L'analisi

Direttiva “Smav”, ridotto l’affollamento pubblicitario Rai: – 150 milioni di euro l’anno?

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Il recepimento della Direttiva “Servizi Media AudioVisivi” (Smav) scardina l’attuale assetto del sistema audiovisivo italiano e depaupera il servizio pubblico.

Soltanto il quotidiano online “Key4biz” ha dedicato attenzione (nell’edizione di lunedì scorso 8 novembre così come nella precedente di venerdì 5 novembre) ad una delle 18 direttive europee che sono state recepite dal Governo italiano ovvero dal Consiglio dei Ministri, in extremis (per evitare che scattasse la tagliola delle infrazioni da parte della Commissione Europea), venerdì scorso 5 novembre: si tratta della Direttiva cosiddetta “Smav”, acronimo che sta per “Servizi Media Audiovisivi”.

Nell’edizione di “Key4biz” di venerdì 5 e di lunedì 8 abbiamo dedicato molta attenzione sia a questa Direttiva “Smav”, sia alla consorella Direttiva “Copyright”: vedi “Recepita la Direttiva Copyright, tutte le novità introdotte” il 5 novembre, e “Netflix obbligata in Italia ad investire i propri ricavi al 17% nel 2022 e al 20% nel 2024. Ma non era 25 %?” l’8 novembre.

Eppure, se la seconda Direttiva ha provocato una qualche attenzione da parte dei media (stampa e web), sulla prima si registra, a distanza di giorni, un incredibile silenzio assoluto.

Nell’edizione odierna della sua rubrica “ri-mediamo” sul quotidiano “il Manifesto”, Vincenzo Vita segnala come ne abbia scritto soltanto “Key4biz” giustappunto. L’ex Sottosegretario alle Comunicazioni propone una sua lettura critica di entrambi i provvedimenti, ma evidenzia in particolare come le conseguenze della Direttiva “Smav” sul sistema mediale italiano non siano indifferenti.

Di fatto, il Governo ha messo mano ad alcuni punti sensibili, che vanno a modificare l’impianto complessivo delle norme che regolano la radiotelevisione in Italia: si assiste ad una rivisitazione importante del cosiddetto “Tusmar”, il Testo Unico della Radiotelevisione in Italia (di cui al Decreto Legislativo n. 177/2005 e successive modificazioni…).

Eppure, nessuno sembra rendersene ancora conto.

In effetti, soltanto Andrea Biondi, oggi sul quotidiano confindustriale “Il Sole 24 Ore” dedica attenzione alla Direttiva, ma si concentra su un aspetto minore: le conseguenze sulla piattaforma Infinity di Mediaset per quanto riguarda gli obblighi di investimento. La piattaforma di Mediaset, tornata in auge con i diritti per la “Champions League”, deve investire il 12,5 % in produzioni locali ed Ue; nel decreto legislativo di recepimento della Direttiva Ue Smav previsti obblighi inferiori rispetto a Netflix & Co. (20 % dal 2024). Ed altresì avviene per quanto riguarda Andrea Secchi sulla testata concorrente “Italia Oggi”, che nota tra l’altro il divieto di possedere emittenti radiofoniche locali e nazionali da parte di un unico soggetto, o l’obbligo per le “smart tv” a garantire la numerazione automatica dei canali della televisione digitale terrestre…

Strano.

Cosa rimarca invece Vincenzo Vita, concretamente, in un articolo intitolato “Direttive europee sui media. La carezza e il pugno”?! Che i nuovi tetti di affollamento previsti dalla Direttiva vanno a beneficio di Mediaset e colpiscono Rai: “Mediaset porta a casa un odioso vantaggio negli affollamenti pubblicitari televisivi: un bel + 2 % orario. La concorrente pubblica – la Rai – viene al contrario ingabbiata, con una potenziale perdita annuale tra 50 e 150 milioni di euro”.

