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E se iniziassimo a costruire un primo vocabolario dell’educazione digitale?

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Si inizia a parlare di prevenzione del disagio, della dipendenza da internet, degli effetti nocivi della tecnologia solo più tardi nella linea del tempo, perché non iniziare prima?

L’educazione digitale inizia da subito, nel momento in cui il bambino viene al mondo e deve confrontarsi in modo quasi istantaneo con selfie, foto, video, assenteismo digitale di genitori spesso catturati dal fascino e della potenzialità del digitale che permette di catturare e registrare i primi frame di presenza del loro nuovo ruolo genitoriale, facendogli nello stesso tempo correre il rischio di perdere di vista linee di condotte dettate dal buon senso che ancora oggi mantiene il baluardo di direzionalità esecutiva nell’inaugurazione di ogni nuovo nucleo familiare.

La trasformazione di gesti consueti, di un papà che guarda con ammirazione e orgoglio il nuovo nato e che nell’esito comportamentale post rivoluzione digitale si trasforma nel papà che scatta la foto di suo figlio per pubblicarla nei social alla ricerca della conferma relazionale dell’inaugurazione sociale della sua paternità, ci fanno comprendere che l’educazione digitale sia ancora un terreno espressivo poco considerato e poco legittimato nell’onda tusnamica del così fan tutti.

Si inizia a parlare di prevenzione del disagio, della dipendenza da internet, degli effetti nocivi della tecnologia solo più tardi nella linea del tempo, che ha fatto di quel bambino un adolescente alle prese con la sua appendice strutturale tecnologica che regola i suoi comportamenti, la sua affettività, il suo divertimento, il suo modo di conoscere il mondo e di presentarsi al mondo.

Il Leit motive dell’esserci nel digitale piuttosto che l’essere, vivere, riflettere, sedimentare la presenza nel mondo reale per traghettarla, connetterla, espanderla nel villaggio globale, anche nella sua veste più ricercata, frutto della trasformazione da bambino a ragazzo e futuro cittadino del mondo, non è di certo azionato dal circuito digitale bensì dalla mediazione dell’essere umano che ne ha plasmato l’utilizzo a sua conformità azionando quelle leve motivazionali che sono onnipresenti nella psiche individuale. Ricerca di apprezzamento, riconoscimento, valore, che si carica di onnipotenza ed esaltazione narcisistica nel momento in cui, la facilità dell’ESSERCI nel migliore dei modi nel digitale, mi permette di superare dosi di vergogna, timidezze, andature dinoccolate, stati emotivi difficili da riconoscere, discriminare e vivere.

Lo schermo caricato del valore aggiunto di muro difensivo e facilitatore emotivo, mi permette di riflettere poco sul mio vissuto interno, a vantaggio di una carica dopaminergica di autostima che si plasma su circuiti di ricompensa che non fanno altro che ri-direzionare lo sguardo della mia ricerca del fuori, del contatto con l’altro, ad un posizionamento interno che spesso, come un boomerang mi torna indietro e distrugge il mio essere presente nelle relazioni. Nella lettura dei dati di ricerca che mettono in evidenza il ruolo della vita online nelle condotte autolesioniste, suicidali, in cui si cerca nel web come fare o cosa lasciare a testimonianza di, l’etichetta dell’esserci senza prima essere pervenuti all’essere assume toni interpretativi maggiormente definiti e comprensibili.

Prima di arrivare a parlare di cyberbullismo, di derisioni digitali, di hate speech, di condotte narcisistiche poco edificanti, occorrerebbe iniziare a pensare alla mediazione umana dell’utilizzo della tecnologia che risente in primis delle scelte motivazionali psicologicamente orientate dell’adulto, che, come sempre, fanno da specchio direttivo ai comportamenti e alle trasformazioni delle nuove generazioni.

Se l’incipit iniziale della presentazione digitale, così come tutti i primi passi di un viaggio [e in questo caso si parla del viaggio della vita], è agito con poca consapevolezza e responsabilità, l’andatura futura risentirà dell’imprinting iniziale, di un prima centrato sul dentro digitale piuttosto che sulla riflessione interna che fa delle emozioni la bussola di orientamento verso un utilizzo della tecnologia nel suo empowerment per eccellenza, in cui la qualità affettiva dell’esserci fuori viene potenziata e agevolata nella protezione legittimata e indiscussa di un qui ed ora relazionale.

Iniziamo quindi a costruire un primo vocabolario dell’educazione digitale da condividere, diffondere e sul quale riflettere per riappropriarci di quel buon senso adulto, pre-digitale che l’utilizzo selvaggio e poco consapevole del mettere dentro momenti di vita edificanti la personalità delle nuove generazioni. È quel fare digitale poco responsabile, che non tiene conto della responsabilità, della protezione, del rispetto di una mente che si sta formando, che forma le relazioni, e che delinea quelle mappe mentali [Siegel, 2012] di orientamento che ci permetteranno di prendere in mano il timone verso una rotta di navigazione della nostra vita digital connected.

Senza quindi dimenticare che i bambini, sin da piccoli sono attenti osservatori e partecipatori attivi delle interazioni umane, iniziamo a costruire un nostro vocabolario per proteggere e far agire con consapevolezza il nostro viaggio di vita.

Si parte quindi dalla prima lettera dell’alfabeto: A e per A nell’educazione digitale si intende accompagnamento, per riprendere Tisseròn [2016] verso un utilizzo consapevole e responsabile della tecnologia, che non si oggettivizza a richieste affettive e confermatorie di un divenire mentale che ha bisogno di essere accolto, pensato, metabolizzato e solo dopo condiviso nella necessità di una reale condivisione affettiva in cui lo scambio agisce da cemento relazionale anche nella sua espressione digitale.

Rispetto quindi dei tempi evolutivi e delle competenze acquisite del bambino lungo una traiettoria di ingresso nel digitale in cui, così come per insegnare a camminare, si insegna ad utilizzare i nuovi device nel loro empowerment potenziale [Volpi, 2017]. Di nuovo sempre insieme e mai soli, soprattutto nei primi momenti di conoscenza degli strumenti. Solo dopo si può iniziare a solcare il terreno del pensiero critico e creativo che fa dell’utilizzo un generatore di nuove potenzialità correttamente direzionate.

Bibliografia

Siegel D. [2012], Pocket Guide to Interpersonal Neurobiology, tr.it. Mappe per la mente, Raffaello Cortina 2014.

Tisseròn Serge, [2016], 3-6-9-12 Diventare grande all’epoca degli schermi digitali, La Scuola Editore, Brescia.

Volpi B. [2017], Genitori Digitali, IL Mulino.