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Economia high-tech in Italia, esportazioni raddoppiate. Il rapporto

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Tra il 2010 e il 2024, la quota delle esportazioni ad alta tecnologia sul prodotto interno lordo è quasi raddoppiata, passando dall’1,4 al 2,7 per cento.

Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui..

Il nuovo rapporto del think tank CED – Centro Economia Digitale, “High-Tech Economy. Il nuovo ciclo competitivo globale”, entra nel novero delle analisi che, con dati aggiornati, descrivono il trend più inarrestabile dei nostri tempi, ossia come la tecnologia stia diventando il principale motore della crescita economica. Il lavoro raccoglie dati e analisi che mostrano la nascita di un’economia capace di fondere ricerca, industria e servizi in un unico sistema produttivo ad alta intensità di conoscenza.

L’idea alla base del rapporto è chiara: la competitività di un paese dipende dalla rapidità con cui riesce ad adottare e diffondere le tecnologie di frontiera. E quindi intelligenza artificiale generativa, biotecnologie, sistemi quantistici, materiali innovativi, energie rinnovabili avanzate e infrastrutture digitali pervasive per comporre una nuova architettura industriale.

In questo contesto, la High-Tech Economy diventa un ecosistema che connette imprese, pubbliche amministrazioni e centri di ricerca per generare valore attraverso l’uso coordinato delle innovazioni.
Il rapporto del CED interpreta questa trasformazione come l’inizio di un nuovo ciclo competitivo globale: le economie che sapranno costruire filiere tecnologiche solide, formare competenze e favorire investimenti mirati potranno crescere in modo più sostenibile, sicuro e inclusivo, per un passaggio che riguarda tutti, dalla manifattura alle infrastrutture, dalla finanza ai servizi pubblici.

L’Italia nella nuova geografia tecnologica

Nel quadro tracciato dal rapporto, l’Italia mostra segnali di evoluzione interessanti. Tra il 2010 e il 2024, la quota delle esportazioni ad alta tecnologia sul prodotto interno lordo è quasi raddoppiata, passando dall’1,4 al 2,7 per cento. Nonostante resti sotto i livelli dei principali partner europei, il dato è la testimonianza di una direzione di marcia chiara, verso una progressiva crescita della componente tecnologica del sistema produttivo.

Il Centro Economia Digitale evidenzia anche la solidità dei settori a media-alta tecnologia, ambito in cui il paese si distingue più che nei comparti “puri” dell’high-tech. La manifattura italiana, grazie a una rete di imprese flessibili e fortemente specializzate, continua a mostrare una capacità di adattamento che molti osservatori internazionali riconoscono come un punto di forza strutturale. Ne deriva un tessuto industriale che, pur non dominando la frontiera della ricerca, riesce a trasformare innovazioni globali in applicazioni concrete e competitività sui mercati.

Il rapporto attribuisce un ruolo cruciale a queste imprese “ponte” tra produzione tradizionale e tecnologie emergenti. Sono loro che alimentano la spesa in ricerca e sviluppo: pur generando circa l’11 per cento del valore aggiunto complessivo, assorbono oltre il 70 per cento degli investimenti privati in materia di ricerca e sviluppo, confermando come l’innovazione si concentri nei segmenti più dinamici della manifattura.

L’Italia, in questo scenario, non parte da zero: dispone di competenze tecniche diffuse, di filiere integrate e di una base imprenditoriale capace di muoversi rapidamente quando trova condizioni favorevoli; e secondo il rapporto, questi elementi non vanno considerati come eccezioni, ma come potenziali fondamenta per una crescita tecnologica più ampia e stabile.

L’impatto economico delle tecnologie avanzate

I dati econometrici raccolti dal rapporto aiutano a quantificare il peso reale della trasformazione in corso. Nei quattordici paesi Ocse analizzati, un incremento di un solo dollaro nel valore aggiunto dei settori ad alta intensità tecnologica e di conoscenza (cosiddetti KTI) genera in media 3,18 dollari di prodotto interno lordo nell’arco di tre anni.

