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Digital Crime. Piaga cyberbullismo: tra sensibilizzazione e rischi penali

Cyberbullismo

Prima dell’avvento di internet e di tutte le sue applicazioni social i ragazzi vittime dei bulli tremavano al suono della campanella o quando rimanevano soli in classe, ma oggi quel terrore che durava solo il tempo di una ricreazione è diventato una minaccia costante e silenziosa, che comincia a scuola, ma che va oltre quelle mura.

La rubrica #DigitalCrime, a cura di Paolo Galdieri, Avvocato e Docente di Informatica giuridica, alla LUISS di Roma, si occupa del cybercrime dal punto di vista normativo e legale.
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Stiamo parlando del cyberbullismo, fenomeno che sta diventato sempre più preoccupante, tanto da spingere la Commissione Europea a istituire la giornata del “Safer Internet Day”, che quest’anno si festeggerà proprio il 10 febbraio 2015, anche quest’anno sul tema “creare insieme un internet migliore”. Con essa le istituzioni europee, in collaborazione con i singoli stati e le principali piattaforme della rete, intendono responsabilizzare i giovani nell’uso di internet e, attraverso laboratori presso le scuole e altre svariate iniziative, prevenire il verificarsi di tali minacce educando i ragazzi ad un corretto uso degli strumenti digitali.

Proprio nel 2013 anche Google, in occasione di questo evento, ha stilato il famoso decalogo per il web sicuro, nel quale si trovano preziosi consigli rivolti ai giovani non solo per rendere la navigazione in rete più sicura, ma soprattutto per segnalare attivamente contenuti inappropriati o illegali.

Ma come agiscono i cyberbulli e quali conseguenze criminose possono nascere dalle loro condotte?

Deve constatarsi preliminarmente come il bullismo digitale costituisca un vero e proprio abuso della rete, effettuato evidentemente senza il controllo degli adulti. Continuando, esso nasce in conseguenza della diffusione ormai capillare di internet tra gli adolescenti, quasi il 99,1%, tramite smartphones o pc, e di essa si nutre attraverso condotte che vanno dal rubare e-mail, profilio messaggi privati per poi renderli pubblici, all’invio di messaggi minacciosi e aggressivi o persino alla creazione di gruppi appositi per prendere di mira uno o più ragazzi considerati “diversi”.

Ecco allora il secondo aspetto di questa nuova minaccia, il profilo della vittima, certamente correlato ad una  “diversità” della stessa agli occhi dei coetanei, che può derivare indifferentemente dall’aspetto estetico, quanto dal supposto orientamento sessuale, oltre che dalla semplice timidezza o dall’abbigliamento non convenzionale.

Infine, tale fenomeno, proprio perché sfrutta le nuove tecnologie, si caratterizza per la difficoltà per la vittima di risalire al molestatore (anonimato), l’indebolimento delle remore morali agendo attraverso uno strumento neutro e l’uso di possibili nickname, nonché l’assenza di limiti spazio temporali, in quanto la minaccia si concreta ogni volta che il ragazzo va in rete.

Le conseguenze di tali comportamenti sono gravissime per i bersagli dei bulli digitali e possono andare dall’isolamento, alla sofferenza del bambino rispetto all’andare a scuola, fino alla depressione e, nei casi più gravi, al suicidio.

Forse proprio per l’anonimato, la riduzione dei freni inibitori che l’uso di strumenti tecnologici e le relative applicazioni garantiscono e la giovane età, i ragazzi non riescono a capire che le loro azioni possono dar luogo a responsabilità importanti, come, nel caso che ci interessa, di tipo penale.

