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Ecco perché la nomina di Diego Piacentini crea più problemi di quanti ne risolva

Raffaele Barberio

La nomina del governo di Diego Piacentini, italianissimo, ottimo manager e vicepresidente del colosso Amazon, a Commissario del digitale ha sollevato cori di esaltazione da curva sud nella ristretta cerchia dei twittaroli affetti da orgasmo tecnologico senza se e senza ma, più di una riserva nella schiera degli addetti ai lavori.

La nomina annunciata ieri sera decorrerà dal 17 agosto 2016. Una data troppo lontana per valutare oggi il peso reale della cosa e non si comprende perché una nomina così anticipata in un settore dove i ritardi sono talmente marcati da non poter trarre alcun giovamento da annunci così altisonanti.

Ma vediamo in dettaglio i dubbi che tale nomina genera.

Il primo è relativo all’inquadramento.

L’incarico di Piacentini sarà a titolo gratuito. Perché?

Se un commissario al digitale è utile e necessario, allora va pagato, deve rispondere di ciò che fa sulla base di un adeguamento formale e deve fugare, attraverso il riconoscimento economico della propria prestazione, il dubbio del conflitto di interesse.

Insomma chiunque faccia qualcosa deve essere retribuito e proporzionalmente alle sue qualità.

Una regola che deve essere ben chiara anche a Piacentini, che come è noto ha una retribuzione di svariati milioni all’anno. Un Piacentini consulente non pagato dal governo italiano e sempre dipendente da un colosso come Amazon, nella bufera nei mesi passati per non aver pagato il dovuto di tasse (e che ha una potente azione di lobby sulla politica italiana), desta più di una condizione di imbarazzo.

Negli Usa quando la Casa Bianca attinge professionalità dall’industria privata, i prescelti si dimettono dai loro incarichi nelle aziende.

È una regola che regna ovunque, in tutto il mondo avanzato: politica e istituzioni non possono essere confuse con gli interessi dell’industria privata.

Purtroppo in Italia quello di Piacentini non è neanche il primo caso, proprio in materie attinenti lo sviluppo del digitale.

Ora sembrerebbe che addirittura Diego Piacentini sarebbe disposto a dimettersi da Amazon per assumere l’incarico gratuito offerto dal governo italiano.

Va tutto bene, ma Piacentini non ci venga a dire che lo fa per amore del suo Paese o per dare un contributo al suo sviluppo digitale o per mettere la sua esperienza a disposizione dell’Italia.

No, questo no, per favore.

Il secondo dubbio riguarda l’ulteriore aggiunta di nuove personalità, più o meno dirompenti, oltre a quelle esistenti.

Se guardiamo al settore pubblico, abbiamo l’AGID, agenzia governativa per la digitalizzazione della PA, che deve lavorare proprio per l’Italia digitale. Forse il suo direttore generale Antonio Samaritani non è in condizione di poter procedere da solo?

In aggiunta abbiamo a Palazzo Chigi anche un altro consigliere sull’innovazione, in questo caso addirittura un imprenditore, Paolo Barberis, incaricato di costruire Italia Login, il mega progetto dell’Italia digitale, la porta d’accesso a tutti i siti della PA digitale, insomma la madre di tutte le battaglie, che purtroppo è ancora rappresentato solo in poche slide che vengono di volta in volta aggiornate.

Abbiamo poi il nostro Digital Champion Riccardo Luna, anch’egli con incarico formalmente gratuito, sul cui operato possiamo discutere per giorni, ma i cui deliverable richiedono pochi attimi di descrizione (nel senso che non si capisce quale sia il mandato e cosa questo abbia prodotto – un peccato peraltro di diretta emanazione europea).

Va anche aggiunto che abbiamo una pletora di tavoli e di comitati: dal Tavolo permanente per l’innovazione e l’agenda digitale italiana, istituito con DPCM del 23 settembre 2014, al Tavolo di coordinamento dell’Agenda digitale, deliberato la scorsa settimana dalla Conferenza delle Regioni. Strutture di scarso se non inutile peso, prive di poteri, buone per distribuire qualche pennacchio.

Intanto l’Italia digitale è al palo e il recente iter del nuovo Codice dell’Amministrazione Digitale indica che in Italia non si abbia ancora un’idea chiara del percorso e degli obiettivi da raggiungere.

Oppure tutto è molto chiaro nel senso che a vincere sono i potenti nemici del digitale.

Insomma la vicenda pone ancora una volta due problemi, che pesano come macigni sull’Italia e che hanno determinato la sua condizione di stallo.

Il primo è quello degli annunci altisonanti. Non abbiamo bisogno di api regine. Occorrono invece tante api operaie ed occorrerebbe spostare il focus degli annunci da quello che si farà (e che partirà solo tra sei mesi, come in questo caso, e Dio solo sa come sarà l’Italia tra sei mesi) ai risultati che si sono invece concretamente realizzati.

Abbiamo bisogno di vittorie non degli annunci di nuovi condottieri o soldati di ventura che si dichiarano disponibili a guidare le truppe.

Il secondo è quello del rapporto tra politici e tecnici.

I problemi devono essere posti in mano alla politica, non in mano ai tecnici (di cui la politica non può e non deve fare a meno). Abbiamo alle spalle esperienze concrete di ministri o addirittura capi di governo tecnici che hanno fatto scempio delle problematiche che hanno maneggiato, lasciando dietro di sé macerie.

La nomina di Diego Piacentini, ottimo manager e vanto italiano all’estero, in qualche modo ci ricorda, suo malgrado, tutte queste cose.

Staremo a vedere.

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