Il centenario

Democrazia Futura. L’Uomo del Grande Teatro, Giorgio Strehler

di Italo Moscati, scrittore, sceneggiatore, regista, critico televisivo critico teatrale e critico cinematografico italiano |

Cent’anni fa nasceva a Trieste il fondatore del Piccolo Teatro.

Italo Moscati

Nella rubrica Il piacere dell’occhio Italo Moscati rievoca “l’Uomo del Grande Teatro, Giorgio Strehler” in occasione del centenario della nascita a Trieste del fondatore del Piccolo Teatro di Milano. Moscati lo definisce “L’uomo dei teatri stabili”  “Strehler è stato un regista di cuore e di intelligenza elegante, forte, colma di conoscenza e di fascino. Il teatro del dopoguerra ma anche negli anni dopo, fino alla morte che lo ha stroncato a settantasei anni, troppo presto. Che cosa aveva di speciale Strehler? che amava il suo lavoro di finzioni sceniche con una potenza d’amore e di competenza che funzionava sempre ma poteva abusare o anche semplicemente risparmiare i consensi ai testi proposti”. Dietro ai suoi rifacimenti troviamo l’ombra di Reinhard, Brecht o Goldoni: “C’era in questa fedeltà tenace, caparbia, morbida e appassionata, una volontà mai rigida, anzi, ma esclusiva…quel teatro rifatto, interpretato, amato, era opera sua, opera offerta da lui a chi conosceva loro testi e loro vicende…Non violentava mai, si insinuava con calma, pazienza e autorità nelle prove, a cui ho avuto modo di assistere. Insisteva con le sue idee, che non erano abiti ma testimonianze affettuose, pronte a scattare verso i “pubblici” in molti modi, ma soprattutto con limpida ispirazione”. […]“Strehler andava avanti – chiarisce Moscati secondo le sue scelte, la voglia totale di proposte misurate sulle fascinazioni che lo trascinavano a Brecht, al suo caro Brecht, e ai classici dei russi, con qualche apertura agli italiani, tutti testi che lo divertivano o lo incuriosivano . La sua “solitudine” e il suo “amore” per l’opera considerata creavano un pulsare creativo, profondo, vertiginoso. Ma non era un partito preso, o la seduzione delle cose e ispirazioni care. E neanche -una mania, una vanità, un orgoglio potente; che pure c’erano”, prima di concludere rievocando anche Milva, recentemente scomparsa : “Si cercano persone geniali, dopo Strehler, Ronconi, Bene … Le si cerca sempre perché nel teatro del grande Strehler sensibile, attento, regista innamorato del gioco serio del teatro, pronto a soluzioni, sapeva raggiungere proposte diverse, acute, come accaduto con Milva, cantante-attrice proprio al Piccolo di Milano, nella indimenticabile Mamì voluta da Strehler e riproposta nei giorni recenti e dolorosi della sua scomparsa, il suo maestro l’aveva da sempre salutata, più che un ricordo…”.

Giorgio Strehler

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Non voglio fare titoli e nomi per raccontare chi era, per me, Giorgio Strehler, l’uomo di Teatro del Piccolo Teatro, grande teatro, che se ne andò con amarezza nel 1997, stanco di vivere, stanco di doversi ancora difendere da un prestigio che sognava fin da ragazzo, Non voglio entrare nel lessico dello schema con il quale i giornali, e i cattivi giornalisti e critici, si dedicato a dichiarare i giudizi sfacciati per lode o per odio malvivente. Non voglio neanche raccontare la carriera di uomo che era stato fatto per il teatro amato (mai per il cinema dal quale si allontanava spaventato ma riconoscente). 

La noia è entrata nelle nostre scene anche se non mancano i talenti ma manca quella passione intelligente che aiuta i geni nascosti che escono fuori prima o poi. La noia si chiama in tanti modi, ma qui da noi diventa odio che non si cancella. Adesso non ce ne rendiamo conto perché l’odio si manifesta gagliardo e poi anche lui si annoia. E la situazione si avvelena con un rantolo e si stabilizza tranquilla. 

