Sentenza

DigiLawyer. Slot machine alterate, tra frode, ricettazione e gioco illecito

di Gianluca Pomante, Avvocato Cassazionista – esperto d’informatica e comunicazione |

Fa discutere la sentenza della Corte di Cassazione che imputa il reato di ricettazione e frode informatica ad un esercente accusato di aver installato apparecchi con doppia scheda nel suo locale.

La rubrica DigiLawyer, ovvero riflessioni sul “diritto e il rovescio” di Internet fra nuove potenzialità e storture della rete, a cura di Gianluca Pomante, Avvocato Cassazionista esperto di informatica e comunicazione. Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

Decidendo sul ricorso proposto da un esercente, ritenuto responsabile di aver installato nel proprio locale degli apparecchi dotati di doppia scheda, che consentivano di utilizzare una slot machine sotto le mentite spoglie di un gioco di abilità, sottraendo in tal modo quanto dovuto all’Erario, la Corte di Cassazione, Sez. II Penale, nel mese di dicembre, ha ritenuto che fossero in concorso i reati di ricettazione e frode informatica, poiché il primo illecito riguarderebbe la fase preparatoria del secondo.

La tesi appare obiettivamente discutibile. Il reato di ricettazione presuppone che l’interessato riceva beni o denaro provenienti da delitto ma, nel caso in esame, la modifica di un apparecchio da gioco integra al più un illecito di natura amministrativa, perché il dispositivo non è più conforme alle specifiche tecniche di costruzione stabilite dai Monopoli di Stato, organo preposto alla regolamentazione del mercato.

Se l’esercente avesse acquistato un apparecchio rubato e modificato allo scopo, a parere dello scrivente, si sarebbe reso responsabile della ricettazione, mentre non convince l’assunto che la macchina sia stata poi utilizzata per compiere il reato di frode informatica, alterando il funzionamento del sistema di contabilizzazione delle somme dovute all’Erario. In tal modo il reato successivo, che dipende dalla destinazione che l’esercente ha dato all’apparecchio, diviene il presupposto del reato di ricettazione, in una sequenza temporale illogica rispetto alla costruzione della norma incriminatrice. Se rilevasse la destinazione all’uso del bene dovrebbe allora essere accusato di ricettazione anche l’acquirente di cacciavite e martello, in ferramenta, successivamente utilizzati per perpetrare un furto con scasso.

Né convince l’assunto secondo il quale il costruttore dell’apparecchio sarebbe responsabile egli stesso del reato di frode informatica. Innanzitutto perché lo stesso potrebbe essere destinato ad altro mercato ed il venditore non ha l’obbligo di accertarsi che sia utilizzato in Italia; in secondo luogo, perché l’ipotesi di frode informatica presuppone l’altruità del sistema aggredito, del quale, pertanto, non è parte integrante il videogioco, che rileva, semmai, come mero strumento di aggressione dall’esterno, come nel caso di un grimaldello rispetto alla serratura o di un disturbatore di frequenze che impedisce il funzionamento di un sistema di allarme, per restare in ambito tecnologico.

Un altro aspetto che non convince, dell’intero procedimento, è il mancato rilievo della fattispecie incriminatrice prevista dall’art. 4, L. 401/1989, che punisce l’utilizzo di apparecchi elettronici da intrattenimento con modalità diverse da quelle stabilite dall’Amministrazione dei Monopoli di Stato (oggi Agenzia delle Dogane e dei Monopoli).

Che si tratti di una norma speciale, dedicata al gioco, è indubbio, e come tale dovrebbe prevalere su quella generale della frode informatica, che riguarda invece la totalità dei sistemi informatici e telematici. Non si comprende, sinceramente, la ragione per cui la Procura, fin dall’origine, non abbia applicato tale ipotesi di reato e non quella della frode informatica.