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Democrazia Futura. Livio Zanetti: il direttore più colto

Licia Conte

Le rubriche che compongono la quarta e ultima parte di Democrazia futura si aprono con un breve ricordo Visto da vicino di Licia Conte di Livio Zanetti che Leonardo Sciascia aveva definito “Il Direttore più colto”. Ma non solo. Licia Conte, approdata “al Giornale Radio. Dove Zanetti aveva compiuto un miracolo riunificando i tre GR divisi dalla sciagurata riforma del 1975. Un miracolo che poteva compiere solo un grande personaggio”, definisce l’ex direttore de l’Espresso “forse uno degli ultimi grandi direttori di giornale […]. In redazione, e non a caso, nessuno osava mettere in discussione quel che lui diceva. ‘L’ha detto Zanetti’ era come dire negli anni Cinquanta ‘L’ha detto la Radio’. Dunque, fine della discussione”. Peraltro aggiunge Licia Conte “Livio Zanetti non era temuto, anzi era amato. Da tutti. Anche dai reduci di Gustavo Selva”, ovvero non solo dai giornalisti di sinistra. Un personaggio al contempo autorevole e signorile capace di affrontare serenamente i momenti difficili, le defenestrazioni e persino gli sgarbi di un conduttore infedele che la Conte avrebbe voluto sostituire immediatamente: “Fu Livio Zanetti a impedirmi di farlo. Con un sorriso mi fece capire che la vita va così e devi saper perdere. Non ho mai dimenticato quel sorriso. Fu una lezione amara: capii che in alcuni casi l’autorevolezza senza autorità può non bastare”.

Livio Zanetti

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Domanda a bruciapelo: “Mi dicono che hai lavorato con Enzo Forcella: è così?” Gli raccontai quel che avevo fatto a Radio3 e, a conclusione del colloquio, Livio Zanetti mi disse: “Bene, verrai a lavorare qui come Caporedattore o del Gr3 o della Società”.

Apriti cielo! Quando nel Giornale Radio si sparse la voce che un caporedattore della ‘caienna’ Televideo, per di più una donna, sarebbe arrivata mantenendo intatta la sua qualifica in una redazione ben più importante, ci furono sussurri e grida: ma come? Zanetti si era fatto condizionare dalla Sinistra e per che cosa poi? una di Televideo, manco fosse del TG3 o dell’Unità… quello in fondo si sarebbe potuto capire, ma una di Televideo…

Per la verità, si arrabbiò anche l’uomo che nell’azienda Rai rappresentava il PDS e che era appunto il direttore di Televideo. Compresi fin troppo bene le ragioni dei colleghi del Giornale Radio che aspiravano alla casella (si diceva così) assegnata a me, non ho mai capito invece perché si fosse così arrabbiato il precedente mio direttore. A pensarci oggi – a distanza di tempo – azzardo un’ipotesi: era il mio un trasferimento che avveniva fuori dalle regole ferree della lottizzazione, una decisione autonoma di un direttore. Intollerabile!

L’uomo del PDS bloccò sulle prime il mio trasferimento, poi pretese da Zanetti un altro spostamento dal Televideo al Giornale Radio. Zanetti accettò la strana pretesa e io tuttora penso a lui con tanta gratitudine. 

A ben vedere in quel frangente la parolina magica di tutto questo trambusto era stata probabilmente solo una: Forcella. Livio Zanetti ne era un grande estimatore. Non escludo, perciò che lo abbia sentito. Curiosamente fino ad ora non ci ho mai pensato, ma forse, chissà, era stato lo stesso Enzo Forcella a chiedere a Zanetti di non lasciarmi a Televideo. Mi piace pensarlo.

Per quello che ne avevo saputo io, era stato un collega che non conoscevo a parlare di me a Zanetti. Quel collega si chiama Michele Mezza e ora è un mio caro amico. In Rai, pensavo con stupore, albergava ancora qualche forma di generosità

Approdai al Giornale Radio. Dove Zanetti aveva compiuto un miracolo riunificando i tre GR divisi dalla sciagurata riforma del 1975. Un miracolo che poteva compiere solo un grande personaggio: forse uno degli ultimi grandi direttori di giornale, come aveva detto Leonardo Sciascia, il più colto dei direttori.

In redazione, e non a caso, nessuno osava mettere in discussione quel che lui diceva. “L’ha detto Zanetti” era come dire negli anni Cinquanta ‘L’ha detto la Radio’. Dunque, fine della discussione.

Il direttore stava al giornale dall’alba a sera tardi. Qualcuno diceva che dormiva di notte sul divano della sua stanza. Non lo credo. Sì, forse su quel divano riposava un’oretta nel pomeriggio. Era presente a tutte le riunioni di redazione.