La stangata a Rai: tra 50 e 150 milioni di euro l’anno di minori ricavi

È indubbio: la stangata per Rai c’è, e non c’è alcuna compensazione per il servizio pubblico radiotelevisivo.

Nessuna reazione da Viale Mazzini, curiosamente. Silenzio totale.

Ed è anche assai curioso che l’articolo odierno del “il Manifesto” non sia rientrato nemmeno nella rassegna stampa Rai. Per la verità, non è rientrato nemmeno quello di “Key4biz” di lunedì scorso, ma questa non è censura: semplicemente – incredibile ma vero – la rassegna di Viale Mazzini è concentrata totalmente sulla stampa “su carta” ed ignora completamente i quotidiani online (qual è il caso di “Key4biz”) ed il web (allorquando ci sono invece fonti informative preziose, che riguardano direttamente la Rai stessa, come gli accurati ed appassionati blog “VigilanzaTv” curato da Marco Zonetti e l’anonimo “BloggoRai”).

Concentriamoci sulla questione degli affollamenti che riguarda Rai: cosa recita l’Articolo 45 della Decreto Legislativo, intitolato “Limiti di affollamento”?!

“Art. 45 (Limiti di affollamento). 1. La trasmissione di messaggi pubblicitari da parte della concessionaria del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, riferito ad ogni singolo canale, non può eccedere il 7 per cento, e dal 1° gennaio 2023 il 6 per cento, nella fascia oraria compresa fra le ore 06:00 e le ore 18:00 e nella fascia compresa fra le 18:00 e le 24:00, ed il 12 per cento di ogni ora. Una eventuale eccedenza, comunque non superiore all’1 per cento nel corso di un’ora, deve essere recuperata nell’ora antecedente o successiva.

In sostanza, quest’articolo (quel che abbiamo riprodotto è la versione definitiva, nel testo “in stampa” sulla Gazzetta Ufficiale, almeno secondo le nostre fonti) modifica l’attuale assetto del sistema, perché determina un prevedibile travaso della raccolta pubblicitaria della Rai a favore degli altri “broadcaster”. Un altro articolo del Decreto Legislativo consente alle tv in chiaro di aumentare la quota di affollamento dal 18 % al 20 % orario, ed anche per Sky la percentuale sale dal 12 al 15 %.

Per la Rai, il limite di affollamento pubblicitario viene fissato al 7 % ed è destinato scendere al 6 % dal 1° gennaio 2023

Il “tetto” riguarda le fasce orarie tra le ore “6 e le 18” e tra le “18 e le 24”. Il limite per ogni ora è del 12 %.

Per quanto riguarda invece le altre tv nazionali commerciali in chiaro, il limite stabilito passa dal 18 % al 20 %, per le fasce orarie tra le 6 e le 18 e tra le 18 e le 24. Le “pay tv” avranno un tetto del 15 %.

In sostanza, il testo approvato stabilisce che Rai può toccare il 12 % per ora, mantenendosi però dentro il vincolo del 7 % tra le ore 6 del mattino e le 24. Il vincolo sale al 6 % dal 2023. Commentava lo stesso Vita, ad agosto: “Tradotto: si spalmino pure gli spot, ovviamente a costi bassi, nelle ore meno commerciali, per spianare la strada alla concorrenza. L’effetto collaterale inesorabile diventa, così, proprio la discutibile pratica degli sconti messa sotto accusa nella Commissione Parlamentare di Vigilanza”.

In altri termini, cosa accadeva finora?! Il terzo canale Rai rende pubblicitariamente meno, facendo uno share più basso, mentre il primo si mostra più proficuo? Allora, meglio mandare uno spot in più sulla prima rete e uno in meno sulla terza, anziché attenersi a limiti rete per rete…

Finora il “tetto” è stato riferito alla concessionaria pubblica nel suo complesso. La nuova legge impone invece vincoli per ogni rete: inequivocabile il riferimento: l’affollamento va calcolato “riferito ad ogni singolo canale”. E quindi il “gioco” dei travasi – per così dire – salta.

