La sentenza

DigiLawyer. Stalking e molestie, quando può configurarsi la condotta penale

di Gianluca Pomante, Avvocato Cassazionista – esperto d’informatica e comunicazione |

La Corte Suprema di Cassazione, con Sentenza del 12 gennaio 2017, ha evidenziato che non è necessario il mutamento delle abitudini di vita se è provato lo stato d'ansia generato dalle condotte persecutorie.

La rubrica DigiLawyer, ovvero riflessioni sul “diritto e il rovescio” di Internet fra nuove potenzialità e storture della rete, a cura di Gianluca Pomante, Avvocato Cassazionista esperto di informatica e comunicazione. Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

La Corte Suprema di Cassazione, con Sentenza del 12 gennaio 2017, torna a pronunciarsi sul reato di atti persecutori previsto dall‘art. 612 bis del Codice Penale, meglio noto con il termine anglofono “stalking, per evidenziare che le conseguenze dello stato d’ansia, del timore per l’incolumità propria o dei propri cari e del mutamento delle abitudini di vita non devono necessariamente coesistere per la configurabilità della condotta penalmente rilevante.

La norma incriminatrice, infatti, prevede infatti la divisione delle frasi con la congiunzione “ovvero” che nel testo normativo ha solitamente funzione disgiuntiva, ad indicare situazioni alternative: “…in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. Ne consegue che è sufficiente che sia manifesta una delle tre conseguenze delineate dal codice per ritenere perpetrato il reato di atti persecutori.

Del resto, una interpretazione di tipo esplicativo, riferita alla suddetta congiunzione “ovvero”, porterebbe ad una interpretazione irragionevole ed illogica, che non potrebbe far considerare le anzidette conseguenze legate l’una alle altre ai fini della determinazione della condotta penalmente rilevante.

Nè appare condivisibile la tesi del ricorrente, che avrebbe sostenuto la configurabilità del reato di molestie ex art. 660 cp nell’ambito di una separazione complicata, rispetto ad una situazione caratterizzata da pedinamenti, appostamenti, reiterate minacce di morte estese anche a familiari e conoscenti – attività confermate da numerosi testimoni – che evidentemente ingenerano nella vittima un comprensibile stato d’ansia e timore per l’incolumità propria e dei familiari, sebbene a tale situazione di precarietà psicologica non faccia poi concretamente seguito una modifica delle abitudini di vita, condizionate anche da altri fattori.

Il reato di molestie si configura per la semplice attività di disturbo reiterato, tale da diventare fastidioso ed esondare dall’alveo della normale e ragionevole tollerabilità, e non è caratterizzato da conseguenze particolari, per cui è chiaramente una ipotesi assorbita dal più grave reato di atti persecutori quando alla semplice molestia si aggiunge una minaccia talmente grave e attendibile da generare gli effetti delineati dall’art. 612 bis del codice penale.

Appare quindi corretta la stringata motivazione della Corte di Cassazione che, peraltro, ha confermato due sentenze di condanna ritenute ragionevolmente e puntualmente motivate.