GIURISPRUDENZA

Digital Crime. Rilevanza penale dell’apologia Isis sul web

di Paolo Galdieri, Avvocato, Docente di Informatica giuridica, LUISS di Roma |

Numerose questioni interpretative sono sorte ultimamente in ordine alla sussistenza del delitto di apologia, aggravata dalla finalità di terrorismo, nei confronti di colui che attraverso la rete inneggia allo Stato islamico.

La rubrica Digital Crime, a cura di Paolo Galdieri, Avvocato e Docente di Informatica giuridica, alla LUISS di Roma, si occupa del cybercrime dal punto di vista normativo e legale. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Il contrasto all’Isis passa anche attraverso la possibilità di applicare le norme penali vigenti alle attività poste in essere  nel web dai suoi membri e simpatizzanti.

Numerose questioni interpretative sono, ad esempio, sorte ultimamente in ordine alla sussistenza del delitto di apologia, aggravata dalla finalità di terrorismo, nei confronti di colui che attraverso la rete inneggia allo Stato islamico, manifestando “simpatia” ed adesione.

Norme di riferimento sono l’art. 414 co 3 c.p., che punisce con la reclusione da uno a cinque anni «chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti» e l’art.270 bis c.p., che prevede il reato di associazione con finalità di terrorismo.

Il primo problema è quello di comprendere se la diffusione di uno scritto via web possa giuridicamente essere inquadrata come comunicazione “pubblica”.

Questione centrale è quella relativa agli elementi sintomatici che consentono di distinguere la manifestazione libera del pensiero, garantita dalla costituzione, dall’apologia di un delitto.

In ultimo ci si interroga sulla possibilità di applicare la normativa in questione all’apologia dell’Isis, non essendo chiaro se lo stesso possa essere considerato uno  Stato, in quanto avente un proprio territorio, o piuttosto un gruppo terroristico di natura internazionale.

Tutti questi temi sono stati di recente affrontati in una pronuncia della Suprema Corte di Cassazione  (Cass., sez. I, sent. n. 47489/2015) che ha confermato la misura cautelare degli arresti domiciliari ad un soggetto che aveva diffuso via internet un documento inneggiante all’Isis.

La Corte, in primo luogo, chiarisce come la diffusione di contenuti via web, su siti ad accesso libero, possa integrare la natura “pubblica” richiesta dalla fattispecie tipica di apologia, sulla base di quanto statuito dall’art. 266 co. 4 c.p., che definisce il reato avvenuto pubblicamente quando è commesso “col mezzo della stampa o con altro mezzo di propaganda”.

Si precisa, inoltre, come, ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 414, terzo comma, cod. pen., non basta l’esternazione di un giudizio positivo su un episodio criminoso, essendo necessario che tale esternazione determini il rischio, non teorico, ma effettivo, della consumazione di reati.

Nel caso di specie la Suprema Corte ha ravvisato il pericolo concreto per l’ordine pubblico dai seguenti elementi: accettazione nello scritto della natura combattente e di conquista violenta da parte dell’organizzazione (cioè l’esecuzione di atti di terrorismo); esaltazione della sua diffusione ed espansione, anche con l’uso delle armi;   riferimento a personaggi ufficialmente classificati come terroristi nei documenti internazionali ed indicazione di  link a siti internet facenti capo al gruppo  terroristico; modalità comunicativa,  scritto in italiano e rivolto ad un pubblico di soggetti radicati sul territorio nazionale, realizzato con stile incisivo e capace di suscitare interesse e condivisione.

La pronuncia in esame chiarisce poi come la natura di associazione terroristica dell’Isis , e non di Stato,  è pacifica e non deve essere dimostrata in quanto  sancita da Autorità internazionali vincolanti nell’ordinamento.

La Corte afferma , infine, che la presenza dell’Isis sul territorio italiano, attraverso cellule attive, comporta l’applicabilità a tale sodalizio della legge penale italiana, in specie l’art. 270 bis c.p., precisando che nel caso di specie non sussiste  il difetto di interesse giuridico tutelato, poiché  un documento scritto in italiano e diffuso in Italia, esaltante un’associazione con finalità di terrorismo operante nello stesso territorio, rappresenti sicuramente una concreta minaccia per l’ordine pubblico interno.

Al di là delle questioni giuridiche affrontate, la decisione in commento rivela come si sia elevata l’attenzione rispetto alle nuove minacce terroristiche e come sia fortemente avvertita l’esigenza di punire tutte le condotte, anche quelle apparentemente innocue, di sostegno ad un gruppo terroristico così pericoloso per l’ordine democratico.

Proprio in considerazione di ciò è da salutare con favore lo sforzo della Suprema Corte di individuare i criteri per stabilire il confine tra lecito e penalmente censurabile, e ciò perché consente di evitare che il giusto contrasto al terrorismo venga percepito da qualcuno, con risultati opposti a quelli perseguiti, come forma ingiustificata di censura alla manifestazione libera del proprio pensiero.