Il focus

Democrazia Futura. Tusmar: le ripercussioni sulle risorse destinate al finanziamento della Rai

di Luciano Flussi, Consigliere Federmanager Roma, già Direttore Generale RAI Pubblicità |

Riforma del Tusmar: l’incremento della flessibilità in materia di pubblicità. Focus di approfondimento con l’analisi del Testi Unico dei servizi di media audiovisivi da parte di Luciano Flussi, Consigliere Federmanager Roma.

Luciano Flussi

Il Focus di approfondimento prosegue con l’analisi del Testi Unico dei servizi di media audiovisivi, con un intervento di Luciano Flussi, Consigliere Federmanager Roma, già Direttore Generale RAI Pubblicità, che approfondisce il tema della “Riforma del Tusmar, l’incremento della flessibilità in materia di pubblicità”, osservando nella fattispecie “Le ripercussioni sulle risorse destinate al finanziamento della Rai”. “In linea di principio, le nuove forme di flessibilità dovrebbero consentire di meglio fronteggiare la grave crisi che oramai investe il mercato da oltre una dozzina d’anni e che ha prodotto, di fatto, il dimezzamento dell’intero fatturato, con una distribuzione non uniforme che ha impattato in particolare sul settore della carta stampata e, in misura minore ma comunque significativa, su quello dei media elettronici tradizionali. Le nuove norme consentono ai Fornitori di servizi di media audiovisivi di scegliere liberamente, all’interno di due macro-fasce orarie 06.00-18.00 e 18.00-24.00, quando collocare le comunicazioni commerciali al fine di massimizzare la domanda degli Inserzionisti nell’intercettare il flusso dei telespettatori, fermo restando che i singoli Paesi possono applicare norme più rigorose o particolareggiate o condizioni differenti per quanto riguarda i Public Service Media (PSM)” aggiungendo: “L’Italia è, infatti, l’unico paese dell’Unione Europea, che in sede di conversione in legge del testo comunitario, ha introdotto una penalizzazione che colpisce esclusivamente uno degli attori del panorama audiovisivo nazionale: la RAI”. Flussi osserva come “la nuova normativa prevede limiti di affollamento pubblicitario solo dalle 6.00 alle 24.00 diversificati per tipologia fornitore come segue: I)Fornitori Servizi Media Audiovisivi in Chiaro in Ambito Nazionale: limite per singola fascia (06.00-18.00 e 18.00-24.00) del 20 per cento per singolo canale (spot pubblicitari, televendite, telepromozioni), senza alcun limite orario; II) Fornitori Servizi Media Audiovisivi a Pagamento: limite per singola fascia (06.00-18.00 e 18.00-24.00) del 15 per cento per singolo canale (spot pubblicitari, televendite, telepromozioni), senza alcun limite orario; III) Concessionaria del Servizio Pubblico Radiofonico, Televisivo e Multimediale: limite per singola fascia (06.00-18.00 e 18.00-24.00) del 6 per cento (elevato al 7 per cento limitatamente all’anno 2022) per singolo canale (spot pubblicitari e telepromozioni), con il limite orario del 12 per cento, con possibilità di “sforamento” dell’1 per cento da recuperare nell’ora antecedente o immediatamente successiva. In concreto tali nuove previsioni producono riflessi molto favorevoli per gli operatori televisivi commerciali, che possono godere di tutti e tre i significativi vantaggi introdotti dalla nuova direttiva europea: a) eliminazione del limite giornaliero; b) incremento del limite orario dal 18 al 20 per cento per gli Operatori in chiaro e dal 12 al 15 per cento per quelli a pagamento, calcolati in entrambi i casi su una base più ampia costituita dalle due “macro-fasce” orarie; c) possibilità di fa rientrare in tale percentuale indistintamente tutti i formati pubblicitari (spot, telepromozioni, televendite).[…]. Per Rai l’effetto è diametralmente opposto – nota l’ex direttore di Rai Pubblicità – : la base di calcolo viene ridotta da settimanale a fascia oraria (mentre per gli altri Operatori si amplia) e viene modificato il criterio, vigente da oltre trent’anni, in base al quale l’affollamento pubblicitario viene calcolato sul complesso della programmazione e non per singolo canale, più in particolare sul perimetro dei tre canali radiofonici e televisivi generalisti e su quello dei canali specializzati”. Descritti “L’impatto negativo esercitato sulla Rai” e identificati “i reali beneficiari delle nuove norme sugli spazi pubblicitari” Flussi lancia in conclusione a proposito della “Rai: l’allarme per le risorse”: “ Se mettiamo insieme gli effetti derivanti dal nuovo Testo Unico, con quelli di aver un canone significativamente inferiore sia a quello dei principali Paesi Europei, sia del valore medio che mette insieme i Grandi Paesi e quelli meno grandi, il quadro che ne esce è che la dimensione complessiva del finanziamento di Rai risulta di gran lunga più contenuta rispetto a quello dei Paesi con cui, a buon diritto, dovremmo poterci confrontare”,  concludendo: “spingendo verso il basso i ricavi di Rai, oramai sempre più a ridosso della soglia dei 2 miliardi, ciò che si mette a rischio non è unicamente la sua sostenibilità, ma anche la sostenibilità dell’intera filiera della produzione audiovisiva italiana di cui, l’Azienda pubblica, rappresenta il principale volano di sviluppo”.