Entrai in rapporto con lui. Mi raccontò tante storie come il suo incontro con Enrico Berlinguer in un noto bar di piazza Colonna (un bar che ora non c’è più) quando il capo del PCI decise di appoggiare la richiesta di dimissioni del Presidente della Repubblica Giovanni Leone. Mi raccontava fatti e misfatti dei colleghi celebri, come quello che mandava a L’Espresso pezzi dalla sua casa di Montesacro, fingendo di essere a Washington.

Andai un giorno da lui in lacrime. Mi aveva affidato una redazione pletorica: c’erano tutti i colleghi meno desiderosi di lavorare. Uno dei quali, venne a dirmi che aveva una moglie molto malata, che lui doveva assistere, e che quindi non avrebbe potuto per un po’ di tempo dedicarsi al lavoro. Lo favorii con partecipazione affettuosa e pazientai a lungo. Dopo un bel po’ però gli dissi che non potevo più firmare, a vuoto, le sue presenze. Se ne andò rabbuiato. Dopo un’oretta mi fece l’onore di bussare alla mia porta un Capo Redattore del Gr2 mattina, che mi invitò a pranzo. Accettai grata e stupìta.

Andammo fuori e lui con aria circospetta mi disse: “ho ascoltato per caso il tuo colloquio con il collega tal dei tali stamattina. Ma tu sei matta. Tu sai chi è quello? Quello è uno dei Servizi. Mica ti vorrai far arrotare da una macchina una mattina di queste…?” Gli credetti e non gli credetti, ma mi precipitai da Zanetti: era tutto vero. Lui mi disse: “Ma a qualcuno devo pur assegnarlo”. E io: “Sono l’unica tua dirigente donna. Lo devi dare proprio a me?”. Me lo tolse.  

Livio Zanetti non era temuto, anzi era amato. Da tutti. Anche dai reduci di Gustavo Selva. Uno di questi, che era stato la voce del Gr2, Stefano Gigotti, fu nominato nel 1996 direttore delle tre Reti radiofoniche. Volle me come aiuto e come consulente Zanetti, che nel 1994 dopo la vittoria di Silvio Berlusconi, e in omaggio a una nuova lottizzazione, era stato sostituito da un altro direttore alla guida del Giornale Radio.

Da Saxa Rubra approdammo a viale Mazzini e a via Asiago. Per me fu un rientro. Ci divertimmo molto per due anni e gli ascolti di Radio Due schizzarono di nuovo in alto. Io mi occupavo di tutto, e in particolare con Zanetti curavo dibattiti speciali in diretta con pubblico dalla Sala B di via Asiago. Scelsi un conduttore molto abile. In teoria avrebbe dovuto eseguire le indicazioni di Zanetti. Fu invece sleale e con dolore fui costretta ad assistere al tramonto dell’autorità di un grande professionista. Volevo investire Gigotti della questione. Avrebbe sostituito immediatamente quel conduttore infedele. Fu Livio Zanetti a impedirmi di farlo. Con un sorriso mi fece capire che la vita va così e devi saper perdere. Non ho mai dimenticato quel sorriso. Fu una lezione amara: capii che in alcuni casi l’autorevolezza senza autorità può non bastare.

Io stavo spesso con Zanetti nella sua stanza, dove mi rifugiavo appena potevo. Parlavamo di ogni cosa e, soprattutto, di politica.

Dopo appena due anni di questa vita, nel febbraio (credo) del 1998, una congiura di palazzo defenestrò il Direttore Generale della Rai Franco Iseppi, prodiano. Capii che eravamo ormai in pericolo anche noi, ossia Gigotti, Zanetti e io. E infatti.

Nei mesi seguenti dalla direzione generale ci segnalarono che presto sarebbero venuti a trovarci funzionari di un’azienda Iri incaricati di darci una mano, operando una sorta di restyling di dirigenti e prodotti. Fui incaricata di occuparmene. Raggiunsi un accordo, alla fine del quale mi fu chiesto di scrivere un articolo critico nei confronti del mio direttore Gigotti, asserendo che lui del resto si sarebbe presto liberato di me. Non potevo crederci, avevo seguito Gigotti senza nulla pretendere e lasciando al Giornale Radio una buona posizione.

Vabbè! Andai ancora una volta, e dopo anni, piangente nella stanza di Zanetti. Rimasi in piedi e tremavo. Lui uscì dalla sua scrivania, mi venne vicino, tirò fuori un fazzoletto (ancora usavano) e mi asciugò le lacrime. Poi, mi portò verso una sedia, si mise seduto accanto a me e mi disse: “Licia, il tuo direttore è un signore. Non si presterebbe mai a un’azione così vile. Sai anche tu quanto può essere duro, ma sai anche che è sempre molto diretto. Vai a lavarti la faccia. Ti porto fuori a mangiare”.

Da quel momento con Livio Zanetti fu amicizia. E durò fino alla sua morte. Ero al mare nell’agosto del 2000: dettai da lì il suo necrologio al Gr3, alla cui guida ero ormai insediata.    

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