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Democrazia Futura. La Regina Rossa nella geografia del tecno-sviluppo: un libro come navigatore

Aldo Bonomi

Inaugurando la rubrica La rete e l’architetto, Michele Mezza  prende spunto dall’attualità, dai comportamenti degli elettori nel paragrafo “Sulla non partecipazione elettorale: il caos non calmo dei cittadini di fronte alle urne” e dal conferimento del premio Nobel per la fisica a Giorgio Parisi, sottolineando che “la sua visione del “caos che si auto organizza in un nuovo ordine” riclassificherebbe lucidamente la cassetta degli attrezzi degli osservatori e commentatori delle elezioni”, per proporre nel suo pezzo intitolato “La Regina Rossa nella geografia del tecno-sviluppo” una lettura originale di un saggio del sociologo Aldo Bonomi, Oltre le mura dell’impresa. Vivere, abitare, lavorare nelle piattaforme territoriali che Mezza considera “Un libro come navigatore” […] nei nuovi territori reali e virtuali in cui si sta riorganizzando la società civile del nord, che allunga le sue ramificazioni performanti nelle aree metropolitane del centro sud. Dico navigatore, pensando proprio al dispositivo che usiamo quando ci aggiriamo in luoghi sconosciuti e cerchiamo conferme per dirigerci verso mete che non abbiamo frequentato precedentemente”.

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Sulla non partecipazione elettorale: il caos non calmo dei cittadini di fronte alle urne

Ogni elezione rende sempre più esplicita la fatica nel decifrare i messaggi e i comportamenti degli elettori da parte del sistema politico.

Il tradizionale bilancino con cui si identificavano vincitori e sconfitti non sembra proprio più in grado di cogliere la realtà delle consultazioni. E non tanto per quel gioco di illusionismo per cui ognuno tortura i dati per fargli confessare quello che gli interessa sentirsi dire, quanto perché proprio i dati non afferrano la qualità del voto. William Davies nel suo testo Stati Nervosi[1] ci dice infatti che capire chi andrà a votare è oggi più decisivo che sapere come vota. A dirci come oggi le identità sociali prevalgono sulle appartenenze politiche. Forse proprio il nuovo  premio Nobel per la fisica, il professor Giorgio Parisi, con le sue intuizioni sulle figure disegnate dagli stormi degli uccelli nei tramonti romani potrebbe sopperire alla inadeguatezza delle categorie politologiche a ricavare le leggi che guidano ai seggi gli italiani. In particolare la sua visione del “caos che si auto organizza in un nuovo ordine” riclassificherebbe lucidamente la cassetta degli attrezzi degli osservatori e commentatori delle elezioni. Siamo dinanzi infatti ad un caos per nulla calmo, a differenza del romanzo di Sandro Veronesi, che continuamente determina nuovi ordini, potremmo dire.

Una navigazione nei nuovi territori reali e virtuali in cui si riorganizza la società civile

A supportare questo sforzo analitico, confermando che il caos si auto organizza in nuovi ordini, arriva in libreria un indispensabile e dettagliatissimo, nella messe di dati e soprattutto nel mosaico di ricerche concrete sul territorio, il nuovo saggio di Aldo Bonomi: Oltre le mura dell’impresa[2].

Un vero navigatore nei nuovi territori reali e virtuali in cui si sta riorganizzando la società civile del nord, che allunga le sue ramificazioni performanti  nelle aree metropolitane del centro sud. Dico navigatore, pensando proprio al dispositivo che usiamo quando ci aggiriamo in luoghi sconosciuti e cerchiamo conferme per dirigerci verso mete che non abbiamo frequentato precedentemente.

Aldo Bonomi è uno vero sciamano del territorio: non solo un ricercatore ed analista della vecchia scuola dei grandi sociologi italiani da Alessandro Pizzorno a Franco Ferrarotti a Giuseppe De Rita, ma con la sua sbarazzina ed esibita disinvoltura a combinare accademia e strada, movimenti e numeri, trasgressioni e rigore, ci rende un punto di vista straordinariamente lucido, flessibile e coerente per interpretare un mondo che non è ormai più afferrabile con rigide teorie o cadenzate categorie di scuola.