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Il nuovo Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi (Testo Unico)[1] abroga e sostituisce il precedente testo unico di cui al D.Lgs 177/2005 e rappresenta indubbiamente un passaggio importante per la definizione di un quadro normativo volto a favorire lo sviluppo del settore alla luce della profonda evoluzione avvenuta nel tempo che oggi consente al Consumatore di accedere ad un rilevante e multiforme patrimonio di contenuti.

La nuova normativa infatti detta i principi generali per la prestazione di servizi di media digitali audiovisivi e radiofonici e dei servizi di piattaforma per la condivisione di video, tenendo conto del processo di convergenza fra le diverse forme di comunicazione e dell’evoluzione tecnologica e di mercato. Il testo recepisce la Direttiva UE 2018/1808 con cui il Legislatore europeo, nel mantenere l’impianto della precedente Direttiva sui Servizi Media Audiovisivi (2010/13 UE) ha apportato le modifiche rese necessarie. In tale quadro vanno considerati un insieme di aspetti, tra i quali – ed è la parte su cui ci soffermeremo – l’incremento della flessibilità in materia di pubblicità.

In linea di principio, le nuove forme di flessibilità dovrebbero consentire di meglio fronteggiare la grave crisi che oramai investe il mercato da oltre una dozzina d’anni e che ha prodotto, di fatto, il dimezzamento dell’intero fatturato, con una distribuzione non uniforme che ha impattato in particolare sul settore della carta stampata e, in misura minore ma comunque significativa, su quello dei media elettronici tradizionali.

Le nuove norme consentono ai Fornitori di servizi di media audiovisivi di scegliere liberamente, all’interno di due macro-fasce orarie 06.00-18.00 e 18.00-24.00, quando collocare le comunicazioni commerciali al fine di massimizzare la domanda degli Inserzionisti nell’intercettare il flusso dei telespettatori, fermo restando che i singoli Paesi possono applicare norme più rigorose o particolareggiate o condizioni differenti per quanto riguarda i Public Service Media (PSM).

Ed è su quest’ultimo aspetto (che nella riforma 2018 della Direttiva europea non era stato nemmeno preso in considerazione) che si concentrano i cambiamenti maggiori sul sistema audiovisivo italiano.

L’Italia è, infatti, l’unico paese dell’Unione Europea, che in sede di conversione in legge del testo comunitario, ha introdotto una penalizzazione che colpisce esclusivamente uno degli attori del panorama audiovisivo nazionale: la RAI. Una singolarità che – come segnalato dai nuovi amministratori in Parlamento – avrà un pesante impatto sui conti del servizio pubblico italiano.

