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DigiLawayer. Social network e diffamazione aggravata, di chi è la colpa?

Continuano le pronunce della Suprema Corte in tema di diffamazione aggravata dall’uso dei social network considerati mezzi divulgativi di informazioni verso una quantità indeterminata di soggetti e quindi potenzialmente devastanti, in caso di attività denigratoria, per la vita e le relazioni sociali della vittima.

Con Sentenza del 7.10.2016, depositata il 20.1.2017, la V Sezione della Corte di Cassazione ha nuovamente affermato la penale responsabilità dell’imputata per aver, nel corso di una diatriba avente ad oggetto un rapporto sentimentale, offeso la controparte apostrofandola come “cornuta” e mettendo, quindi, in serio pericolo la sua vita di relazione, esponendola, inoltre, al pubblico ludibrio.

Un inciso sintetizza chiaramente l’interpretazione, ormai costante, della Corte:

“se il contenuto della comunicazione in siffatto modo trasmessa è di carattere denigratorio, la stessa è idonea ad integrare il delitto di diffamazione. La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 c.p., comma 3, poichè trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone.”

Quello che suscita perplessità, tuttavia, non è l’atteggiamento della magistratura, assolutamente condivisibile, ma la superficialità con la quale gli utenti (e, soprattutto, gli adulti, dai quali ci si aspetterebbe maggiore maturità) si rapportano con i social network.

Si può ben affermare che la società tecnologica vive oggi un momento di forte dissoluzione ideologica, nel quale i social network hanno sostituito gli psicofarmaci e le sedute di analisi nella gestione delle frustrazioni quotidiane, che si riversano come un fiume in piena sulle tastiere e, conseguentemente, sulle piattaforme messe a disposizione delle multinazionali del software, assumendo la forma di una coscienza collettiva deviata, che spinge gli utenti a mostrare il loro lato peggiore.

Sorvolando sull’interesse, null’affatto di scarso rilievo, di multinazionali e governi per la profilazione degli utenti, che consente di affinare strategie commerciali e acquisire informazioni rilevanti per la sicurezza nazionale, è spesso imbarazzante la lettura dei contenuti e, soprattutto, l’analisi dei toni con i quali l’utente medio si rapporta con i propri simili tramite social network.

Le barzellette nelle quali si evidenzia che, trasposti su pubblica piazza, molti comportamenti determinerebbero un Trattamento Sanitario Obbligatorio a carico dell’interessato, sono purtroppo aderenti alla realtà più di quanto non lo siano molte notizie chiaramente inventate (c.d. fake news) che, ciò nonostante, assurgono agli onori della cronaca nazionale per la facilità con cui destabilizzano la pubblica opinione, creando allarme sociale e la inevitabile reazione delle autorità.

L’impressione che avrebbe del vasto popolo dei social network un cittadino degli anni ’60 (noti il periodo di maggior crescita umanistica ed artistica del secolo scorso) se venisse improvvisamente traslato nella nostra epoca, sarebbe probabilmente quello di una gabbia di matti con tendenze asociali.

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