Secondo stime della stessa Rai, il “danno” sarebbe nell’ordine di 130 milioni di euro: così ha dichiarato un mese fa l’Amministratore Delegato Carlo Fuortes in Commissione di Vigilanza: preoccupato dallo schema di decreto attuativo della Direttiva ha sostenuto che la nuova norma avvantaggia le emittenti private e causerà alla Rai “un danno, a regime, di oltre 130 milioni, costringendo ad incrementare gli spot nel day time”.

Fuortes ha sostenuto: “l’impatto sarà pari a meno 50 milioni nel 2022 e a meno 130, nel 2023. In un sistema dei media ‘ormai liquido’, i soldi persi dalla Rai saranno preda dei sempre più avidi social network, dunque lasceranno il nostro Paese per finire all’estero” (così il 12 ottobre, di fronte alla Commissione presieduta dal forzista Alberto Barachini: clicca qui per la videoregistrazione sulla web tv della Camera dei Deputati).

Più precisamente, sosteneva Fuortes il 12 ottobre (testualmente): “i nuovi limiti colpiscono innanzitutto Rai 1, che, nella fascia 18-24, cioè nella fascia più importante, vedrebbe ridotti del 26 per cento i secondi disponibili rispetto ad oggi. Questo con affollamento al 7 per cento. Con l’affollamento al 6 per cento, la riduzione sarebbe del 36 per cento… Da qui l’effetto di 50 milioni di euro per il 2022, e, passando al 6, addirittura fino o addirittura oltre 130 milioni”.

E sosteneva l’Ad: cosa dovrebbe fare Rai se passasse una simile legge?! “Rai sarebbe costretta aumentare tantissimo la pubblicità del day-time, e quindi massimizzare i secondi di pubblicità nelle fasce che attualmente sono meno affollate: ovviamente a tutto svantaggio dell’esperienza dei tele-ascoltatori ed anche della propria reputazione”. Uno scenario funesto, anche per il profilo identitario del servizio pubblico italiano che riteniamo già troppo inquinato – rispetto al “benchmark” della britannica Bbc – dalla presenza della pubblicità, che troppo l’assimila all’emittenza commerciale.

Ad agosto, il Presidente di Apa (Associazione Produttori Audiovisivi) Giancarlo Leone, dopo il via libera del Consiglio dei Ministri allo “schema” del provvedimento attuativo della Direttiva Ue sui media audiovisivi, aveva sostenuto: “abbiamo calcolato che l’introduzione di queste misure potrebbe arrecare minori introiti pubblicitari per la Rai tra i 60 e i 100 milioni di euro”.

Le stime oscillano quindi tra un minimo “ottimista” di 50 milioni di euro ad un massimo “pessimista” nell’ordine di 150 milioni: le variabili in gioco sono in effetti molteplici ed una previsione certa è assai difficile da elaborare.

Arriva questa stangata venerdì scorso e Rai, a distanza di quasi una settimana, tace?!

O forse vuole attendere la pubblicazione del testo nella versione definitiva sulla Gazzetta Ufficiale, prima di scatenare la propria (debole) lobby?!

Unica voce a sostegno della Rai: Giancarlo Leone, Presidente dei produttori audiovisivi

Lieve voce critica (e finora, da venerdì 5… unica!) nelle parole di Giancarlo Leone, Presidente di Apa, che lunedì scorso ha spiegato a Marco Leardi, in una intervista al blog di Davide Maggio “La Tv dietro le quinte”: “prima la Rai aveva un tetto settimanale del 4 % e un tetto orario del 12 %, adesso è andato via il tetto settimanale e sono stati introdotti due vincoli quotidiani. Già questo rischia di restringere il conteggio dei minuti, che è molto complesso… Finora il conteggio dei tetti pubblicitari era a livello di canali generalisti e di canali tematici. Quindi Rai1, Rai2 e Rai3 partecipavano assieme come media nel conteggio del tetto. Ora, il conteggio sul singolo canale, comporta una minor flessibilità soprattutto sulle fasce di maggior affollamento, per le quali prima la Rai stava attenta a calcolare una media che desse comprensibilmente una prevalenza a Rai1”.