Il finanziamento dei Public Service Media (PSM)

Volendo schematizzare il modello di finanziamento dei PSM dei principali Paesi europei, sostanzialmente si hanno tre diverse modalità:

  • finanziamento attraverso il sistema misto, canone e pubblicità. È il modello seguito in Germania, Francia, Italia e in numerosi altri Paesi del vecchio continente, con regole e pesi diversi da caso a caso. In Italia in particolare si può affermare che non solo il sistema misto è presente da sempre, ma addirittura che la Concessionaria di pubblicità Sipra è sorta ancor prima dell’Eiar (ottobre 1926 la prima, novembre 1927 la seconda), quando le trasmissioni radio erano ancora a livello pionieristico.
  • finanziamento unicamente attraverso il solo gettito del canone di abbonamento. È il modello seguito dal Regno Unito e dalla maggioranza dei Paesi del Nord Europa.
  • finanziamento a carico del Bilancio dello Stato. Danimarca e Lussemburgo hanno adottato tale modello e, da una decina d’anni, anche la Spagna ha introdotto un meccanismo basato sul contributo diretto dello Stato, cui si aggiungono i proventi da un prelievo ad hoc sui bilanci delle Compagnie telefoniche e degli Operatori televisivi privati. Come dire che l’entità del finanziamento della RTVE è correlato all’efficienza dei propri concorrenti.

Nessuno di questi modelli è esente da critiche, secondo alcuni la leva pubblicitaria finisce per omologare l’offerta di servizio pubblico con quella commerciale, ma indubbiamente la caratteristica che accomuna ognuno dei citati modelli è che maggiore è il ruolo esercitato dal potere politico nel sistema di governance e nella determinazione delle risorse, minore risulta essere il grado di autonomia e di indipendenza da parte dei Public Service Media.

Quindi, per altro verso, una maggiore flessibilità nella gestione delle risorse pubblicitarie volta a favorire maggiori ricavi, potrebbe migliorare il controverso rapporto tra politica e PSM.

Non sembra però essere questo l’orientamento che ha caratterizzato il recepimento della nuova Direttiva comunitaria all’interno del Testo Unico italiano.

In proposito la nuova normativa prevede limiti di affollamento pubblicitario solo dalle 6.00 alle 24.00 diversificati per tipologia fornitore come segue:

  • Fornitori Servizi Media Audiovisivi in Chiaro in Ambito Nazionale: limite per singola fascia (06.00-18.00 e 18.00-24.00) del 20 per cento per singolo canale (spot pubblicitari, televendite, telepromozioni), senza alcun limite orario;
  • Fornitori Servizi Media Audiovisivi a Pagamento: limite per singola fascia (06.00-18.00 e 18.00-24.00) del 15 per cento per singolo canale (spot pubblicitari, televendite, telepromozioni), senza alcun limite orario;
  • Concessionaria del Servizio Pubblico Radiofonico, Televisivo e Multimediale: limite per singola fascia (06.00-18.00 e 18.00-24.00) del 6 per cento (elevato al 7 per cento limitatamente all’anno 2022) per singolo canale (spot pubblicitari e telepromozioni), con il limite orario del 12 per cento, con possibilità di “sforamento” dell’1 per cento da recuperare nell’ora antecedente o immediatamente successiva.

In concreto tali nuove previsioni producono riflessi molto favorevoli per gli operatori televisivi commerciali, che possono godere di tutti e tre i significativi vantaggi introdotti dalla nuova direttiva europea:

a) eliminazione del limite giornaliero;

b) incremento del limite orario dal 18 al 20 per cento per gli Operatori in chiaro e dal 12 al 15 per cento per quelli a pagamento, calcolati in entrambi i casi su una base più ampia costituita dalle due “macro-fasce” orarie;

c) possibilità di fa rientrare in tale percentuale indistintamente tutti i formati pubblicitari (spot, telepromozioni, televendite).

Inoltre va considerato che la possibilità di affollare senza limiti durante la fascia notturna finisce per assumere rilievo esclusivamente per gli Operatori privati.

