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Digital Crime. Come contrastare la contestazione di associazione per delinquere nel cybercrime finanziario

Questo articolo fa parte di una serie di scritti su come difendersi nel processo rispetto alle contestazioni di determinati crimini digitali. Per consultare tutti gli articoli dedicati al tema clicca qui.

E’ di questi giorni la notizia di un’ importante operazione, coordinata dalla Procura distrettuale di Catania ed eseguita dagli agenti della Polizia Postale e delle Comunicazioni, che ha portato all’arresto di quattordici persone e che vede coinvolti, a diverso titolo, numerosi indagati. L’organizzazione, stando agli organi di stampa, sarebbe stata dedita al cybercrime finanziario ed  avrebbe colpito, attraverso condotte delittuose diverse,  migliaia di persone in Italia.

Le contestazioni sono per associazione per delinquere finalizzata al compimento di truffe, frodi informatiche, accessi abusivi, sostituzione di persone, riciclaggio.

A prescindere dal caso specifico, i cui fatti sono ancora tutti da accertare e dei quali non si ha pieno conoscenza, spunti di riflessione offre l’addebito per associazione a delinquere laddove la stessa fosse desunta esclusivamente da rapporti nel contesto virtuale ovvero rispetto a soggetti che hanno contatti tra loro esclusivamente in rete e che compiono condotte soltanto attraverso  piattaforme telematiche.

L’interesse sorge dal fatto che la disposizione relativa all’associazione per delinquere, art.416 c.p.- che punisce i soggetti che si uniscono allo scopo di realizzare un programma criminoso comune, – è stata pensata in un’epoca in cui non esisteva la comunicazione digitale, e quindi, ancora incerti paiono i criteri da utilizzare per verificarne l’applicazione.

Il primo problema che si incontra è quello relativo all’individuazione degli associati, che devono essere, stando alla norma,  almeno tre. Trattandosi di reati realizzati a distanza e, quindi, con autori “invisibili”, garantiti da forme differenti di anonimato e da tecniche che ne rendono difficile l’identificazione, non sempre si riesce a risalire al colpevole. A ciò si aggiunga la considerazione che anche l’indagine esemplare dal punto di vista tecnico consente di individuare il sistema dal quale è partita la condotta, ma non chi si cela dietro il computer,  per l’identificazione del quale occorrerà reperire informazioni di tipo “tradizionale”, ad es. dimostrare, magari attraverso testimoni che quel dato computer era in uso esclusivo ad un determinato soggetto.

Correttamente si è esclusa la sussistenza dell’associazione per delinquere virtuale in relazione ad una presunta organizzazione dedita alla commercializzazione ed alla distribuzione di immagini pedopornografiche, per mancanza di prova sulla compartecipazione al programma del numero di  persone richiesto dalla norma,  sottolineandosi come  non possa  porsi a fondamento dell’affermazione della responsabilità penale la ricorrenza di alcuni indirizzi di posta elettronica, spesso non riconducibili a persone fisiche determinate per obiettive difficoltà di indagine, che è al più significativa, nel dubbio, della contiguità di tali persone con strumenti che consentono l’agevole circolazione di immagini oscene”(Tribunale di Roma, IX Sezione, sentenza n. 1872/ 2005).

Non costituisce, invece, ostacolo alla integrazione del delitto l’assenza di conoscenza nel modo reale dei soggetti coinvolti,  ritenendosi sufficiente dimostrare che i diversi individui siano collegati telematicamente con la volontà e consapevolezza di realizzare un programma delittuoso comune (  Cass. Sez. II, sent.  n. 4976/1997).  Parimenti è certamente ipotizzabile la sussistenza del reato associativo anche quando la compartecipazione si concretizzi esclusivamente nell’impiego di tecnologie  (Cass. Sez. I, sent. n. 4375/1996),  non essendo necessaria per la sua configurabilità un’eterogeneità delle condotte e dei metodi impiegati.

Ciò posto,  dubbi persistono in ordine ad i criteri da utilizzare per dedurre, in ambito virtuale, la volontà  di far parte in modo permanente dell’associazione con la consapevolezza degli scopi- attuazione di un programma criminoso indeterminato-,  cui l’associazione medesima è finalizzata.  La volontà di cooperare ad un progetto delittuoso comune, non sempre agevole da dimostrare anche  rispetto alle associazioni operanti nel mondo reale, può essere dedotta, stando alla giurisprudenza consolidata , per facta concludentia ovvero attraverso la prova di comportamenti che si concretizzino  in una attiva e stabile partecipazione , idonei a rivelare la costante permanenza del vincolo.

La prova per “comportamenti sintomatici” è sicuramente più ardua in relazione  a contesti come quello virtuale, considerato che non sempre ciò che costituisce indice rivelatore di una determinata volontà nel mondo reale lo sia  anche in quella virtuale.

In senso contrario a tale convincimento si pone, invero, una  pronuncia della Cassazione ( Cass. Sez. feriale, sentenza n.46156/2013), che ha negato l’attenuazione delle misure cautelari nei confronti di uno dei soggetti accusati  di aver utilizzato il logo di Anonymous per attaccare istituzioni ed aziende. Nel caso di specie la Suprema Corte  ha confermato la correttezza dell’impianto accusatorio dell’inchiesta Tangodown, ritenendo plausibile l’associazione a delinquere virtuale in virtù della riconosciuta esistenza di una struttura che «si articola attraverso la predisposizione del blog ufficiale dell’organizzazione e del video di propaganda, da diffondere sul blog ufficiale, la predisposizione e gestione dei canali di comunicazione Irc ». Il Giudice di legittimità ha così negato pregio giuridico alla tesi difensiva , non del tutto peregrina- secondo la quale nel caso di specie non vi sarebbe un’organizzazione strutturale, né un vincolo associativo e nemmeno un programma, in quanto Anonymous  rappresenterebbe semplicemente uno spazio di libertà in cui i partecipanti utilizzano in modo autonomo i propri computer-,  ritenendo, invece, sufficiente, ai fini della configurabilità della fattispecie, l’impiego degli stessi canali di comunicazione per   predisporre e realizzare  attacchi ovvero redigere  documenti di rivendicazione.

Le motivazioni addotte non convincono,invero, per un diverso ordine di ragioni. In primo luogo perché paiono ridurre la dimostrazione per facta concludentia ad un mero accertamento di carattere tecnico.  La prova dell’associazione  verrebbe raggiunta attraverso la dimostrazione dell’utilizzo, da parte di almeno tre persone, dotate di competenze informatiche, della stessa piattaforma-  notoriamente frequentata da persone accomunate da un medesimo “sentire”-  per la realizzazione delle loro condotte.

In secondo luogo perché non tiene conto della peculiarità del contesto digitale, per sua natura, caratterizzato dalla condivisione delle risorse ed al contempo delle idee, che, di fatto, impedisce equazioni del tipo “ uso stessa piattaforma con idee ed obiettivi simili = adesione volontaria a medesimo programma criminoso”.

In realtà, proprio la natura del contesto, virtuale, all’interno del quale possono comunque costituirsi associazioni per delinquere, impone l’adozione di criteri interpretativi idonei a cogliere il differente modo di pensare ed agire in rete. Da questo punto di vista margini di difesa per contrastare la contestazione di associazione per delinquere virtuale non può che essere quella che punta a dimostrare la casualità dei rapporti tra i soggetti, minando il convincimento di una loro adesione ad un programma delinquenziale comune.

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