L’uomo dei teatri stabili

Poiché non voglio fare storia, meglio raccontarla poiché quella che circola è molto noiosa, mi propongo, anzi propongo qualcosa che mi sembra più aderente alla situazione in cui circoliamo. Lo faccio isolando non solo il nome di Giorgio Strehler, che ha aperto con efficacia il teatro italiano dopo la seconda guerra mondiale e si è rifugiato in un teatro chiamato Piccolo ma che fece presto a diventare grande. Strehler è stato l’uomo di teatro che, in un colpo solo, dopo la guerra, è diventato un punto di riferimento nell’epoca di una novità ancora vitale ma oggi malconcia e fragile: la novità dei Teatri Stabili. Non li cito nemmeno, sappiamo che stanno solo nelle grandi città e stanno vivendo un’ennesima stagione di pratiche di speranza e però di sofferenza, non sanno più bene cosa sono e cosa devono, possono fare. A Roma, Torino, Milano …

La partita è aperta anche ad altre organizzazioni stabili nelle Regioni e lo sappiamo che vivono nel silenzio, cercando di vivere e di sopravvivere. 

Qui voglio essere spietatamente risoluto nel misurare le mie parole e limitarmi alle storie, alle luci, alle speranze, alle illusioni e alle delusioni … si anche queste fanno storia e speranza. Comincio con Strehler e vado avanti non solo altri due nomi che per il momento tengo per me. Perché Strehler? Per un valore grande, anche quando avevo critiche anche se erano spesso ironiche o semplicemente soddisfatte delle suggestioni belle che lui mi, ci serviva. 

Strehler è stato un regista di cuore e di intelligenza elegante, forte, colma di conoscenza e di fascino. Il teatro del dopoguerra ma anche negli anni dopo, fino alla morte che lo ha stroncato a settantasei anni, troppo presto. Che cosa aveva di speciale Strehler? che amava il suo lavoro di finzioni sceniche con una potenza d’amore e di competenza che funzionava sempre ma poteva abusare o anche semplicemente risparmiare i consensi ai testi proposti. Non era convinto di dover fare solo spettacoli belli, e ne ha fatto parecchi, e appassionatamente risolti con fascino diretto, quasi tenero, affettuoso …

Il teatro era il suo amore e gli autori e gli attori che lavoravano al Piccolo erano anche loro nella fantasia, rabbia, dolcezza, potenza di sentimento. Strehler era radicato nell’appartenenza alla sinistra e alle idee che ne derivavano; ma nelle sue scelte artistiche c’era sempre la chiara decisione di affermare la sua fedeltà ai grandi classici e anche alle spinte, realtà, visioni, rivolte, denunce che gli riempivano il cuore e destinava a un pubblico da orientare senza forzare, senza chiedere arruolamenti, ma esprimendosi con chiarezza e fedeltà su e per le sue scelte nelle scelte e nei contenuti. 

L’ombra di Reinhard, Brecht o Goldoni dietro ai rifacimenti di Giorgio Strehler

Le rivoluzioni nei testi classici e nelle novità, o nei suoi testi preferiti, erano manifestazioni di appartenenza alle scie di Max Reinhardt o a Bertolt Brecht o a Carlo Goldoni … C’era in questa fedeltà tenace, caparbia, morbida e appassionata, una volontà mai rigida, anzi, ma esclusiva…quel teatro rifatto, interpretato, amato, era opera sua, opera offerta da lui a chi conosceva loro testi e loro vicende…Non violentava mai, si insinuava con calma, pazienza e autorità nelle prove, a cui ho avuto modo di assistere. Insisteva con le sue idee, che non erano abiti ma testimonianze affettuose, pronte a scattare verso i “pubblici” in molti modi, ma soprattutto con limpida ispirazione. Queste sole le conseguenze che tirava nel suo coerente lavoro che ho pensavo e ricostruito nel mio libro Giorgio Strehler, vita e opere di un regista europeo[1], perché così era e così usci dai nostri confini e produsse effetti importanti, travolgendo con le sue regie le diversità degli autori, delle loro idee, delle loro proposte sceniche.

Era un grande teatro, con le simpatie e l’orgoglio, il successo e persino il mito fondato sul Piccolo Teatro di via Ravello e  i suoi successi. Ma non c’era solo questo nel teatro negli anni Sessanta quando il momento delle scene si agitava, e non lanciava solo promesse, cercava il passato piuttosto che lo spettacolo del futuro. Stava avvenendo, sotto gli occhi di tutti, una nuova, diversa stagione del teatro italiano. Un teatro che viveva e piaceva poco, suscitava divisioni tra i critici (meno male) ma proponeva  quasi in silenzio un arrembaggio al futuro della scena, un futuro con una certa quantità di autori, registi, attori piegati e piagati da ripetitività, scarsità di idee nei testi e nelle forme sceniche. 