Per Rai l’effetto è diametralmente opposto: la base di calcolo viene ridotta da settimanale a fascia oraria (mentre per gli altri Operatori si amplia) e viene modificato il criterio, vigente da oltre trent’anni, in base al quale l’affollamento pubblicitario viene calcolato sul complesso della programmazione e non per singolo canale, più in particolare sul perimetro dei tre canali radiofonici e televisivi generalisti e su quello dei canali specializzati.

L’impatto negativo esercitato sulla Rai

Occorre a questo punto chiedersi per quale ragione, nel lontano 1990 con la Legge Mammì, il Legislatore ritenne che la quota di pubblicità sui canali Rai dovesse, da un lato, presentare limiti certamente più stringenti rispetto agli Operatori commerciali, ma dall’altro beneficiare di una maggiore flessibilità (ora cancellata) nella sua collocazione.

E la ragione è che per un Operatore di servizio pubblico, finanziato attraverso un sistema misto, la collocazione in palinsesto delle comunicazioni commerciali incontra un limite oggettivo, diverso dalla dimensione fisica del tempo, che è rappresentato dalla tipologia della programmazione, poiché i programmi spiccatamente di servizio poco si prestano a raccogliere pubblicità e, forse ancor meno, rivestono appeal per gli Investitori, come ad esempio i programmi di qualità, specie quelli con minor ascolto (opera, teatro, film d’autore) e parte dei programmi divulgativi.

Questo fenomeno può essere meglio illustrato pensando ai tre canali principali della radio pubblica: Radio 1 e Radio 3, la prima con una programmazione tipicamente all news e l’altra strettamente culturale, difficilmente hanno potenziale per poter accogliere maggiore pubblicità. E poiché il nuovo divieto di calcolo cumulato tra più canali finirà per contrarre gli spazi offerti da Radio 2, la risultante sarà la perdita di quote di fatturato.

Le considerazioni svolte per i canali radio, evidentemente, valgono in maniera ben più rilevante per quelli televisivi e la prevedibile contrazione dei ricavi pubblicitari finirà per impattare negativamente sulle attività di servizio pubblico che, al di là dei generi, sono orientate verso la produzione di format sperimentali, nuovi talenti, nuove forme di cultura e di proposta artistica ed autorale.

Le stime fanno pensare ad una perdita di potenziale economico per Rai di alcune decine di milioni di euro, contenuta in una forchetta inevitabilmente molto ampia poiché, allo stato, risulta impossibile determinare con sufficiente puntualità tutti i vari parametri – non solo interni, ma anche di mercato – che possono influire su tali valori.

E’ intuitivo però che il valore degli spazi pubblicitari è direttamente correlato all’audience, che il livello d’ascolto nelle due macro-fasce 06.00-18.00 e 18.00-24.00 non è uniforme e che, quindi, non sono uniformi i prezzi. Pertanto poter collocare pubblicità sulle due macro-fasce e su ciascun canale, nel caso degli Operatori privati in chiaro, per 144 (prima macro-fascia) e 72 minuti (seconda macro-fascia) e, nel caso degli Operatori a pagamento, 108 e 54 minuti, senza alcun altro limite orario, è cosa ben diversa dal disporre, come nel caso di Rai a regime, di complessivi 43 (prima macro-fascia) e 21 minuti (seconda macro-fascia), con il limite di non poter superare i 7 minuti e 12 secondi per ciascuna ora.

Al di là delle intenzioni e delle dichiarazioni di principio, quindi, le nuove norme che a livello comunitario avevano come finalità quella di attualizzare l’impianto normativo alla luce della evoluzione tecnologica e di mercato, in Italia avranno un impatto che determinerà lo spostamento di risorse economiche dal pubblico verso i privati. Ma verso quali privati?

Chi rischiano di essere i reali beneficiari delle nuove norme sugli spazi pubblicitari

Secondo le intenzioni di chi ha fortemente voluto questa norma penalizzante per la RAI, lo spostamento dovrebbe favorire le televisioni commerciali (Mediaset in testa). Ma c’è il concreto rischio, forse la certezza, è che queste risorse non vadano a migliorare la condizione degli Operatori tradizionali, ma che si indirizzeranno prevalentemente verso gli Over-The-Top (OTT) che, già oggi, godono di oggettivi vantaggi competitivi.