Da qui, la denuncia di Giancarlo Leone sul danno economico che il nuovo computo potrebbe arrecare alla Rai: “secondo i calcoli di Apa, a partire dal 2022 e ancor più nel 2023 ci può essere una riduzione di fatturato annuo di circa 100 milioni di euro. Ho letto che la Rai stima tra gli 80 e i 150: può darsi, noi prudentemente abbiamo fatto un computo di poco inferiore. Il risultato è comunque che e le emittenti commerciali potranno raccogliere più pubblicità (perché l’affollamento pubblicitario passerà dal 18 al 20 %), mentre la Rai ne sarà penalizzata”. Secondo Leone, tuttavia, la Rai non potrà fare ragionamenti analoghi sul fronte delle tariffe, per non rischiare di perderci due volte: “noi abbiamo ragionato sulla base delle attuali tariffe, ma non è così semplice pensare a un incremento del tariffario di prime time perché Rai rischia di non essere più competitiva. Oggi viene accusata dalla concorrenza di fare sconti eccessivi (dumping), ma è bene chiarire che gli sconti anche fino all’80 % sono la best practice di tutte le emittenti pubbliche e commerciali. Le tariffe pubblicate non sono mai quelle contrattualizzate, c’è sempre una scontistica”. Ed ovviamente Leone è preoccupato per le conseguenze nel settore che rappresenta: “se Rai diminuirà i ricavi pubblicitari, rischierà di diminuire gli investimenti nel settore audiovisivo”.

Intanto Rai Pubblicità aumenta i prezzi della pubblicità (+ 10 %)… e la raccolta (+ 32 %)

In argomento, come segnalava “Italia Oggi” il 22 ottobre scorso, nel mentre Rai Pubblicità ha comunque annunciato un incremento delle tariffe: le tariffe pubblicitarie di Rai Uno nella prima serata e nell’“access time” aumentano in maniera significativa, portando il listino di Rai Pubblicità, sia sui canali generalisti, sia su quelli specializzati, a un incremento del 10 % medio nelle cinque settimane natalizie e festive dal 5 dicembre 2021 all’8 gennaio 2022. C’è chi lo vedeva come un segnale di fiducia nel mercato e nella capacità attrattiva commerciale dei canali Rai, e chi come “prove tecniche” per rimediare al rischio di riduzione degli affollamenti pubblicitari causato dal recepimento della Direttiva.

È di oggi la notizia – segnalata da “Milano Finanza” – secondo la quale, sulla base delle stime Nielsen, comunque sarebbe stata proprio Rai a beneficiare del trend del mercato pubblicitario: Mediaset ha raggiunto, nei primi 9 mesi del 2021, gli 1,4 miliardi di euro di raccolta con un incremento del 22,4%, la Rai sarebbe a quota 564 milioni con un + 32,3%, Sky Italia a 335 milioni con un + 20,6 %), Discovery a 176 milioni con + 26,5 % e La7 a 122 milioni con + 11,7 %.

Nessuna analisi di scenario, nessuna valutazione di impatto: governo nasometrico dell’economia mediale

Riteniamo che le conseguenze di questo nuovo assetto normativo debbano essere oggetto di una analisi approfondita e seria.

In verità, non ci sembra che, anche su questo tema (così come su quello delle quote di investimento obbligatorio), il Governo abbia assunto decisioni “a ragion veduta”.

Nessuna analisi di scenario, nessuna valutazione di impatto. La solita nasometria italica.

Si teorizza ed auspica “certezza di risorse” per il servizio pubblico radiotelevisivo ed “intanto” si assesta una botta così dura alla Rai?!

