L'analisi

Digital Crime. Come difendersi dalla contestazione di favoreggiamento della prostituzione online

di Paolo Galdieri, Avvocato, Docente di Informatica giuridica, LUISS di Roma |

Bisogna distinguere il favoreggiamento alla prostituzione online in senso stretto, ad esempio mediante webcam, dalla semplice inserzione nel cyberspace della prostituta, la cui prestazione sarà poi realizzata secondo metodi tradizionali.

La rubrica Digital Crime, a cura di Paolo Galdieri, Avvocato e Docente di Informatica giuridica, alla LUISS di Roma, si occupa del cybercrime dal punto di vista normativo e legale. Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Il reato previsto dall’art.  3 n. 8 della Legge 75/58 punisce “chiunque   in   qualsiasi   modo   favorisca  o  sfrutti  la prostituzione altrui”. La genericità della disposizione ha consentito, e consente, di contestare tali condotte a tutti coloro che, a diverso titolo, aiutino l’attività di meretricio anche in rete. Diversi sono, infatti, i processi celebrati a carico dei gestori dei siti attraverso i quali il meretricio viene realizzato o pubblicizzato, così come anche nei confronti di coloro che hanno contribuito alla pubblicizzazione dell’attività (fotografi, agenti, ecc.).

Orbene, di fronte a tale contestazione occorre distinguere a seconda che il favoreggiamento si riferisca alla prostituzione online in senso stretto, realizzata direttamente attraverso la rete, ad esempio mediante l’impiego di una webcam o piuttosto semplicemente alla pubblicizzazione nel cyberspace della prostituta, la cui prestazione sarà successivamente realizzata secondo metodi tradizionali.

Nel primo caso i margini difensivi sono, invero, ristretti, non potendo essere considerato valido argomento difensivo l’irrealizzabilità della prostituzione digitale e, quindi, conseguentemente negarne il favoreggiamento.

In assenza di una nozione di prostituzione di tipo normativo, infatti, l’interpretazione giurisprudenziale ha da sempre affermato come l’elemento caratterizzante l’atto di prostituzione non sarebbe necessariamente costituito dal contatto fisico tra i soggetti della prestazione, bensì dal fatto che un qualsiasi atto sessuale venga compiuto dietro il pagamento di un corrispettivo e risulti finalizzato, in via diretta ed immediata, a soddisfare la libidine di colui che ha chiesto o è destinatario della prestazione.

Non è, infatti, mai stato messo in dubbio che l’attività di chi si prostituisce possa consistere anche nella esecuzione di atti sessuali di qualsiasi natura eseguiti su se stesso in presenza di chi ha chiesto la prestazione, pagando un corrispettivo e senza che intervenga alcun contatto fisico tra le parti.

Così precisata la nozione di prostituzione, diventa irrilevante la circostanza che chi si prostituisce e il fruitore si trovino in luoghi differenti, allorché gli stessi risultino collegati, tramite Internet, in videoconferenza, che consente all’utente della prestazione, non diversamente da quanto potrebbe verificarsi nell’ipotesi di contemporanea presenza nello stesso luogo, di interagire con chi si prostituisce, in modo da poter chiedere a questi il compimento di atti determinati, che vengono effettivamente eseguiti e immediatamente percepiti da colui che ordina la prestazione sessuale a pagamento. Ne discende che, a seconda dei casi, il soggetto che allestisce un sito attraverso il quale si eseguono prestazioni sessuali online dietro corrispettivo, risponde di sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione (Cass., Sez. III, n.346/06 ; Cass., Sez. III, n.25464/04),  a meno che non sia in grado di dimostrare la totale inconsapevolezza di tale attività.

Maggiori margini difensivi si registrano, invece, allorquando il reato di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione sia contestato a colui che si limiti a pubblicare in rete inserzioni.

Fino a poco tempo fa, invero, anche tali condotte venivano considerate penalmente rilevanti, con conseguenti condanne a carico del titolare del sito che ospitava gli annunci e sovente anche nei confronti di altri soggetti, quali il webmaster che li aveva materialmente messi in rete o il fotografo che ne aveva realizzato il relativo book fotografico da inserire nella pagina web.

Registriamo oggi un cambio di rotta giurisprudenziale che tende ad escludere, a determinate condizioni, la sussistenza del delitto in parola.

Si è, infatti, di recente affermato che la pubblicazione di inserzioni pubblicitarie sui siti web, al pari di quella sui tradizionali organi di informazione a mezzo stampa, deve essere considerata come un normale servizio in favore della persona, e quindi della prostituta, piuttosto che della prostituzione (Cass., Sez III, n.26343/32009). Tale impostazione è stata confermato successivamente ( Cass., Sez. III, n.4443/2012), precisandosi come il reato di favoreggiamento risulti invece integrato quando alla mera pubblicazione degli annunci e del materiale messo a disposizione dalla persona interessata si aggiunga una cooperazione tra soggetto e prostituta, concreta e dettagliata, al fine di allestire la pubblicità della stessa, evidentemente per rendere più allettante l’offerta e per facilitare l’approccio con il maggior numero di clienti, cooperazione esplicantesi nell’organizzare servizi fotografici nuovi, sottoponendo le donne a pose erotiche, ponendo in essere una collaborazione organizzativa al fine di realizzare il contatto prostituta-cliente (Cass., Sez.III, n. 20384/2013).

Alla luce del nuovo orientamento, per contrastare la contestazione di favoreggiamento della prostituzione, occorrerà allora dimostrare che il soggetto si è limitato a prestare servizi “ordinari” senza contribuire in alcun modo a “confezionare” e a rendere più appetibile l’inserzione.