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Diritto all’oblio: Google ha accettato il 60% delle richieste degli utenti

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In Italia, nove utenti si sono rivolti al Garante dopo il mancato accoglimento da parte di Google delle loro richieste, ma solo in due casi ha accettato le loro richieste.

La sentenza della Corte di Giustizia che ha introdotto in Europa il cosiddetto ‘diritto all’oblio’ (Scheda) è stato uno dei temi più discussi del 2014, per le implicazioni non solo sul business dei motori di ricerca ma anche sulla tutela della privacy dei cittadini, che da maggio possono richiedere la cancellazione dai risultati di ricerca di informazioni  ‘inadeguate o non più rilevanti’ sul loro passato.

In sette mesi, Google ha ricevuto 189.238 richieste di rimozione dei link dai risultati di ricerca, come emerge dall’ultimo transparency report.

Il numero di richieste, rende noto Google, sta aumentando costantemente: a ottobre le richieste avevano toccato quota 145 mila.

Per gestire le richieste di rimozione, Google ha predisposto un modulo online che consente di chiedere l’eliminazione dei link ritenuti superati o inesatti dai risultati di ricerca.

Solo il giorno del lancio, il modulo è stato utilizzato 12 mila volte, al ritmo – nei momenti di picco – di 20 richieste al minuto.

Al momento, le richieste totali hanno riguardato 684.419 url: Google ne ha accolto il 60%.

Ieri, il Garante Privacy italiano ha reso noto di aver adottato i primi provvedimenti in merito alle segnalazioni presentate da cittadini dopo il mancato accoglimento da parte di Google delle loro richieste di deindicizzazione.

Di fronte al diniego di Google, infatti, gli utenti italiani possono rivolgersi al Garante per la privacy o all’autorità giudiziaria.

C’è da dire, comunque, che le richieste ‘bocciate’ da Google sono state altrettanto bocciate anche dal Garante, che ha accolto solo due richieste su nove: la prima perché nei documenti pubblicati su un sito erano presenti numerose informazioni eccedenti, riferite anche a persone estranee alla vicenda giudiziaria narrata. La seconda, perché la notizia pubblicata era inserita in un contesto idoneo a ledere la sfera privata della persona.