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Di Colossi e cugini prossimi, la corsa di Roma per l’Expo 2030

Mercoledì scorso, il sindaco Roberto Gualtieri è volato a Parigi per presentare la candidatura di Roma all’Expo 2030. Poiché amiamo le sfide, abbiamo provato a dire la nostra sul tema, scaldando un po’ i media con la proposta, firmata da Luca Josi e Antonio Romano, di un colosso prossimo al Colosseo. L’Anfiteatro Flavio è il monumento più iconico d’Italia, eppure sembra aver smarrito il senso del suo etimo: deve il nome alla statua di Nerone, talmente magistrale nelle dimensioni da rimaner impressa nella memoria oltre la sua dipartita.

Se pensiamo a simboli celeberrimi, pensati per eventi come questo, il paragone più naturale è con l’icona francese, nata dalla mente di Gustave Eiffel, proprio per l’Esposizione Universale del 1889. Con il nostro Anfiteatro, hanno in comune una stessa tempra simbolica, eppure la fama di opera di ingegneria moderna se l’è conquistata con fatica. Eugène Atget, tra i migliori fotografi del tempo, la schivava. Al 1893 data una caricatura che proponeva di usarla come “piedistallo” per la statua di Victor Hugo; ah, les miserables, avrebbe forse detto.

Quella porta di accesso a tutte le merci del mondo – cioè l’Expo – era forse vista, da occhi ancora acerbi, come un groviglio di ferro. E in quanto tale fece il suo lavoro, diventando calamita cosmica di attenzione. E noi, mentre tocchiamo appunto ferro per la nostra Capitale (il responso arriverà a novembre), ci stiamo convincendo che, se c’è un’idea adatta al contesto, può diventare a volte un successo colossale.

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