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Il 17 dicembre scorso, con Circolare n. 300/STRADA/1/10060.U/2021[FC1], il Ministero dell’Interno ha reso noto il parere del Garante in merito al tema delle notifiche via PEC dei verbali di contravvenzione del Codice della strada agli indirizzi di posta certificata degli studi professionali.
Il parere del Garante
Come si evince dal Parere del Garante, al fine di proteggere la riservatezza dei destinatari, i verbali di accertamento delle sanzioni del codice della strada non dovrebbero essere notificati presso le caselle di posta certificata assegnate dal consiglio dell’ordine professionale di appartenenza, in quanto “potenzialmente visibili anche da altri soggetti e/o collaboratori del professionista”.
Lo stop dovrebbe riguardare, più precisamente, le notifiche a caselle individuate attraverso ricerche massive sull’elenco pubblico INI-PEC.
La normativa di settore (D.M. 18/12/2017, circolare del 20 febbraio 2018, n. 300/A/1500/18/127/9), prosegue il Garante, prevede la possibilità di notificare via PEC le contravvenzioni del codice stradale ove l’indirizzo sia stato comunicato direttamente dall’interessato o sia reperibile nei “nei pubblici elenchi notificazioni e comunicazioni elettroniche”.
Ad oggi, tuttavia, l’unico elenco attivo in cui poter rintracciare gli indirizzi è il Registro INI-PEC, ovvero quello contenente i domicili digitali di imprese e professionisti, non essendo ancora operativo l’Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche, dei professionisti e degli altri enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione in albi, elenchi o registri professionali o nel registro delle imprese (INAD).
Tramite la ricerca nel registro INI-PEC, pertanto, è possibile individuare una casella riferibile al destinatario della contravvenzione che, essendo utilizzata in ambito lavorativo, risulta potenzialmente accessibile ad altri soggetti.
Pertanto, ribadendo quanto aveva già precedentemente affermato, con nota prot. n. 18521 del 20 maggio 2020, secondo l’Authority, le “ricerche massive e indiscriminate” di indirizzi nel registro INI-PEC sono da considerarsi illegittime e dovrebbe effettuarsi una valutazione specifica per singolo caso, al fine di valutare se tale casella possa essere ad uso esclusivamente personale o anche accessibile ad altri.
Alla luce dei numerosi reclami ricevuti e, in ossequio ai principi di minimizzazione dei dati, integrità e riservatezza sanciti all’art. 5 del GDPR, il Garante adotta quindi una misura estrema, stabilendo che, fino all’entrata in vigore dell’INAD, le violazioni non potranno essere notificate agli indirizzi PEC assegnati dagli Ordini professionali, poiché quest’ultimi potrebbero proprio rientrare nella fattispecie innanzi detta, ma solo tramite la classica notifica cartacea.
L’INAD e la facoltà di specifica dei professionisti
Tale problematica, a parere del Garante, potrà considerarsi risolta soltanto quando l’INAD diventerà pienamente operativo. Istituito ai sensi dell’art. 6-quater del Codice dell’Amministrazione Digitale (d.lgs. n. 82/2005), l’INAD renderà finalmente effettivo il diritto, spettante a chiunque, di eleggere il proprio domicilio digitale. Al secondo comma, tuttavia, il Legislatore ha previsto che i domicili digitali dei professionisti iscritti all’INI-PEC siano automaticamente inseriti anche nell’INAD come domicili digitali in qualità di persone fisiche, fermo restando il diritto del professionista di eleggerne uno differente ad uso personale.
Come, altresì, chiarito da AgID nelle Linee guida del 15 settembre 2021, gli indirizzi e i nominativi dei professionisti trasferiti provvisoriamente nell’INAD, saranno poi resi pubblici ove entro 30 giorni dall’inserimento i professionisti non avranno usufruito della propria facoltà di modifica. Sono doverose talune considerazioni in riferimento all’efficacia della notificazione con strumenti telematici, anche a seguito delle novità introdotte dal Decreto Semplificazioni n. 76/ 2020 convertito in Legge 120/2020 che riforma, tra gli altri, gli artt. 16 e 16 ter del DL n. 179/2012.
Alcune considerazioni sulla normativa
In particolare, proprio l’art. 16, comma 4, d.l. n. 179/2012 (conv. con modif. dalla l. n. 221/2012) prevede che nei procedimenti civili e in quelli davanti al Consiglio nazionale forense in sede giurisdizionale, le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di PEC risultante da “pubblici elenchi” o comunque accessibili alle Pubbliche Amministrazioni.
Di seguito, il testo del comma 4 dell’art. 16: “Nei procedimenti civili e in quelli davanti al Consiglio nazionale forense in sede giurisdizionale, le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.”
