Spettro radio

Dibattito frequenze. Antonio Sassano: ‘La Tv è importante, ma si sta trasformando’

di Antonio Sassano, docente dell’Università La Sapienza |

Il Professor Antonio Sassano risponde ai dubbi sollevati dal collega Stefano Mannoni, già commissario AGCOM, su frequenze e Tv alla luce dell’accelerazione impressa dalla Commissione Ue alla liberazione della banda 700.

Nella sua interessante rubrica “Causeries”, il Prof. Stefano Mannoni, con garbati e stimolanti argomenti, ha espresso qualche dubbio (Causeries. Frequenze e Tv: qualche dubbio dopo l’intervista ad Antonio Sassano) su una mia recente intervista sui temi della gestione dello spettro apparsa su Key4Biz (Frequenze, l’Italia non ha tempo da perdere’. Intervista ad Antonio Sassano (La Sapienza)).

Ho sempre apprezzato la sua acuta capacità di analisi ed il carattere costrutivo dei suoi argomenti e anche in questo caso, come altre volte in passato, rispondere ai suoi dubbi consentirà anche a me di chiarire il mio punto di vista.

I dubbi del Prof. Mannoni hanno un carattere generale, il suo è un invito a non concentrarmi esclusivamente sul mezzo trasmissivo, le frequenze, ma a visitare il territorio (da me) meno frequentato del “medium”, ovvero della televisione.

Primo dubbio

Due sono le obiezioni specifiche, provo a sintetizzarle così. La prima: L’Europa, tutta concentrata sulle reti, ha dimenticato l’audiovisivo, lasciandone la gestione ai singoli Stati e limitandosi a poche regole generali che “facilitino la circolazione di beni e servizi nel mercato unico”.

Insomma, usando le parole del Prof. Mannoni, “Non solo l’armonizzazione latita .. ma non è nemmeno prevista in programma. Manca dal menù, o a detta di alcuni, è in fondo alla lista delle portate”.

La sua osservazione è certamente corretta per quel che riguarda cultura e pluralismo e concordo con lui che un maggiore sforzo in questa direzione sarebbe utile. Ma le carenze della Commissione su questi temi non sono che il riflesso delle più generali difficoltà della costruzione europea.

I 16 “pillars” del documento della Commissione del 6 Maggio 2015 hanno invece l’obiettivo più limitato della creazione di un “Digital Single Market” dei servizi e dei contenuti digitali e non mi sembra che in questo “statement of intentions” il tema dell’audiovisivo sia relegato in fondo alla lista.

Se le cose stessero davvero così, mi unirei alla sua critica all’operato della Commissione.

Digital Single Market e audiovisivo

Mi sembra, al contrario, che il documento DSM pur nella sua inevitabile genericità, dedichi solo uno dei suoi punti allo “spectrum management” e tratti invece in modo estensivo temi rilevanti per il mondo dell’audiovisivo quali il diritto d’autore, il “geoblocking”, le piattaforme online e la revisione della direttiva sui media audiovisivi, per la quale viene indicato un obiettivo chiaro ed ambizioso:  “how to adapt existing rules (the Audiovisual Media Services Directive) to new business models for content distribution”.

Dunque l’audiovisivo non è affatto un tema dimenticato ma costitusce piuttosto l’asse portante del documento DSM, fondato sulla presa d’atto che il mondo della distribuzione dei contenuti stia subendo una profonda trasformazione e sulla necessità di nuove regole transnazionali per difendere gli investimenti dei produttori di contenuti e per offrire a questi ultimi un mercato continentale nel quale la diffusione sia agevole su tutte le piattaforme e su tutti i mezzi di trasmissione (satellite, banda larga e digitale terrestre).

Da questo deriva, e penso di essere d’accordo con il Prof. Mannoni, la necessità di un “level playing field” di obblighi e regole per vecchi “broadcasters” e nuove piattaforme online.

Broadcaster e frequenze

Ma questo non basta, c’è anche bisogno, per cogliere fino in fondo il senso del Documento DSM, di una rivoluzione culturale da parte dei vecchi attori del mondo dell’audiovisivo: non più l’identificazione con la propria piattaforma di distribuzione, non più “broadcaster” che considerano indispensabile il controllo diretto delle “proprie” frequenze, ma una più netta distinzione tra chi produce capacità trasmissiva (gli operatori di rete) e chi la utilizza su ogni possibile piattaforma di distribuzione.

In questo senso va letta, ad esempio, la recente apertura all’LTE-broadcasting della Commissione Europea.

Non un’irruzione del proprietario della’infrastruttura LTE nel mondo del “broadcasting” televisivo ma l’aggiunta di un nuovo canale di distribuzione di contenuti digitali a disposizione di tutti i futuri “broadcaster”.

 

Secondo dubbio

Vengo ora al secondo dubbio espresso dal Prof.Mannoni. La Francia è diversa da noi, “più americanizzata” e può permettersi un rapido salto alla “televisione online”. La nostra televisione ha un ruolo di “assistenza sociale per anziani”, di “minimo collante sociale” e di “intrattenimento comunitario” per milioni di utenti.

Parto dalla diversità culturale dei francesi come giustificazione della loro accelerazione nella direzione della televisione online. Non credo che la frontiera Mentone possa essere considerata un “cultural divide”.

Leggo invece la loro accelerazione nel quadro complessivo della strategia nazionale per una rapida e capillare diffusione della Banda Ultra Larga, fissa e mobile. Nella definizione della loro politica industriale i francesi hanno tenuto conto del fatto, universalmente riconosciuto, che la diffusione dei contenuti video su rete fissa e mobile sarà uno dei driver principali (forse IL driver principale) per la sottoscrizione di abbonamenti alla Banda Ultra Larga.

Dunque, mentre lanciano il loro piano per la fibra in tutte le case, accelerano lo sviluppo della Banda Larga Mobile con la liberazione della Banda 700Mhz e razionalizzano il panorama della TV digitale terrestre riducendo da 8 a 6 i propri multiplex (noi ne abbiamo 20 nazionali e 18 locali per regione).

Il caso Francia

Concordo con il Prof.Mannoni (l’ho anche detto nell’intervista a Key4Biz) che la Francia non può imporci la “timetable” di questo suo sviluppo accelerato delle reti di Nuova Generazione. Noi non spegneremo le nostre televisioni entro il dicembre del 2017 come previsto dal loro “plan de passage”.

Lo potremmo fare nel 2020, nell’ambito di un nostro piano di transizione che si concluda entro il 2022 come suggerito dalla Commissione Lamy. Nella mia intervista osservavo che, tuttavia, il non aver ancora definito un nostro Piano e una nostra strategia, genera una forte tentazione nei nostri vicini ad imporci i loro piani e le loro strategie.

Chiudo con una breve osservazione sul ruolo di “assistenza sociale” della nostra TV. Concordo con Mannoni, ma mi auguro che i nostri “broadcaster” non pensino a questo ruolo e a questa tipologia di utenza come la propria missione principale e come un incentivo a conservare lo “status quo”.

 

Piuttosto, proprio per proteggere gli investimenti delle famiglie italiane, mi auguro che il nostro “plan de passage” per la liberazione della banda 700 sia il meno traumatico possibile per gli utenti e che la transizione non sia basata su un cambio forzato del parco ricevitori o su una nuova stagione di “decoder per tutti”, ma sia sincronizzata con il naturale ricambio delle televisioni (intese come elettrodomestici) delle famiglie italiane.