Una capacità che l’autore arricchisce, con sapienza del tutto originale se non unica, combinando alla progressiva e disincantata osservazione delle radicali trasformazioni che dissolvono ogni tradizione socio politica un robusto richiamo alla sensibilità antropologica che lui stesso definisce ancora eversiva, di pratiche ed esperienze che in quel gorgo del 68 lo portò già ad intendere l’esperienza sociale come immersione e confronto concreto con le realtà territoriali.

Il suo tributo agli insegnamenti della “conricerca” di Romano Alquati[3], uno dei più pionieristici e dunque sottovalutato dalla sinistra, operatore di quella fusione fra sociologia e politica che indagò primo e per decenni unico, il mondo della nuova automatizzazione industriale all’Olivetti negli anni Sessanta, ci spiega quanto Bonomi tenga a congiungere e rivitalizzare filoni che la cultura prevalente ha ignorato lasciando ad impolverarsi su scaffali poco frequentati.

Da questo crogiuolo culturale e professionale affiora una rigorosa disciplina nel cogliere, ad ogni tornante, quella tendenza che apre nuove strade all’evoluzione sociale, guardando al futuro senza mai ignorare però quello che gli americani definiscono il now casting, l’attenzione all’attualità, la fatica di capire subito la contingenza nelle sue necessità pragmatiche di decifrare anche  l’immediato.

I nuovi baricentri: dal casannone della città infinita alle nuove infrastrutture produttive territoriali

Il libro che  vi presentiamo, che con demoniaca regia dell’editore appare proprio all’indomani di una tornata elettorale che sancisce il dominio del luogo sui flussi, come direbbe l’autore, ci fornisce un affresco michelangiolesco su quel continuum fra città, distretto e reti dominato dall’alternanza fra i cosiddetti casannone, la crasi fra casa e capannone con cui Aldo Bonomi fotografa l’evoluzione post fordista delle produzioni manifatturiere, e le filiere logistiche digitali che si proiettano verso i mercati del nord Europa.

E’ una sorta di tapis roulant che sposta continuamente il baricentro economico e sociale dalle cinture urbane, al centro direzionale milanese, fino alla città infinita, composta dai poli pedemontani di Bergamo, Brescia e Verona, come officina padana continua.

Una geografia questa disegnata dai ricercatori del consorzio AAster, la sofisticata bottega del sociologo, che scompone la stessa sovranità nazionale aggregando più omogeneamente interi comparti del paese alle filiere produttive che vengono servite in Germania, Francia o nel Benelux; ma soprattutto riarticola anche le stesse realtà urbane come Milano, Torino o la città infinita che  abbiamo visto dispiegarsi da ovest ad est, lungo la striscia di città quartiere  di una megalopoli unica.

Il voto a Milano, Torino e Bologna, pur con le sacche di insofferenza periferica, che viene recintato in una spinta complessiva allo sviluppo, ci parla di questa nuova infrastruttura produttiva territoriale dove ormai tutto il territorio è fabbrica, e la fabbrica è innanzitutto calcolo.

La politica a supporto di una nuova società civile più vitale nei nuovi distretti territoriali

La politica, a supporto di una società civile più vitale e insofferente, si configura in questi distretti produttivi come consulenza di esperti, automatismo decisionale, intermediazione europea. Giuseppe Sala a Milano è la bandiera di questa evoluzione dove i partiti sono centri di interessi parziali, che si accostano al decisore, e in cui è del tutto estranea ogni forma di conflittualità sociale derubricata ad attrito corporativo.

Torna la constatazione di una separazione, una vera economia non euclidea, l’avrebbe definita John Maynard Keynes, dove le parallele non convergono mai, fra nord e sud, di cui il voto, a volerlo ben vedere, ci racconta chiaramente le origini e l’epilogo.

In entrambi gli scacchieri vediamo comunque dominare al posto della vecchia contraddizione capitale/lavoro, o della successiva centro/periferia, un nuovo gioco in cui tecnologie, consumi e comportamenti produttivi diventano flussi che investono luoghi, ossia territori che non possono rimanere passivi, pena l’eccitazione sovversiva.

