L'analisi

Digital Crime. Quando le tecnologie dell’informazione limitano il diritto di difesa

di Paolo Galdieri, Avvocato, Docente di Informatica giuridica, LUISS di Roma |

Al Giudicante ed al PM è consentito effettuare qualsiasi comunicazione al difensore, via Pec o altro mezzo tecnologico, mentre l’avvocato è costretto a recarsi fisicamente nelle cancellerie per depositare atti o visionare il fascicolo.

La rubrica Digital Crime, a cura di Paolo Galdieri, Avvocato e Docente di Informatica giuridica, alla LUISS di Roma, si occupa del cybercrime dal punto di vista normativo e legale. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Il rapporto che intercorre tra le tecnologie dell’informazione ed il processo penale può essere analizzato da due angoli visuali differenti.

Il primo è quello che rivolge lo sguardo verso il processo penale telematico, caratterizzato dall’impiego delle tecnologie nelle diverse fasi del procedimento, indagini e giudizio, e , quindi, riferito all’automazione delle differenti attività, notifiche, comunicazioni, consultazione fascicolo, deposito atti.

Il secondo dirige l’attenzione alla tecnologia quale oggetto stessa delle indagini e del processo ovvero al momento in cui le parti –  pubblico ministero e  difensore -,  e l’organo giudicante si confrontano con condotte “virtuali”  o con prove digitali.

Quanto al primo punto di osservazione, è agevole rilevare come allo stato non si sia ancora realizzata quella automazione già in atto invece nel processo civile,  in virtù di numerosi provvedimenti già a partire dal Decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221).

Si registra, infatti, in tale ambito un “timido” utilizzo delle notifiche via Pec da parte delle Procure e dei Tribunali e  l’introduzione di due piattaforme, a pieno regime solo dal 2015, ovvero il SICIP (Sistema Informativo della Cognizione Penale), precluso all’utente “privato”,  ed il SNT (Sistema Notifiche Telematiche Penali), con il fine di consentire le notificazioni a persona diversa dall’imputato.

Orbene, al di là delle intenzioni del legislatore, attualmente ci si trova di fronte ad una situazione in cui al Giudicante ed al Pubblico Ministero è consentito di effettuare qualsiasi comunicazione al difensore, via Pec o per altro mezzo tecnologico, mentre l’avvocato è ancora costretto a recarsi fisicamente nelle cancellerie per depositare atti o visionare il fascicolo. L’attuale assetto normativo impone, infatti,  alla parte privata, che il deposito della maggior parte degli  atti (riesami cautelari e reali e le relative impugnazioni di legittimità,  le memorie ex art. 121 cpp, le richieste di revisione e riparazione di errori giudiziari  e riparazione per ingiusta detenzione, ecc.) debba materialmente avvenire esclusivamente presso la cancelleria del giudice a quo ed in forma cartacea. Stessa preclusione per il deposito della lista testi via Pec, come ribadito di recente dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass., Sez.  III sezione, sent., n.6833/2016).

Tale situazione, specie rispetto al rapporto con il Pubblico Ministero, determina una forte disparità tra due soggetti che, in quanto parti del processo, dovrebbero confrontarsi “ad armi pari”, con evidenti ripercussioni per quanto concerne il diritto di difesa. Da una parte la Pubblica Accusa, che in qualsiasi forma ed anche all’ultimo momento, può notificare l’atto, la difesa costretta a monitorare continuamente tutte le risorse di studio per verificare eventuali notifiche e “correre” per non far scadere termini o addirittura per non lasciarsi sfuggire  una data di udienza.

Le cose, invero, non cambiano rispetto all’ipotesi in cui le tecnologie siano oggetto delle indagini e del processo. La digital evidence, pare, infatti, assai lontana dall’idea tipo di processo accusatorio, incentrato sulla prova orale formata nel giudizio. Il baricentro del processo finisce con il collocarsi sempre più nelle indagini preliminari, fase nella quale il dato digitale viene acquisito dalla polizia giudiziaria e successivamente analizzato dai tecnici. Conseguentemente l’organo giurisdizionale rischia di perdere il proprio fondamentale ruolo rispetto alla gestione ed alla valutazione della prova, rimanendo fortemente condizionato dalle operazioni precedentemente svolte, a grave discapito della difesa, che a quel punto, essendo cristallizzate le risultanze tecniche nella consulenza del Pubblico Ministero, ha ristretti margini di manovra.

Sia nell’ambito del processo penale telematico, che nel campo della digital evidence, occorrono allora soluzioni idonee ad evitare una compressione del diritto di difesa.

Pur consapevoli del fatto che nel procedimento penale la Pubblica Accusa, sebbene parte, svolge una funziona pubblica, che ne determina una posizione non perfettamente paritaria, è innegabile che, almeno per quanto concerne la comunicazione e consultazione degli atti,  il processo telematico possa prendere piede nel rispetto del diritto di difesa solo laddove venga finalmente consentito al difensore di ricevere e depositare atti telematicamente  in ogni fase e grado delle indagini e del processo. Impostazione questa che non intaccherebbe in alcun modo la diversa qualità delle parti, consentendo, tuttavia, al difensore di muoversi con maggior efficacia e serenità.

Quanto alla digital evidence, occorre auspicare che, grazie anche ad una più adeguata preparazione da parte egli organi giudicanti, ci si concentri sulla fase del giudizio, dando il giusto rilievo al contraddittorio delle parti, consentendo, realmente e non solo teoricamente,  la formazione della prova nel dibattimento.