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Draghi: “Tecnologie critiche centrali per prosperità e autonomia Ue”. Perché insiste sul 28° regime?

Il discorso di Mario Draghi al Meeting di Rimini

Il ruolo marginale dell’Ue nel mondo secondo Mario Draghi

Dal palco del Meeting di Rimini, l’ex Presidente del Consiglio dei ministri e ex Presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha lanciato un avvertimento chiaro all’Unione europea: “Per anni l’Unione Europea ha creduto che la dimensione economica, con 450 milioni di consumatori, portasse con sé potere geopolitico e nelle relazioni commerciali internazionali. Quest’anno sarà ricordato come l’anno, in cui questa illusione è evaporata”.

In sintesi, la sola dimensione economica non basta più a garantire potere geopolitico né sicurezza.

Draghi di fatto ha tracciato un quadro severo, indicando le fragilità di Bruxelles e i rischi di marginalità in un contesto dominato da Stati Uniti e Cina.
Le prove di questa marginalità sono molteplici e sotto gli occhi di tutti: “L’Europa è stata spettatrice anche quando i siti nucleari iraniani venivano bombardati e il massacro di Gaza si intensificava”; “Abbiamo dovuto rassegnarci ai dazi imposti dal nostro più grande partner commerciale e alleato di antica data, gli Stati Uniti” e “Siamo stati spinti dallo stesso alleato ad aumentare la spesa militare, in forme e modi che probabilmente non riflettono l’interesse dell’Europa”.

Non solo, anche l’altra grande potenza globale, la Cina, ha di fatto chiarito che “non considera l’Europa come un partner alla pari e usa il suo controllo nel campo delle terre rare per rendere la nostra dipendenza sempre più vincolante”.

Punti critici, su cui la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha voluto rispondere via stampa, difendendo l’accordo sui dazi, passo obbligato secondo lei per evitare lo scontro commerciale e politico e per rilanciare l’indipendenza europea (passaggio difficile da comprendere).

Un nuovo patto europeo e nuove forme di integrazione, Draghi rilancia il 28° regime

Il punto chiave del discorso è uno solo: “l’Unione europea per raggiungere questi obiettivi dovrà muoversi verso nuove forme di integrazione”.

Abbiamo la possibilità di farlo, ha sottolineato Draghi: “per esempio con il ventottesimo regime che opera al di sopra della dimensione nazionale, per esempio con un accordo su progetti di comune interesse europeo e con il loro finanziamento comune, condizione essenziale perché raggiungano la dimensione tecnologicamente necessaria ed economicamente autosufficiente”.

Con “28° regime”, l’ex presidente della Bce si riferisce alla proposta (già presentata nel suo Rapporto del 2024) di creare un quadro giuridico speciale e opzionale per le imprese nell’Unione Europea, ideato per superare la frammentazione dei 27 regimi giuridici nazionali esistenti. Questa iniziativa, menzionata in diversi rapporti tra cui la Bussola europea per la competitività, mira a semplificare e armonizzare le normative in materia societaria, fallimentare, lavoristica e tributaria, al fine di ridurre costi e ostacoli e promuovere l’innovazione e la competitività delle aziende europee nel mercato unico.

Draghi ha indicato due strade prioritarie: mercato interno e debito comune.

Completare il mercato interno, rimuovendo gli ostacoli che, secondo il FMI, costano all’Europa fino a 5 punti di produttività persa in 7 anni (dal 2% attuale al 7% potenziale).
Punto questo su cui concorda von der Leyen.

Investire con debito comune in difesa, energia e tecnologie dirompenti: “Il debito buono oggi non è più possibile a livello nazionale – ha detto – perché la scala richiesta eccede le capacità dei singoli Stati. Solo forme comuni possono finanziare progetti sufficientemente grandi”.

Il mondo è cambiato, bisogna cambiare l’Europa

Secondo l’ex premier, l’insicurezza diffusa, il senso di incertezza economica e di marginalità politica, hanno alimentato negli ultimi anni anche disorientamento etico e un vasto scetticismo dei cittadini verso l’idea stessa dell’Unione, non tanto (o non solo) verso i valori fondativi – pace, libertà, indipendenza – ma soprattutto verso la capacità dell’Unione di difenderli.

L’Europa è diventata grande nel mondo caratterizzato dalla fede nel libero scambio e nell’apertura dei mercati, ma come ha sottolineato Draghi: “quel mondo è finito e molte delle sue caratteristiche sono state cancellate”.

Oggi i capisaldi della politica sono geo-economia, sicurezza e stabilità delle fonti di approvvigionamento, secondo l’ex Premier italiano: “La nostra organizzazione politica deve adattarsi alle esigenze del suo tempo quando esse sono esistenziali: noi europei dobbiamo arrivare a un consenso su ciò che questo comporta”.

L’Europa in ritardo su Difesa e tecnologie, il caso emblematico dei semiconduttori

Draghi ha richiamato con forza la necessità di una trasformazione politica e industriale, un percorso irrinunciabile e che anzi ci vede già troppo indietro.

Sul fronte della Difesa, ha ricordato che gli Stati europei pianificano spese aggiuntive per 2.000 miliardi di euro entro il 2031, di cui un quarto solo in Germania. Tuttavia, le barriere interne equivalgono a tariffe del 64% sui macchinari e del 95% sui metalli, rendendo inefficiente e lenta la costruzione di una vera capacità comune.

In campo tecnologico, ha portato l’esempio dei semiconduttori: negli Stati Uniti i progetti industriali vanno da 30 a 65 miliardi di dollari, mentre in Europa restano frammentati e limitati a investimenti tra 2 e 3 miliardi di euro ciascuno. Un divario che mette a rischio l’obiettivo Ue di raggiungere il 20% del mercato globale entro il 2030 (oggi sotto il 10%).

Nessun Paese che voglia prosperità e sovranità può permettersi di essere escluso dalle tecnologie critiche”, ha precisato Draghi, che mette anche in guardia dalla dipendenza da fornitori stranieri, rilanciando la centralità dell’indipendenza e dell’autonomia in questo settore strategico, soprattutto per le ampie ricadute in numerosi settori campi economici e industriali.

La sfida politica: dall’emergenza alla normalità

Draghi ha ricordato che l’UE ha dimostrato capacità di innovazione in tempi eccezionali – dal Next Generation EU durante la pandemia alla risposta unitaria all’invasione russa dell’Ucraina – ma ha ammonito che la vera sfida è agire “con la stessa decisione in tempi ordinari”.

Ha infine affidato un appello alle nuove generazioni europee: “Trasformate lo scetticismo in azione. L’Europa è la nostra migliore opportunità di pace, sicurezza e indipendenza. Ma dobbiamo ridisegnarla adesso, non quando sarà troppo tardi”.

Il bivio storico

Draghi scrive “stringiamoci tutti insieme” per affrontare le grandi sfide del nostro tempo, ma la vera domanda è un’altra: noi 27, abbiamo davvero una visione condivisa dello scenario storico che stiamo vivendo? Guardiamo davvero il mondo allo stesso modo?

Sembrano domande banali, ma in fin dei conti la realtà è sempre più semplice delle chiacchiere da talk show: di fronte ad un bivio, o camminiamo tutti insieme in una direzione, o si finisce per dividersi. Vale per i grandi ideali, come per le scelte da fare in campo economico e tecnologico. L’Europa era un’idea di pace e prosperità, ha ragione Draghi, adesso è tempo di decidere se continuare a crederci e quindi agire di conseguenza, o guardare in faccia alla realtà e accettare che quell’idea non c’è più.

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