Key4biz

Democrazia Futura. La fine del governo Draghi, un bilancio

Draghi
Marco Severini

Marco Severini storico contemporaneo marchigiano si sofferma per i lettori di Democrazia futura e Key4biz su “La fine del governo Draghi”, tentando di fare un primo bilancio su luci e ombre dell’ultimo esecutivo della Diciottesima Legislatura. Per Severini insieme a tre meriti “con cui probabilmente il suo premierato sarà ricordato nei libri di storia” vanno sottolineate anche “Le numerose criticità”.

_____________

Due discorsi per una giacca

Una delle voci più insistenti circolate nei corridoi parlamentari a metà luglio 2022 sosteneva che il premier Mario Draghi si sarebbe presentato in Parlamento il 20 luglio con due differenti discorsi nelle tasche della giacca: con il primo avrebbe chiesto la fiducia alle forze politiche, mentre il secondo sarebbe servito a confermare le dimissioni se le repliche in aula non lo avessero convinto. È finita con il capolinea del terzo governo della XVIII legislatura, affossato dal Movimento Cinque Stelle e dalle forze del centrodestra e, più in generale, dalla trasversalità di una politica nazionale incapace di stare al passo con i tempi e di fronteggiare le sfide delicatissime del momento.

La forza carsica di questa trasversalità è plasticamente emersa di fronte alla candidatura di Draghi al Quirinale, candidatura che nel passaggio tra 2021 e 2022 ha compattato contro il premier tutti coloro – non pochi – che, sentendosi usurati dalla partecipazione al governo di unità nazionale e avvertendo lo scollamento nei loro confronti delle rispettive basi territoriali, si sono ritrovati uniti, al di là di sigle e appartenenze politiche, in una risoluta opposizione.

La prospettiva che Mario Draghi, salendo al Colle più alto, potesse dare per sette anni le carte dell’agenda nazionale e internazionale, è stata subito rigettata e ha dato vita all’ennesimo brutto teatrino di una politica avariata.

La conseguente scelta del Mattarella-bis è stata avvertita come una sorta di “male minore”, utile al momento per coprire i piani segreti di chi intendeva monetizzare al più presto la pole-position dei sondaggi, giocando praticamente senza scrupoli sul destino del popolo italiano che, non a caso, ha confermato, nelle elezioni politiche del 25 settembre 2022 – un unicum nella vicenda storica repubblicana, vinte dal centrodestra, con ennesimo calo dei votanti e ridimensionamento della rappresentanza femminile in Parlamento – la disaffezione e il distacco verso quello che in un altro lungo momento storico è stato definito il “Paese legale”[1].

La crisi di luglio è stata sotto ogni punto di vista caldissima: Mario Draghi si è presentato in Senato con un discorso con cui ha bacchettato diverse forze politiche del suo esecutivo, con tanto di rimprovero verso il centrodestra: tali affermazioni hanno fatto ritrarre forzisti e leghisti, mentre i pentastellati si sono messi a temporeggiare; Giuseppe Conte e i suoi  più che la la fine del governo, volevano essere liberi di votare contro, restando all’opposizione; ma con le fibrillazioni nel centrodestra, il piano sarebbe saltato. Non era ancora detta l’ultima parola, almeno per i pentastellati: molto dipendeva dalla replica che il premier avrebbe dato alle risposte dei partiti al suo discorso; e Draghi non si è mosso di un centimetro, anzi ha colpito duro il Movimento guidato da Conte[2].

Così, il governo Draghi è giunto al capolinea dopo 516 giorni, compresi tra il suo insediamento, avvenuto il 13 febbraio 2021 in un Paese ancora ostaggio della pandemia e della crisi economica, fino al 14 luglio 2022, giorno in cui è stata innescata la crisi che ha portato alla conclusione del 67° governo dell’Italia repubblicana: l’esponente romano, già governatore della Banca d’Italia (2006-11) e presidente della Bce (2011-19), il più vecchio tra tutti i premier della storia repubblicana, si è presentato indubbiamente con una autorevolezza di cui erano privi tutti i suoi predecessori dell’ultimo decennio; e con questa autorevolezza ha cercato di rimettere a posto i pezzi e le lacerazioni di un’Italia divisa e destinata ad essere conseguentemente rappresentata da personalità divisive. Ma sulla sua uscita di scena ha pesato la nemesi di un populismo ormai in declino: da quello di un Movimento Cinque Stelle che ha funto da apripista alla crisi ministeriale a quello di un centrodestra che ha colto nella torrida estate del 2022 l’occasione per andare al governo[3].

