La normativa

Digital Crime. Quando l’inserzione online integra il reato di favoreggiamento della prostituzione

di Paolo Galdieri |

In questi ultimi anni si sono celebrati numerosi processi dove si contestava il reato di favoreggiamento della prostituzione al gestore del sito che pubblicava inserzioni di prostitute.

La rubrica Digital Crime, a cura di Paolo Galdieri, Avvocato e Docente di Informatica giuridica, alla LUISS di Roma, si occupa del cybercrime dal punto di vista normativo e legale. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

In questi ultimi anni si sono celebrati numerosi processi dove si contestava il reato di favoreggiamento della prostituzione al gestore del sito che pubblicava inserzioni di prostitute.

L’impostazione seguita dalle Procure e dagli organi giudicanti è apparsa da subito discutibile, atteso che analogo trattamento non è stato mai riservato ai quotidiani cartacei che svolgono attività analoga, ritenendosi in quest’ultimo caso l’inserzione senza alcun dubbio lecita.

In merito a tale problematica occorre in primo luogo chiarire che per contestare il delitto in parola occorre preliminarmente chiarire cosa si intenda per prostituzione, in quanto, sebbene la stessa non sia vietata dal nostro ordinamento, viceversa vengono sanzionate penalmente il suo sfruttamento ed agevolazione.

Da questo punto di vista è sicuramente ipotizzabile un reato riconducibile all’attività di meretricio anche in rete non essendo richiesta, per la sua sussistenza, la compresenza e, quindi, il congiungimento fisico. In particolare, in assenza di una nozione di prostituzione di tipo normativo, l’interpretazione giurisprudenziale non ha mai identificato la prostituzione con la congiunzione carnale, con qualsiasi modalità avvenga, ovvero con il compimento di atti di libidine dietro corrispettivo, bensì con quella molto più ampia di prestazione sessuale a pagamento.

L’elemento caratterizzante l’atto di prostituzione, pertanto, non sarebbe necessariamente costituito dal contatto fisico tra i soggetti della prestazione, bensì dal fatto che un qualsiasi atto sessuale venga compiuto dietro pagamento di un corrispettivo e risulti finalizzato, in via diretta ed immediata, a soddisfare la libidine di colui che ha chiesto o è destinatario della prestazione.

Non è, infatti, mai stato messo in dubbio che l’attività di chi si prostituisce può consistere anche nella esecuzione di atti sessuali di qualsiasi natura eseguiti su se stesso in presenza di chi ha chiesto la prestazione, pagando un corrispettivo e senza che intervenga alcun contatto fisico tra le parti.

Così precisata la nozione di prostituzione si palesa irrilevante il fatto che chi si prostituisce e il fruitore della prestazione si trovino in luoghi differenti, allorché gli stessi risultino collegati, tramite Internet, in videoconferenza, che consente all’utente della prestazione, non diversamente da quanto potrebbe verificarsi nell’ipotesi di contemporanea presenza nello stesso luogo, di interagire con chi si prostituisce, in modo da poter chiedere a questi il compimento di atti determinati, che vengono effettivamente eseguiti e immediatamente percepiti da colui che ordina la prestazione sessuale a pagamento. Ne discende che, a seconda dei casi, il soggetto che allestisce un sito attraverso il quale si eseguono prestazioni sessuali online dietro corrispettivo risponde di sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione (cfr. Cass., Sez.III, n.346/06; Cass., Sez.III, n.25464/04).

Diverso è invece il caso in cui il sito non ospita la prestazione sessuale svolta a distanza, ma semplicemente l’inserzione della prostituta, che attraverso il web si pubblicizza al fine di svolgere la sua attività in un momento successivo ed attraverso modalità tradizionali.

Come accennato, fino a poco tempo fa il gestore del sito, e coloro che avevano contribuito al suo allestimento (webmaster, fotografi, ecc.) venivano chiamati a rispondere di sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione, benché tale condotta fosse diversa da quella realizzata in favore della prostituzione virtuale in senso proprio e sebbene analogo trattamento non fosse riservato ai quotidiani cartacei che ospitano le inserzioni delle prostitute.

L’irragionevolezza di tale disparità di trattamento è stata negli anni da più parti evidenziata ed oggi, finalmente, pare aver imposto alla giurisprudenza una riflessione che dovrebbe portare a decisioni più coerenti e rispondenti a criteri di equità.

Si è, infatti, di recente affermato che la pubblicazione di inserzioni pubblicitarie sui siti web, al pari di quella sui tradizionali organi di informazione a mezzo stampa, deve essere considerata come un normale servizio in favore della persona, e quindi della prostituta, piuttosto che della prostituzione (Cass. Sez.III, 26343/2009). Tale giudizio è stato confermato successivamente (Cass. Sez.III n.443/2012),  precisandosi come il reato  di favoreggiamento risulti invece integrato quando alla mera pubblicazione degli annunci e del materiale messo a disposizione dalla persona interessata si aggiunga una cooperazione tra soggetto e prostituta, concreta e dettagliata, al fine di allestire la pubblicità della stessa evidentemente per rendere più allettante l’offerta e per facilitare l’approccio con il maggior numero di clienti, cooperazione esplicantesi nell’organizzare servizi fotografici nuovi, sottoponendo le donne a pose erotiche, ponendo in essere una collaborazione organizzativa al fine di realizzare il contatto prostituta-cliente. In altre parole allo stato attuale il discrimine fra lecito ed illecito si individua nel passaggio da una prestazione di servizi “ordinari” a quella che potremmo definire come la prestazione di un supporto aggiuntivo e personalizzato (Cass. Sez.III, n.20384/2013).

Sebbene la strada intrapresa sia quella corretta, tuttavia, continua a registrarsi un orientamento “colpevolista” da parte dei giudici di merito che lascia intendere la necessità di un intervento del legislatore al fine di dirimere dubbi ed evitare il protrarsi di decisioni inique.