Tale norma appare sufficiente per sottolineare l’efficacia della notifica mediante indirizzo PEC, anche dei professionisti iscritti ad albi, poiché la contingenza personale non è rinvenibile in alcuna norma. Tutt’al più è onere del titolare provvedere al rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali all’interno del proprio studio professionale o organizzazione garantendo quelle misure minime di sicurezza.
Inoltre, L’art. 16 ter d.l. n. 179/2012 (conv. con modif. dalla l. n. 221/2012) riformato dall’art. 28 d.l. n. 76/2020 ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale, sono “pubblici elenchi” dai quali possono essere attinti gli indirizzi PEC dei destinatari delle notifiche telematiche quelli previsti dalle seguenti norme:
- art. 6 bis CAD (rubricato Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti), il quale prevede la istituzione di un pubblico elenco denominato Indice nazionale dei domicili digitali (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti, presso il Ministero dello sviluppo economico;
- art. 6 quater CAD (rubricato Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese), che non risulta essere stato ancora istituito;
- art. 62 CAD (rubricato Anagrafe nazionale della popolazione residente-ANPR), non ancora istituito. Al completamento dell’ANPR di cui all’art. 62, l’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) provvede al trasferimento dei domicili digitali contenuti nell’elenco di cui all’art. 6 quater CAD nell’ANPR;
- art. 16, comma 12, d.l. n. 179/2012 (conv. con modif. dalla l. n. 221/2012), il quale prevede la istituzione di un registro, formato dal Ministero della giustizia, contenente gli indirizzi di PEC delle PP.AA., consultabile esclusivamente dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti, e dagli avvocati;
- art. 16 comma 6 d.l. n. 185/2008 (conv. con modif. dalla l. n. 2/2009) ovvero il Registro delle Imprese;
- il Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE), gestito dal Ministero della giustizia, il quale contiene i dati identificativi nonché l’indirizzo di PEC dei soggetti abilitati esterni (avvocati, curatori, CTU e ausiliari del giudice in genere);
- art. 6 ter CAD (rubricato Indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi), realizzato e gestito dall’AgID, ma solo in caso di mancata indicazione nell’elenco di cui all’art. 16, comma 12, d.l. n. 179/2012.
La notifica via PEC di un atto non inerente all’attività professionale
Già nel 2019, prima ancora dello slancio di digitalizzazione avuto con la crisi pandemica e le relative norme, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 24160 del 2019, ha ritenuto valida la notifica mediante PEC di un atto anche non inerente all’attività professionale. Difatti, la stessa Corte ha sostenuto la validità della notifica anche agli indirizzi risultanti dal registro INI- PEC in quanto deriverebbe da un fatto del tutto esogeno al procedimento notificatorio.
Non si può pensare, nelle more della piena attuazione di tali registri, di fare un passo indietro e ritornare al cartaceo. Sarebbe un bypassare norme del CAD e l’opera di digitalizzazione che si cerca di perfezionare da tempo. L’attenzione alla protezione del dato deve essere d’ausilio agli strumenti digitali.
È opportuno ricordare l’art. 48 del CAD che disciplina, al comma 2: “La trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta.”
L’attenzione ricade perciò sugli effetti della notifica con trasmissione via PEC e, ove volessimo tralasciare le novità introdotte sui pubblici elenchi, appare assai restrittivo e non rinvenibile normativamente l’uso “di default” della PEC lavorativa ad altri soggetti quale presupposto per una limitazione del procedimento notificatorio.
Conclusioni
La posizione del Garante, decretando un ritorno alle forme ordinarie di notifica, risulta in palese contrasto con quanto previsto dal Codice dell’Amministrazione Digitale in merito al diritto al domicilio digitale e alla valenza giuridica della trasmissione telematica.
Viene da chiedersi per quale motivo l’Autorità abbia deciso di adottare un provvedimento che ostacola il processo di digitalizzazione che, ormai, da anni investe il nostro paese mettendo al centro l’utilizzo del domicilio digitale. Lo stesso Piano triennale per l’Informatica 2021-2023 ha come obiettivo principale un utilizzo centralizzato e di tutti i soggetti pubblici e privati del proprio domicilio digitale e della trasmissione telematica quale canale esclusivo.
Inoltre, l’inerenza o meno dell’atto notificato alla propria attività o professionalità del soggetto notificato presupporrebbe un accertamento sostanziale il cui espletamento non trova alcun riferimento normativo specifico e del tutto estraneo al procedimento di notifica inteso in senso stretto.
Tuttavia, l’indicazione del Garante sarebbe condivisibile solo qualora l’asserito utilizzo “promiscuo” della PEC del professionista fosse palesemente valutabile e ad ogni modo, si ribadisce il principio di accountability per cui è onere del titolare realizzare politiche e misure adeguate a garantire (ed essere in grado di dimostrare) che il trattamento dei dati personali effettuato sia conforme al GDPR.