Strehler andava avanti secondo le sue scelte, la voglia totale di proposte misurate sulle fascinazioni che lo trascinavano a Brecht, al suo caro Brecht, e ai classici dei russi, con qualche apertura agli italiani, tutti testi che lo divertivano o lo incuriosivano . 

La sua “solitudine” e il suo “amore” per l’opera considerata creavano un pulsare creativo, profondo, vertiginoso. Ma non era un partito preso, o la seduzione delle cose e ispirazioni care. E neanche -una mania, una vanità, un orgoglio potente; che pure c’erano. 

Era la fuga del tempo, Strehler era del 1921, aveva trentanove anni nel 1960, era ancora giovane. Si voleva battere e sentiva che qualcosa stava accadendo, voleva continuare a “divertirsi” e fare “teatro” in una gara di cui aveva sentito un frusciare fresco e potente.

Ma chi “era” questo “frusciare”? 

Gli altri due talenti. Luca Ronconi e Carmelo Bene

Era un teatro di soli due persone, due combattenti, due nemici di talento, due compagni di ricerca e di un domani più fresco per loro. Erano due talenti. Due persone che stavano montando, mobilitando le loro “teste” sceniche. Erano Luca Ronconi (del 1933, aveva ventisette anni) e Carmelo Bene (del 1937, aveva 23 anni) amavano il teatro che era il loro “valore” da verificare. 

Non sto qui a rompere tegole. Il teatro, nonostante tutto, con il cinema e la televisione, avevano ancora una certa  grinta in mezzo ai cimiteri e al pubblico già spento dalle abitudini noiose delle scene con sempre meno fascino. L’attacco non fu caratterizzato da risentimenti o pregiudizi. Il teatro, come oggi sappiamo, soffriva perché con c’era più lo stanco mondo del passato e della tradizione. Non voglio farla lunga. 

Strehler era fedele alla sua fantasia e ai suoi furori politici, antifascisti, risoluti.  Ronconi e Bene cercavano di aprire le proprie strade a seconda delle correnti elettriche che passavano nelle nuvole delle scene. Ronconi faceva I Lunatici, testo antico di Thomas Middleton e William Rowley, da riverniciare, e fu così: muoveva stupore per costumi ma soprattutto per forza, per rancore recitativo. E Carmelo Bene faceva Majakowsky ma soprattutto Nostra Signora del Turchi (nel cinema). Davano una scossa e avevano tele da stendere al sole di una nuova, possibile creatività

Avevamo con Strehler e con loro il meglio del teatro europeo, non solo. I confronti erano alti e polemici, salutari. Qualcosa mai avvenuta nella Italia dopo il fascismo e la nuova politica del Paese. Questo mi basta. Per non cadere nella trappola d’oggi dei teatri e giudizi da rancorosi, velenosi narratori di balordaggini.

Ecco mi fermo qui.

Oggi risentiamo non soltanto i rancori inutili di sempre che si allungano nel tempo ma la stanchezza di politiche approdate alla confusione nelle scene, nei bilanci, nel vuoto creativo. Quegli anni di Strehler, Ronconi, Bene sono una cosa sola, sono l’energia contro la situazione grigia, faticosa del nostro teatro, con dispersioni, guai di ogni genere, sale chiuse, scuole chiuse e sofferenti, autori vaghi e isolati. Stiamo “tradendo” il nostro teatro e la polemica è bassa, insignificante, povera …

Si cercano persone geniali, dopo Strehler, Ronconi, Bene …

Le si cerca sempre perché nel teatro del grande Strehler sensibile, attento, regista innamorato del gioco serio del teatro, pronto a soluzioni, sapeva raggiungere proposte diverse, acute, come accaduto con Milva, cantante-attrice proprio al Piccolo di Milano, nella indimenticabile Mamì voluta da Strehler e riproposta nei giorni recenti e dolorosi della sua scomparsa, il suo maestro l’aveva da sempre salutata, più che un ricordo…


[1] Italo Moscati, Giorgio Strehler, vita e opere di un regista europeo, Brescia, Camunia, 1985 231 p.