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Democrazia Futura. Le onde del Mar Baltico: perché la Finlandia vuole aderire alla Nato

Pirkko Peltonen

Democrazia futura ospita l’articolo “Le onde del Baltico”, scritto da una giornalista e scrittrice finlandese da molti anni residente in Italia, Pirkko Peltonen, per spiegare ai lettori italiani le ragioni che spingono il suo Paese d’origine a chiedere l’adesione all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord o NATO dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

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Soltanto sei settimane fa sino al 24 febbraio 2022, l’opinione pubblica finlandese era certamente contraria all’eventuale adesione del Paese alla Nato. La neutralità del Paese, militarmente non alleato, insieme all’imponente sistema di difesa, capillare e continuamente aggiornato (la Finlandia destina più del 2 per cento del Pil alla propria difesa), parevano garanzie sufficienti. La guerra in Ucraina ha cambiato tutto in un sol colpo e rovesciato la percezione dei finlandesi sulla propria sicurezza: oggi il 61 per cento della popolazione è favorevole all’adesione, solo il 16 per cento si dichiara contrario, più o meno l’opposto di poche settimane fa.

La Finlandia ha le sue ragioni. Oltre all’Ucraina e alla Bielorussia, è l’unico Paese europeo confinante con la Russia e non (ancora) membro della Nato.

La frontiera che separa i due è lunga 1.340 chilometri, e quelle terre di confine sono state teatro di guerre innumerevoli nei secoli. L’ultima volta nel 1939-1940 e nel 1941-1944 con l’Unione sovietica.

Anche lì, come nel caso dell’Ucraina, una aggressione da parte dei russi, con la richiesta di cessione di territori, quella volta “per garantire la sicurezza di Leningrado”, più il cambio del governo democraticamente eletto. La guerra fu persa, con costi enormi, i territori richiesti (la Carelia e l’accesso al Mar artico) furono ceduti – ma l’indipendenza fu salva.

La finlandizzazione e la richiesta di onorare il “mutuo soccorso” offerto dall’URSS

La “neutralità” finlandese post-bellica fu imposta dai trattati di pace che chiusero la seconda guerra mondiale. Divenne qualcosa di diverso, dal 1948, dopo la firma del “trattato d’amicizia e di mutua assistenza” con l’Urss.

Erano gli anni in cui colpi di stato ad opera di partiti comunisti trasformarono per esempio la Cecoslovacchia e l’Ungheria in “repubbliche popolari”. Il trattato con l’Urss fu il cuore della cosiddetta “finlandizzazione”: lo spauracchio costante, per la Finlandia, era che Mosca chiedesse di “onorare” quel “mutuo soccorso”, per esempio inviando delle truppe in Finlandia, o chiedendo truppe finlandesi per altrove.

L’Urss ci provò, più volte, a convocare i finlandesi per “definire meglio” i termini del trattato (per es. nel 1961, dopo la crisi con la Germania federale e la successiva costruzione del muro di Berlino), ma ogni volta i capi finlandesi riuscirono ad uscire dai colloqui senza nulla di fatto.

L’avvicinamento della Finlandia alle organizzazioni occidentali dopo il 1991 e la successiva adesione nel 1995 all’Unione europea

Con l’implosione dell’Unione sovietica, fine 1991, fu sepolto anche il trattato di “mutua assistenza”, e la Finlandia iniziò subito una politica di avvicinamento nei confronti delle organizzazioni occidentali, prima di tutto, con l’Unione europea (aderì nel 1995).

Furono firmati diversi accordi anche con la Nato, nell’ambito della politica di “peace-keeping” (i finlandesi hanno partecipato alle operazioni di “peace-keeping” per esempio in Bosnia-Herzegovina e Afghanistan); da più di venti anni la Finlandia partecipa, come membro non effettivo, alle esercitazioni comuni con la Nato, così come la Svezia.

E più di venti anni fa il Parlamento finlandese approvò, come parte integrante della propria dottrina di difesa, la cosiddetta “Nato-option”: la possibilità, cioè, se giudicato necessario, di richiedere l’adesione alla Nato.

L’avvio del processo di adesione per la Finlandia alla Nato e l’esigenza di una più forte alleanza militare occidentale con la Svezia

E’ arrivato il momento?

La “nuova neutralità”: rapporti stretti con la Nato, senza tuttavia fare parte dell’alleanza militare; una comune strategia militare, sempre più rafforzata, con la vicina Svezia, paiono non bastare più.

Con l’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina (che per i finlandesi ricorda tragicamente l’inizio della “Guerra d’inverno”, con il primo bombardamento della capitale Helsinki il 30 novembre 1939) sono cambiati profondamente gli scenari di sicurezza in Europa, così anche nei Paesi che si affacciano sul Mar baltico.

La “Nato-option” viene ormai sostenuto in Finlandia da tutte le forze politiche, dai social-democratici ai conservatori ai populisti ai verdi, tranne il piccolo partito della Sinistra (che, però, ha già dichiarato che non si metterà di traverso se la maggioranza opterà per la Nato).

Il primo memorandum sul processo di adesione, con la valutazione dei fattori di convenienza e dei rischi, arriverà alle commissioni parlamentari entro la fine del mese di aprile 2022. Dopo, sarà una decisione parlamentare, non vi sarà un referendum popolare.

E’ più che prevedibile che questo passo non piacerà a Mosca.  

Ecco perché la Finlandia dovrà chiedere alla Nato delle “garanzie di sicurezza” per il periodo di transizione.

Sarà l’uscita dalla “neutralità imposta”, certo, ma anche dalla “nuova neutralità”, conquistata dopo il crollo dell’Urss?

Sono ancora in discussione una più forte alleanza militare con la Svezia (sempre che la Svezia non segua la Finlandia sulla via della Nato – e sarebbe clamoroso, dopo ben 200 anni di totale neutralità), oppure l’adesione alla Nato “alla norvegese”: cioè, con minori obblighi militari. D’altronde, già oggi si sono intensificati, da parte della Russia, esercitazioni militari sul Mar artico, sconfinamenti dello spazio aereo con aerei militari, ripetuti attacchi cyber, presenza di navi militari nelle vicinanze delle coste svedesi.

I combattivi Paesi baltici, tutti paesi Nato, premono, la Russia è vicina – e le onde sul Mar Baltico si stanno ingrossando.

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