digital News Association (RTDNA) (RTDNA), rivelava come, a dispetto di più del 40 per cento della forza lavoro ivi impiegata, la TV vedesse solo il 31 per cento delle donne alla direzione dei notiziari TV e un ancor peggiore 20 per cento nel livello di direzione generale; la medesima ricerca statistica rivelava che l’altra metà del Cielo annoverava un misero 23% nei notiziari radiofonici come direttori ed uno striminzito 18% nella dirigenza generalmente intesa.

Comunque, medesime cattive notizie dalla maggior parte del mondo: il Global Report on the Status of Women in the News Media, il rapporto globale sulla condizione femminile nei media giornalistici, ha interrogato più di 500 aziende media in più di sessanta paesi, e verificato che gli uomini occupano il 73 per cento dei posti di lavoro di vertice.

L’ostracizzazione, da parte del New York Times, di Jill Abramson, unita alle “dimissioni” da Le Monde di Natalie Nougayrède, entrambe avvenute il 14 maggio, hanno fatto notizia e causato una bollente discussione nell’ intera industria della comunicazione sulla condizione femminile nel giornalismo. Queste due “dipartite” professionali, entrambe di calibro consistente, sono il mero, ultimo segno che, con alcune rimarchevoli eccezioni, ed a dispetto di anni ed anni di lavoro diretto e teso all’ incremento della diversità intesa come valore aggiunto, gli uomini detengono ancora il potere, in questa industria.

Come fanno, in effetti, nella maggior parte dei casi: rivista Fortune, lista dei primi 500, solo 24 donne; il Financial Post, sempre primi 500 posti, nella versione canadese, ne include 26…

I risultati che derivano da tale disparità di genere sono in special modo perniciosi nel mondo del giornalismo; per meglio svolgere il pubblico servizio di “cani da guardia” del vero e diffondere verità, le testate giornalistiche abbisognano di un vasto campionario di voci e prospettive, e quindi di punti di vista diversi.

Per prosperare in senso economico, al contrario, esse dovrebbero fare appello ad una eterogeneità di potenziali spettatori/lettori, ascoltatori e lettori, equamente distribuiti tra i sessi. In aggiunta, analisi dei contenuti e dati derivanti da aneddotica relativa, suggeriscono che il genere del leader di redazione può avere una sottile ma importante influenza su tutto, a partire da quali storie sono scelte per la diffusione ed al come diffonderle, fino a giungere a chi viene promosso ed al perché.

Eppure, a dispetto di complessivi guadagni e nicchie di progresso, storicamente parlando, le donne tardano quando si tratta di assurgere al comando: ci sono, nell’ ambiente, moltissime dirigenti di lungo corso pessimisticamente concentrate sull’ argomento come non lo sono mai state e, soprattutto, preoccupate del fatto che la nuova generazione, quella delle aziende mediatiche digitali ora nascenti stia ricreando, riproducendo, molti del meccanismi di nefasto squilibrio che hanno caratterizzato i mezzi di comunicazione ‘’precedenti’’.

“Quello cui stiamo assistendo nei media è parte di un fenomeno di più ampia scala, che riguarda le donne e la loro leadership in qualsivoglia campo”, afferma Melanie Sill, ex redattrice del “The (Raleigh N. C.) News & Observer” e del “Sacramento Bee”, ora responsabile per i contenuti alla stazione radio pubblica KPCC della California del sud.

“Stiamo scivolando su una brutta china, come industria e come società, all’indietro e verso un tristo posto ove le donne non hanno le stesse opportunità e, tanto meno, la stessa influenza’’.

(Traduzione a cura di Maria Daniela Barbieri)

Il testo continua sul Nieman Reports