Nelle economie europee il moltiplicatore sale a 3,9, quasi tre volte superiore a quello dei comparti a bassa tecnologia. Il risultato conferma che la diffusione delle tecnologie di frontiera non produce benefici limitati alle imprese più avanzate, ma si propaga lungo l’intero sistema economico.

L’effetto è visibile anche sulla produttività del lavoro. Secondo le stime, uno shock positivo di dieci miliardi di dollari nel valore aggiunto dei settori high-tech determina, nei tre anni successivi, un aumento medio della produttività dello 0,22 per cento nei paesi Ocse, e fino allo 0,59 per cento nei paesi europei del campione. Nei settori a bassa tecnologia, l’effetto equivalente resta inferiore di un ordine di grandezza.

La crescita dell’occupazione segue la stessa direzione. Afronte dell’idea che l’automazione riduca il numero di posti di lavoro, il rapporto mostra dati di segno opposto: un aumento di dieci miliardi di dollari nei settori high-tech è associato alla creazione di circa 177 mila nuovi impieghi nei paesi Ocse e 161 mila nell’Unione europea. Nei comparti low-tech, l’incremento medio scende sotto la metà. Sono numeri che delineano un legame stabile tra investimenti tecnologici e occupazione qualificata, suggerendo che l’innovazione, quando è diffusa e accompagnata da formazione adeguata, tende a espandere, piuttosto che sostituire, il lavoro.

Politiche, competenze e la sfida europea

Nella parte finale, il rapporto concentra l’attenzione sui fattori che possono sostenere la transizione verso la High-Tech Economy. Le analisi mostrano come la disponibilità di tecnologie non basti a garantire crescita, perché servono, almeno, un contesto favorevole, politiche coordinate e investimenti mirati in capitale umano. Il documento propone di spostare il baricentro delle politiche europee da un approccio basato sull’offerta di innovazione (incentivi alla ricerca, fondi per progetti sperimentali) a uno orientato alla domanda di tecnologia, capace di accelerare l’adozione su larga scala.

Questo cambio di prospettiva implica un ruolo più attivo del settore pubblico. Appalti innovativi, digitalizzazione delle amministrazioni e missioni tecnologiche definite possono agire da leva per diffondere competenze e stimolare il mercato interno.

Parallelamente, l’analisi del CED sottolinea la necessità di un impegno stabile nella formazione tecnica e scientifica. Anche sul piano delle infrastrutture digitali e dei servizi di connettività, la consapevolezza dei cittadini e delle imprese diventa parte della strategia: strumenti come i comparatori di offerte broadband e mobile – ad esempio quelli messi a disposizione da SOSTariffe.it – aiutano a valutare la qualità e la convenienza dei servizi, favorendo una domanda più informata e quindi un mercato più competitivo.

Il rapporto richiama anche il concetto della cosiddetta “coopetizione”, cioò l’idea di una cooperazione competitiva tra paesi e imprese che condividono tecnologie e standard pur restando in concorrenza. È un modello che può rafforzare la posizione dell’Europa nel confronto con Stati Uniti e Cina, trasformando la frammentazione dei mercati nazionali in un vantaggio di scala e di diversità industriale.

In questa prospettiva, l’Italia può trarre vantaggio dal proprio tessuto produttivo, fatto di imprese capaci di integrare innovazioni e di muoversi rapidamente in filiere globali. Una politica industriale che favorisca questa attitudine, sostenuta da infrastrutture e formazione adeguate, rappresenta la condizione per trasformare il potenziale tecnologico in crescita duratura.

La questione, è chiaro, non riguarda solo la quantità di innovazione prodotta, ma la capacità collettiva di assorbirla, adattarla e distribuirne i benefici. In questo passaggio, le politiche pubbliche e la qualità della collaborazione tra imprese, istituzioni e ricerca assumono un peso decisivo, e per l’Italia, il terreno è complesso ma fertile: la base industriale resta ampia, le competenze tecniche diffuse e l’esperienza di integrazione tecnologica più avanzata di quanto spesso si riconosca. Il potenziale esiste, ma richiede continuità, visione e una governance adeguata.

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