Del resto, nei mercati in cui sono state introdotte restrizioni – più radicali in Spagna con l’eliminazione della pubblicità per la RTVE, in misura meno marcata in Francia dove è previsto un embargo tra le 20.00 e le 06.00 – si è riscontrato un doppio trend negativo: i profitti sono aumentati solo per gli Operatori on line e i costi per gli Inserzionisti sono aumentati a causa di un oligopolio di fatto dal lato dell’offerta.

E, se questi case history dovessero essere confermati anche per l’Italia,  apparirebbe evidente come i tentativi posti in essere da alcuni Operatori di ricercare, attraverso interventi di natura normativa, il recupero di quote di mercato che la perdurante crisi economica, ora acuita oltremodo dalla crisi pandemica, ha loro sottratto, muovendo contestazioni all’operato di Rai circa i criteri di affollamento e la politica dei prezzi, rischino vedere di perdenti sia l’accusato che gli accusatori.

E’ noto che il mercato pubblicitario presenta delle caratteristiche del tutto peculiari, all’interno del quale l’operatore pubblico incontra maggiori difficoltà rispetto ai privati. Ci si riferisce al livello della scontistica, una pratica che rende i listini del tutto aleatori. Sul tema l’Agcom era intervenuta già nel 2012 con una accurata indagine conoscitiva in cui si dava conto del processo di concentrazione che aveva riguardato il settore dei Centri Media operanti in Italia (riflesso di un più ben esteso processo evolutivo a livello globale) e in cui si affermava “… nella struttura delle negoziazioni tra concessionarie e centri media, è importante evidenziare l’opacità nonché la discrezionalità del sistema in cui si inseriscono tali contrattazioni”.

Concentrazione industriale, opacità e discrezionalità del sistema erano elementi già evidenziati dall’Agcom sin dall’ormai lontano 2012 e sorprende che a distanza di oltre dieci anni non si sia ritenuto di intervenire, come invece è accaduto da tempo in Francia, per provare almeno a rendere meno “opaco” ciò che risulta tale, limitandosi invece – e solo nei riguardi dell’Operatore pubblico – a prevedere delle ulteriori rigidità sulla struttura dei contratti pubblicitari con norme, di dubbia efficacia, la cui finalità invece avrebbe dovuto risultare opposta, in quanto portatrici di interessi generali e astratti.

In linea generale, l’impressione è che ci si trovi difronte ad un’occasione mancata: le nuove norme comunitarie avrebbero potuto rappresentare l’occasione per una rivisitazione del Tusmar, secondo un approccio di neutralità tra i diversi operatori in un quadro di leale e sana competizione al fine di garantire la tenuta di un intero sistema – quello dei media tradizionali – che si trova a dover subire la concorrenza di nuovi players in un contesto di forte asimmetria.

Rai: l’allarme per le risorse

Certo, si può obiettare che il sistema italiano ha come principale modalità di finanziamento dell’Operatore pubblico quella del canone corrisposto dai cittadini, che assicura ricavi certi e garantiti che non trova analogia con gli Operatori privati. In più, nella percezione che si ha della concessionaria pubblica, probabilmente incide poco favorevolmente l’immagine che si ha di essa, eternamente oggetto di critiche, divisioni, contrapposizioni nei suoi più svariati aspetti.

Ma, se dalle percezioni soggettive si passa all’analisi oggettiva, il quadro cambia poiché emerge di tutta evidenza come le norme introdotte a partire dal 2015 abbiano allargato oltre misura la distanza che separa il servizio pubblico italiano da quello dei principali Paesi europei.

In proposito, uno studio del 2020 di Mediobanca sul settore Media&Entertainment a livello mondiale e italiano ha messo in rilievo come Rai mantenga un’indiscussa leadership negli ascolti rispetto ai Competitors privati e si collochi tra i PSM più seguiti a livello europeo, mentre realizza ricavi ben al di sotto di essi.

