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Digital Crime. Omicidio in diretta, Facebook colpevole?

La diffusione su facebook del video di un omicidio appena commesso a Cleveland  ha riaperto il dibattito sulle regole non ancora seguite o che mancano per i social. In particolare da più parti si è evidenziato come non sia più tollerabile che in rete, come in questo caso, vengano diffuse determinate immagini immesse dall’utente e che le stesse non siano immediatamente rimosse.

La questione seppur delicata, e meritevole di profonda attenzione, rischia, e non sarebbe la prima volta, di essere affrontata sulla spinta dell’emotività e dello sdegno, piuttosto che tenendo conto degli esatti termini del problema.

In primo luogo occorre tenere nettamente distinti il contenuto dal contenitore. Da un lato abbiamo un video che riprende un omicidio, contenuto, dall’altro abbiamo un mezzo attraverso il quale l’insano gesto viene diffuso, contenitore. Non c’è dubbio che la massima attenzione dovrebbe essere riversata sul primo ed interrogarsi su come tentare di evitare che situazioni così assurde si verifichino. Occorrerebbe allora ragionare sulla libera circolazione delle armi, sulla facilità con la quale in alcuni paesi si acquistano e sull’insufficiente sistema dei controlli.

Al contempo, ovviamente, occorre interrogarsi sul ruolo assunto oggi giorno dai social e sull’apparato di regole per essi previste. Non è infatti la prima volta che in rete vengono immessi in rete video che fanno discutere. Pensiamo, se ci limitiamo agli ultimi mesi,  ai video, sempre negli Stati Uniti, che ritraevano il tentato omicidio ai danni di una persona che si stava autoriprendendo o a quello con il quale è stato possibile documentare un pestaggio delle forze dell’ordine nei confronti di un uomo di colore, cui ha fatto seguito una vera e propria sommossa popolare, sino ad arrivare, per quanto riguarda l’Italia, alla diffusione delle riprese a contenuto erotico, che ha spinto una giovane donna fino al suicidio.

Due questioni, quella relativa al contenuto ed al contenitore, delicate, ma che non possono, sicuramente essere affrontate nello stesso modo.

Per quanto concerne la rete, ed i social in particolare, non c’è dubbio che  rappresentino uno strumento fondamentale per esprimersi liberamente e, tal volta,  di grande utilità proprio per raccogliere prove rispetto a delitti commessi o che si stanno per commettere.

Allo stesso tempo, tuttavia, è altrettanto indiscutibile che a fronte di un uso così diffuso dei social, capace di testimoniare ogni istante della nostra esistenza, non si possa più immaginare  un loro impiego senza regola alcuna.

Il tema vero allora, piuttosto che invocare soluzioni meramente censorie e, tra l’altro inutili, oltre che dannose per la libera manifestazione del pensiero, è quello della ricerca di regole efficaci e tali da poter essere rispettate.

Sul piano giuridico il  ragionamento non può essere condizionato dalla individuazione di ciò che sia moralmente giusto o non giusto divulgare, tema più etico che di diritto, quanto piuttosto deve essere focalizzato sulla condotta esigibile o meno da parte di colui attraverso il quale veicolano determinate immagini o informazioni .

Non c’è dubbio infatti che il social dovrebbe rispondere di tutto ciò che poteva fare e non ha fatto rispetto alla diffusione di determinati contenuti. Non può essere, viceversa, criminalizzato o , peggio ancora, sanzionato, per condotte che non ha posto in essere perché impossibilitato oggettivamente.

Servono allora regole che consentano un ‘immediata segnalazione al social del materiale immesso ed, ovviamente, ma questo in Italia è già previsto, una responsabilità dello stesso in caso di mancata immediata rimozione.

Diversamente non potrebbe essere chiamato a rispondere rispetto all’immissione da parte dell’utente di un contenuto “nocivo” laddove vi sia un’impossibilità oggettiva ad una verifica preventiva dello stesso.

D’altra parte ragionando in termini diversi, se, nell’immediato, ci si solleva dallo sdegno provato, nel lungo termine soluzioni censorie ci conducono verso lo spettro della limitazione delle libertà per le quali, almeno a parole, ci si batte quotidianamente.

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