A riguardo, sfortunatamente, in Italia non esistendo ancora il reato di bullismo, non troviamo nel codice penale neanche quello di cyberbullismo, sebbene siano tante le fattispecie penali sussumibili a tale moderno fenomeno. Vediamo infatti come lo stesso possa integrare principalmente i reati di ingiuria (art. 594 c.p.), diffamazione (art. 595 c.p.), minaccia (art. 612 del codice penale), il complesso reato di interferenze illecite nella vita privata  (art. 615 bis c.p.), pubblicazioni e spettacoli osceni (art. 528 c.p.), furto d’identità (ormai ricondotto dalla giurisprudenza di legittimità all’art. 494 c.p.), trattamento illecito di dati (art. 167 D. Lgs. 196/2003), ma l’elenco è ancora aperto. Una parentesi importante va aperta in merito al reato dei cd. atti persecutori, previsto all’art. 612 bis c.p., nel quale è stata riconosciuta l’aggravante del cyberstalking ogni volta che il fatto è commesso “attraverso strumenti informatici o telematici”, condotta tipica anche tra i ragazzi.

Rispetto ad un’eventuale responsabilità penale a carico di adolescenti però è bene distinguere. Ricordiamo infatti che nel nostro ordinamento i minori di 14 anni sono considerati non imputabili, con la conseguenza di non poter essere sottoposti ad un processo penale, quanto al massimo, e solo nel caso di pericolosità sociale, a misure di sicurezza. Diverso è il caso dei soggetti di età compresa tra i 14 e i 18 anni, per i quali invece si applicheranno le norme in tema di processo penale minorile.

Oltre ai reati stigmatizzati in un codice, molte sono le iniziative a livello europeo, statale e dei singoli operatori di social network, da ultimo Facebook con la sua piattaforma di prevenzione contro il cyberbullismo.

L’Unione Europea invece ha manifestato il suo interesse verso l’uso di un internet sicuro da parte dei minori già nel 2008 con la decisione n. 1351, e ha continuato in tal senso con la sigla nel 2010 a Lussemburgo di un accordo contenente una serie di regole aventi l’obiettivo di migliorare la sicurezza dei minori che usano internet e di ridurre i rischi potenziali della rete, il tutto in linea con il programma d’azione previsto nella decisione precedentemente richiamata.

L’Italia invece ha dato il via ad una serie di progetti formativi nell’ambito delle scuole, come gli Osservatori regionali permanenti sul bullismo o il portale URP social. Molto interessanti sono invece le recenti iniziative messe in atto dal Ministero dello Sviluppo Economico, con la sua bozza di codice di autoregolamentazione contro il cyberbullismo, nella quale prevede, in modo brillante, un impegno per gli operatori che forniscono servizi di social networking, i fornitori di servizi online, di contenuti, di piattaforme User Generated Content e social network che aderiscono al Codice “ad attivare appositi meccanismi di segnalazione di episodi di cyberbullismo, al fine di prevenire e contrastare il proliferare del fenomeno”.

Un’azione concreta che però forse poteva fare di più è costituita dal disegno di legge n. 1261/14, proposto da alcuni senatori, il quale fornisce prima di tutto una definizione di bullismo elettronico, inteso, all’art. 2, come “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione” e altresì “qualunque forma di furto di identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica”.

Interessanti poi altre due previsioni del disegno di legge in questione, il quale prevede, con la prima, l’assegnazione agli operatori che forniscono servizi di social networking di un marchio di qualità nel caso in cui aderiscano ai progetti elaborati da un tavolo tecnico, mentre, con la seconda, più concretamente, l’applicabilità della procedura di ammonimento ex art. 8 del D.L. 11/09, quando ancora non sia stata presentata querela e il fatto è commesso da minorenne di età superiore ai 14 anni verso un coetaneo.

Le iniziative giuridiche e non per combattere una minaccia così estesa sono tante ed è comprensibile, viste le numerose variabili di condotte ipotizzabili, la difficoltà di riuscire a creare un reato autonomo di cyberbullismo che rispetti il principio di tipicità, necessario in materia penale, ma forse, visti soprattutto gli ultimi drammatici casi di cronaca e la fragilità dell’animo adolescenziale, è arrivato il momento di percorrere quel passo in più, forse prendendo spunto da una fattispecie a forma libera sui generis quale quella degli atti persecutori.

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