La società di mezzo fra flussi di informazioni e cornici territoriali ridisegnati dal tecnocene

Si trova in questo spazio fluttuante, direbbe ancora il professor Giorgio Parisi nella sua analisi delle caotiche geometrie della materia, quella società di mezzo che Aldo Bonomi focalizza nella sua tavola di ascisse e ordinate, determinata dalla dialettica, come scrive lui, di flussi e luoghi.

Il  gioco fra questi due soggetti – i flussi intesi come fenomeni mobili che trasportano informazioni, comportamenti e risorse, i luoghi come cornici territoriali che vengono attraversati e ridisegnati dal lavorio tecno produttivo – è il motore inedito che sostituisce irrimediabilmente ogni memoria fordista, con una logica darwiniana che Bonomi tempera con un umanesimo digitale che gli appare ineludibile per sfruttare realmente le potenzialità di quella fase dell’evoluzione che lui chiama tecnocene. La visione di una regione che non appare nella tabelle istituzionali, quale il Lover, il vero laboratorio italiano del tecnocene, ossia la congiunzione funzionale di Lombardia con il Veneto e l’Emilia e Romagna, identificata seguendo le isobare del vitalismo padano che hanno guidato le ripetute riprese dopo ogni crisi, con profili sempre discontinui e competitivi, ci dice come la descrizione sia ormai parte della progettazione negli interventi sociali, a cavallo fra istituzioni subalterne e interessi economici prevaricanti.

Proprio nella visione degli impatti fra tecnologie e società, di cui la pandemia è variante e variata, potremmo dire, trovo lo spazio per un’ulteriore integrazione del sistema di navigazione di Bonomi, seguendo proprio lo sguardo critico di Bonomi che avverte in questo scenario di dannunzianesimo economico, dove la prestazione prevale sul senso, il buco nero di una dialettica sociale. Per colmare questa lacuna l’autore indica una strada che aiuterebbe ad animare questo scenario con protagonismi partecipativi delle componenti sociali, anche le più penalizzate quando scrive con grande acutezza:

Se la potenza estrattiva dei flussi dell’economia-mondo produce crescente reazione e chiusura dei luoghi in comunità rancorose, tocca lavorare, per quel che si può, da una parte per produrre nei flussi una qualche coscienza delle logiche estrattive, dall’altra per accompagnare i luoghi ad assumere coscienza di luogo come capacità dialettica di esprimere uno spazio di rappresentazione collettiva rispetto ai flussi[4].

Una prospettiva che risulta velleitaria se non si trovano procedure esperienze e modelli organizzativi per costringere al tavolo negoziale i proprietari dei sistemi di automatizzazione dei comportamenti.

Matrice e linguaggio infatti nel Lover, ma anche in aree meno rampanti del centro sud, è infatti proprio l’arbitrato di quell’algoritmo che rimane sullo sfondo nell’affabulazione lucida di Bonomi. Il padrone dei padroni, come avrebbe detto Giuseppe Di Vittorio, il titolare del dominio sociale esercitati senza vincoli, come lo descriveva nel suo ultimo saggio Remo Bodei[5], è quel sistema di combinazione di big dati predittivi con calcoli prescrittivi che preordina ogni sviluppo relazionale e produttivo.

Dove può andare in scena lo spazio di rappresentazione collettiva per resistere ai flussi di dati. La moltitudine in condizione di stasi ansiosa, intecome versione attuale del ceto medio e della maggioranza silenziosa

Su questo ring, sullo scacchiere della ricerca  guidata dalla finanza, dell’evoluzione delle piattaforme dell’up grading dei sistemi di intelligenza artificiale, è qui che deve andare in scena quella “capacità dialettica di esprimere uno spazio di rappresentazione  collettiva rispetto ai flussi “. Un mondo certo sazio, ma non soddisfatto, ci avverte Aldo Bonomi. Dove rimane in agguato la bestia del sovversivismo dei ceti dirigenti di gramsciana memoria. In cui scavano trivelle quali la percezione di impoverimento, che non avendo la drammaticità della povertà, produce comunque frustrazione comparativa in chi si vede privato di consumi fluenti ma ormai indispensabili, dalla settimana bianca al cambio dell’automobile. Sono fattori che producono quella che nel libro è descritta come una moltitudine in condizione di stasi ansiosa”. E’ l’attuale versione del ceto medio, o della sua proiezione reazionaria che era la maggioranza silenziosa.

