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Didattica a distanza in Italia: studenti senza mezzi tecnologici, docenti disorientati. Aprire subito i cantieri digitali nelle scuole

La scuola, come ogni altro settore della nostra società, ha dovuto fare i conti con i terribili effetti della pandemia di Covid-19, cercando di mitigare l’impatto del lockdown sugli studenti, almeno lato istruzione, attivando in maniera rapida e in alcuni casi confusa le piattaforme per la didattica a distanza.

Non è andato proprio tutto bene e da Nord a Sud molte famiglie hanno dovuto affrontare “da sole” con i propri figli quest’esperienza delle lezioni online. Secondo un’indagine Wiko, sei studenti su dieci in Italia hanno dovuto spesso affrontare e risolvere problemi tecnici inerenti connessione e funzionamento delle piattaforme.

Non riuscivano a collegarsi, non si sentiva l’audio o arrivava con eccessivo ritardo rispetto alle immagini, improvvisamente spariva tutto, insomma, di problemi ce ne sono stati tanti e molto è dipeso anche dalle scarse competenze digitali delle famiglie italiane: tutti connessi e con uno smartphone, ma pochi che conoscano i linguaggi dell’innovazione.

Il Rapporto sulla didattica online

Non solo nelle famiglie, anche tra i docenti. Secondo una nuova indagine, il 77% dirigenti scolastici intervistasti ha dichiarato che uno dei principali rischi della didattica a distanza è nell’insufficiente/inadeguata preparazione del personale alle tecnologie di rete e digitali.

Nel 71% dei casi, invece, il pericolo potrebbe anche celarsi nella disparità esistente tra “scuole forti, con esperienze pregresse, buona dotazione tecnologica e docenti con elevati skills digitali, e scuole deboli”, che si affacciano solo ora, e troppo rapidamente forse, nell’ecosistema digitale.

Un digital gap, insomma, frutto di disuguaglianze sostanziali radicate nei territori (a partire dalla distribuzione delle risorse) ben prima dell’arrivo del virus.

Sono i dati relativi al primo Rapporto Agi-Censis nell’ambito del nuovo progetto “Italia sotto sforzo. Diario della transizione 2020“, che mira ad analizzare le difficoltà che l’Italia si porta dietro dal passato.

La scuola italiana ha cercato di reagire alla pandemia, ma in maniera disordinata, con scelte tecnologiche lasciate ai singoli docenti (55%) o all’istituto (40%), senza un progetto organico (31%) e un piano di coordinamento (25,5%).

Un’esperienza da alcuni giudicata entusiasmante, da tanti altri invece deludente. Di fatto, un ragazzo su dieci in Italia non ha seguito nessuna lezione online, con quasi il 43% dei docenti non attivo nell’insegnamento a distanza.

Il presente digitale della scuola italiana

Questi ultimi due dati sono particolarmente preoccupanti, perché, oltre ai ragazzi che non hanno seguito lezioni online, sarebbe da capire quanti realmente, tra quelli invece coinvolti dalle piattaforme, hanno avuto modo di acquisire qualcosa da questa esperienza straordinaria.

Qual è, a questo punto, il livello di istruzione medio nel nostro Paese? Che impatto ha avuto l’epidemia, alla luce dei dati dell’indagine, sul processo di apprendimento dei giovani? Come i docenti si rapporteranno con le tecnologie digitali nel prossimo futuro, quando con molta probabilità se ne farà un uso crescente?

Queste tecnologie o ci si prepara per bene ad utilizzarle, magari in maniera continuativa, o si rimane analfabeti e si fa esperienza dell’esclusione sociale, culturale ed economica che ne deriva; o si fa in modo di garantire l’accesso di studenti a docenti alle risorse tecnologiche e le competenze necessarie.

Parliamo di un universo composto da 8,5 milioni di studenti e famiglie e da un altro milione di persone tra docenti, dirigenti scolastici e amministrativi, personale Ata.

Non tutti hanno i device per connettersi e non tutti hanno una formazione adeguata. Compito dello Stato è rimuovere le barriere che impediscono, alla scuola italiana e chi la vive, la piena partecipazione alla trasformazione digitale che sta interessando l’intero mondo dell’istruzione e dell’educazione.

C’è da chiedersi, ad esempio, perché la didattica a distanza non abbia ancora un posto definitivo nell’ordinamento scolastico, dovrebbe averlo, visto i tempi che viviamo (il che consentirebbe un rapporto stabile tra innovazione e studenti), ma anche perché la formazione dei nostri docenti, in molti casi, sia ancora scarsa.

Le risorse del decreto rilancio

Viviamo l’alba dell’era digitale e siamo ancora qui a parlare di mancanze e di inadeguatezze del sistema nel suo insieme. Nel cosiddetto decreto rilancio, sono stati stanziati 331 milioni di euro, messi “immediatamente a disposizione delle scuole statali per cominciare ad organizzare la ripresa di settembre”.

Soldi che potranno essere utilizzati, fra l’altro, per la formazione e l’aggiornamento del personale, lavoro agile e sicurezza nei luoghi di lavoro, servizi di assistenza medico-sanitaria e psicologica, strumenti digitali per l’adeguamento dei laboratori.

Saranno i dirigenti scolastici a stabilire le priorità di spesa in base alle esigenze delle loro scuole. Le risorse potranno essere, ad esempio, utilizzate anche per riprogettare gli spazi didattici interni ed esterni, ma anche per manutenzione e ristrutturazione.

A questo punto, c’è da sperare che queste risorse siano spese davvero per cambiare la scuola italiana. Per migliorarla e per innovarla. Si devono aprire dei veri e propri cantieri digitali. C’è da formare il personale, ci sono classi da istruire, c’è da pensare a quali tecnologie adottare al posto di altre per la didattica.

C’è da combattere il digital divide e la povertà digitale (fenomeno già presente ormai nel nostro Paese), c’è da assicurare a tutti inclusione sociale e accessibilità ai mezzi tecnologici e soprattutto culturali.

Dobbiamo infine connettere tutti gli studenti alla rete e allo stesso tempo proteggere rigidamente i dati personali dei giovani dagli interessi delle grandi multinazionali dell’high tech, magari anche investendo nell’open source.

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