Da segnalare che durante l’iter nelle Commissioni Parlamentari non ci sembra che la norma che “colpisce” il servizio pubblico radiotelevisivo nella raccolta pubblicitaria sia stata oggetto di adeguata attenzione.

Da un lato, si auspica di non determinare ulteriori criticità finanziarie alla Rai; dall’altro lato, si chiude uno dei rubinetti.

A leggere meglio i verbali, si nota che il Senato raccomanda al Governo di fare in modo che fino a gennaio 2025 non vi siano riduzioni delle risorse derivanti dal canone, mentre la Camera auspica che il Governo preveda che l’intero gettito derivante dal canone vada alla Rai, fatta salva la quota riservata al Fondo per il Pluralismo e l’Innovazione dell’Informazione…

Come, quando, dove?! Forse nella prossima legge di bilancio?! Non è dato sapere.

Le 4 proposte di Fuortes per riossigenare le finanze Rai: forse ne può sopravvivere 1 soltanto, eliminare la tassa sulla concessione del canone

In occasione dell’audizione in Vigilanza del 12 ottobre, l’Ad Carlo Fuortes aveva manifestato quattro proposte “per invertire le dinamiche economiche e tentare di avvicinarsi alle best practice europee, senza incidere sulle tasche degli italiani”:

  1. cancellazione della tassa sulla concessione sul canone ordinario (tesi che è stata fatta propria con decisione dall’Apa, e che – come abbiamo sostenuto su queste colonne – condividiamo, perché è la più semplice e la meno indolore);
  2. ampliamento del perimetro di applicazione del canone ai “device” multimediali (tesi ardua, e sulla quale si è scatenata con contrarietà la Lega di Salvini);
  3. riduzione del limite di affollamento pubblicitario per singola fascia all’8 % (la “vexata quaestio” che qui affrontiamo)
  4. riconoscimento integrale all’azienda delle risorse del canone, eliminando le trattenute da 110 milioni di euro, finanziando il “Fondo per il Pluralismo e l’Innovazione dell’Informazione” con altre risorse (e qui è insorta la Fieg, le emittenti locali e altri ancora).

Finora, ci sembra che dal Governo non sia arrivata alcuna risposta.

E senza dubbio venerdì 5 novembre, invece, la proposta n° 3 è stata definitivamente bocciata.

La Rai, qui ed ora, ha poche carte da giocare: resta veramente soltanto la proposta n° 1…

Si ricordi che lo schema di decreto legislativo è stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri del 5 agosto 2021, e si ricordi che nel testo del provvedimento licenziato venerdì 5 novembre 2021 sono stati acquisiti i prescritti pareri resi dall’ Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, dal Consiglio di Stato, dalla Conferenza Unificata, nonché i pareri delle Commissioni Parlamentari competenti.

È molto interessante – per i giuristi e per gli operatori del settore – osservare quali e come siano state recepite, nella versione finale del testo, le osservazioni in itinere: quel che si nota è l’approccio esclusivamente giuridico.

Non 1 valutazione una di tipo economico, non 1 valutazione una di tipo scenaristico.

Qualcuno si ricorda che esisterebbe anche una disciplina denominata “ecologia dei media”, secondo la quale dovrebbe (potrebbe) essere ricercata una armonia negli interventi della mano pubblica, per tutelare i soggetti più deboli, evitando di assecondare passivamente l’economia di mercato, e la logica prepotente del più forte?!

L’impressione che stiamo maturando è che al Governo Draghi del destino di medio-lungo periodo della Rai interessi assai poco, con buona pace della funzione preziosa che un servizio pubblico mediale deve (dovrebbe / potrebbe) svolgere nel sistema sociale a livello informativo, culturale, politico.

Nei prossimi giorni, andremo a proporre ulteriori analisi sul testo dei 72 articoli della recepita Direttiva “Servizi Media Audiovisivi”.