Questa moltitudine non è muta, anzi è irrequieta, mobile, frenetica. Cerca costantemente riconoscimento e compensazioni. E, di volta in volta, si combina con i “rivoltosi senza libro” come li chiama Bonomi per intendere ceti, anche subalterni e popolari, ma distanti da ogni narrazione culturale indotta della memoria di una coscienza di classe ormai svanita. Come le nebbie di una volta, nostalgicamente rimpiante dai vecchi milanesi.

L’integrazione delle frustrazioni dei sazi con le rivolte dei senza libro aprono faglie anche strutturali nella relazione fra cittadini e Stato, che si manifestano con le sorde opposizioni al green pass o alla vaccinazione cavalcate dalla Lega.

Siamo sulla soglia di una riflessione che dalla sociologia ci riporta alla politica: quale programma, e quale partito, aggiungerei, per dare riconoscimento, forma e linguaggio a questa “moltitudine sporca” di cui parla Aldo Bonomi?

È una soglia, una porta, dietro cui si intravvede un lungo corridoio da percorrere al buio, per usare la metafora di Daron Acemoglu e James A. Robinson nel tomo di antropologia La Strettoia, come le nazioni possono essere libere[6], che, nel sintetizzare la  competizione millenaria fra Stato e società nel definire le forme della cittadinanza prende la metafora[7] di Lewis Carrol nel racconto Attraverso lo specchio che così adatta:

”per mantenere il leviatano sotto controllo  abbiamo bisogno che la società continui a correre, e più il Leviatano è potente e capace più la società deve diventare potente e vigile. E’ necessario che anche il Leviatano continui a correre , sia per espandere la sua  capacità di fronte a sfide nuove e temibili sia per mantenere la sua autonomia, fondamentale non solo  per risolvere le controversie e applicare le leggi in modo imparziale, ma anche per abbattere le gabbie di norme”.[8]


[1]William Davies, Nervous States. Democracy and the Decline of Reason, New York, W.W. Norton Company, 2019, 272 p.  Traduzione di Maria Grazia Perugini: Stati nervosi. Come l’emotività ha conquistato il mondo, Torino, Giulio Einaudi, 2019, 376 p.

[2] Aldo Bonomi, Oltre le mura dell’impresa. Vivere, abitare, lavorare nelle piattaforme territoriali, Roma, DeriveApprodi, 2021, 224 p.

[3] Dello stesso editore si veda il volume dedicato allo studioso scomparso nel 2010. Cfr. Francesco Bedani e Francesca Ioannilli (a cura di), Un cane in chiesa. Militanza, categorie e conricerca di Romano Alquati, Roma, DeriveApprodi, 2020, 136 p.

[4] Aldo Bonomi, Oltre le mura dell’impresa. Vivere, abitare, lavorare nelle piattaforme territoriali, op. cit. alla nota 2, p. 9

[5] Remo Bodei, Dominio e sottomissione. Schiavi, animali, macchine, Intelligenza Artificiale, Bologna, Il Mulino, 2019, 408 p.

[6] Daron Acemoglu, James A. Robinson, The Narrow Corridor. States, Societies, and the Fate of Liberty, New York, Penguin Publishers, 2019, 576 p. Traduzione italiana di Fabio Galimberti e Gaia Seller: La strettoia. Come le nazioni possono essere libere, Milano, Il Saggiatore, 2020, 800 p.

[7] La Regina Rossa è un personaggio immaginario nel racconto fantasy di Lewis Carroll Through the Looking-Glass (1871). Regina Rossa è sinonimo di immobilismo dinamico: “bisogna correre per rimanere fermi” dice la Regina Rossa ad Alice che le chiede perché stia agitandosi senza spostarsi.

[8] Daron Acemoglu, James A. Robinson, La strettoia. Come le nazioni possono essere libere, op. cit. alla nota 6, p. 69

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