Infatti, nel 2019,  in Germania i PSM hanno realizzato ricavi per 8.670 milioni, di cui 7.791 derivanti da canone; nel Regno Unito i medesimi valori si sono attestati rispettivamente a 6.967 milioni e 4.137 milioni e, in Francia, a 3.695 e 3.055 milioni.

I ricavi della Rai sono stati complessivamente, nel 2019, di 2.458 milioni di cui 1.799 generati da canone, scesi nel 2020 rispettivamente a 2.362 e 1.726 milioni.

Inoltre, fatto 100 il valore del canone nel 2015, nel 2020 quel valore è diventato 108,2 nel Regno Unito, 102,2 in Francia, è rimasto stabile in Germania e si è ridotto a 79,3 in Italia.

E mentre nei Paesi con cui ci confrontiamo il gettito del canone è quasi totalmente appannaggio dei PSM con quote che oscillano tra il 96 e il 98 per cento, in Italia si disperde in vari rivoli e ciò che arriva a Rai rappresenta poco più dell’80 per cento. 

Ma il problema di fondo è rappresentato dal valore unitario del canone.

Se si considerano i diversi indicatori vediamo che il corrispettivo per abitante in Germania si attesta a 0,58 euro al giorno, nel Regno Unito a 0,55, in Francia a 0,38, in Italia a 0,25 contro una media europea di 0,33 euro. Se lo rapportiamo alla percentuale del PIL procapite vediamo che in Germania si attesta allo 0,59 per cento, nel Regno Unito allo 0,55 per  cento, in Francia allo 0,42 per cento, in Italia allo 0,33 per cento, rispetto ad una media europea dello 0,40 per cento.

Ma la differenza più significativa è rappresentata dall’importo corrisposto dai cittadini: citando ad esempio i PSM che non dispongono di risorse pubblicitarie abbiamo i 185 euro nel Regno Unito e gli oltre 300 euro in Danimarca e Norvegia o, nei Paesi in cui viene adottato il sistema di finanziamento misto, si registrano i 210 euro della Germania, i quasi 140 della Francia contro, come noto, i 90 euro dell’Italia, ben al di sotto della media europea che risulta superiore ai 120 euro.

Se mettiamo insieme gli effetti derivanti dal nuovo Testo Unico, con quelli di aver un canone significativamente inferiore sia a quello dei principali Paesi Europei, sia del valore medio che mette insieme i Grandi Paesi e quelli meno grandi, il quadro che ne esce è che la dimensione complessiva del finanziamento di Rai risulta di gran lunga più contenuta rispetto a quello dei Paesi con cui, a buon diritto, dovremmo poterci confrontare.

Come uscirne? Non sarà facile, ma è indubbio che serviranno interventi strutturali e non provvisori (come quello, inadeguato, di fissare la soglia delle due macro-fasce al 7 per cento esclusivamente per il 2022, quale misura mitigatrice dei paventati danni potenziali) poiché altrimenti, spingendo verso il basso i ricavi di Rai, oramai sempre più a ridosso della soglia dei 2 miliardi, ciò che si mette a rischio non è unicamente la sua sostenibilità, ma anche la sostenibilità dell’intera filiera della produzione audiovisiva italiana di cui, l’Azienda pubblica, rappresenta il principale volano di sviluppo.


[1] Ad oggi è consultabile la versione presentata al Consiglio dei Ministri come “Testo Unico dei servizi di media audiovisivi” pubblicata da Angelo Zaccone Teodosi su questo stesso sito di Key4biz: https://www.key4biz.it/wp-content/uploads/2021/11/IsICult_Smav_Testi_per_Preconsiglio_Direttiva_1808_Pdcm_vers_4.11.2021.pdf. Rimane sempre valida pertanto la precisazione doverosa indicata da Democrazia futura nelle conclusioni dell’introduzione dei curatori del Focus Erik Lambert e Giacomo Mazzone: Il nuovo Testo Unico (Testo Unico dei servizi di media audiovisivi – TUSMA nella sua denominazione attuale), approvato in Consiglio dei Ministri non essendo stato ancora pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, potrebbe essere soggetto ad eventuali modifiche di carattere minore.