Uscita di scena

Dopo essere rimasto in carica per gli affari correnti per altri 80 giorni, Draghi ha guidato, il 10 ottobre 2022, il 98° Consiglio dei ministri che ha approvato e inviato a Bruxelles il Documento programmatico di bilancio. Hanno accompagnato questo ultimo attouna foto di gruppo, la foto e il brindisi di rito e alcune dichiarazioni significative, come quella secondo cui «i governi passano, l’Italia resta» e il governo di unità nazionale è «un’esperienza eccezionale, che avviene soltanto nei momenti di crisi profonda».

Draghi ha ringraziato la sua squadra di lavoro per aver fronteggiato con pazienza e impegno «una pandemia, una crisi economica, una crisi energetica, il ritorno della guerra in Europa» e per aver «organizzato la campagna vaccinale, scritto e avviato il Piano nazionale di ripresa e resilienza, approvato un numero enorme di misure di sostegno economico».

A questo proposito va sottolineato come nell’ultimo Consiglio dei Ministri siano stati varati il disegno di legge con le misure per gli anziani non autosufficienti – riforma inclusa nel Pnrr e particolarmente attesa – e la proroga del tasso agevolato sui mutui dei giovani under 35 fino al 31 dicembre.

Quanto al Documento programmatico di bilancio – un testo «molto asciutto» –, esso indica le spese dello Stato indifferibili per 2-3 miliardi (nel 2021 erano poco più di 3 miliardi), comprese le missioni militari all’estero e altre spese ministeriali, mentre toccherà al nuovo esecutivo riformularlo e accompagnarlo con la legge di bilancio per il 2023 entro la fine di novembre. Compito tutt’altro che facile perché le principali agenzie (Bankitalia, Fmi e Banca Mondiale) segnalano che i rischi di recessione aumentano: secondo gli economisti di via Nazionale l’Italia frenerà nell’ultimo  trimestre del 2022 a causa del caro energia, anche se il Pil risulterà ancora positivo nel 2023; tuttavia, tra imprese e lavoratori il pessimismo serpeggia sempre di più[4].

Luci, ombre, obiettivi conseguiti e non

Opinionisti e commentatori non hanno perso un attimo nel consegnare – prima ancora del passaggio ufficiale delle consegne – il governo Draghi alla storia.

Dopo un anno, 5 mesi e 7 giorni – cinque giorni meno di quello di Monti (2011-13), cinque mesi più del quarto governo Andreotti (1978-79), nato il giorno del sequestro Moro, sette mesi in più del governo Letta (2013-14) –  si è chiuso un ministero definito, tra malcelata ironia e rispetto per l’esperienza del premier, il governo dei migliori e di unità nazionale, retto da un presidente non politico ma composto da ministri dal profilo politico, guidato da un uomo tacciato di neoliberismo mentre a Francoforte ha fatto stampare euro a fiumi e da premier è giunto nella capitale con il programma di fare debito buono.

I tre meriti

 Nei giorni immediatamente successivi alla sua caduta, sono stati riconosciuti a Draghi tre meriti con cui probabilmente il suo premierato sarà citato sui libri di storia:

Le numerose criticità

D’altro canto, gli avvenimenti interni e internazionali hanno portato il governo a confrontarsi con una crisi energetica mondiale, uno sconvolgimento geopolitico dettato dall’invasione russa dell’Ucraina, una pandemia non ancora conclusa e l’incedere della crisi climatica-ambientale, temi tutti che hanno evidenziato non poche criticità:

  1. il governo ha gestito la pandemia attraverso un inasprimento degli obblighi vaccinali che hanno reso l’Italia uno dei maggiori Paesi europei con la più alta percentuale di vaccinati, salvo poi abbandonare progressivamente il green pass e rimuovere le misure a pandemia attenuata, ma tuttora in corso;

Infine, pur guidando il governo sostenuto dalla maggioranza più ampia della storia repubblicana, Mario Draghi si è ostinato a ricercare il sostegno di tutti, pur senza mediazioni: questo suo modo di procedere «ieratico» non ha funzionato con i «miscredenti», anche perché nella prassi democratica non basta essere il migliore o avere ragione, bisogna anche avere «la pazienza» e «la dedizione »per ottenere il consenso di chi ti sostiene[7].

Ancora guerre

A questo punto pare opportuno rimarcare un aspetto cruciale. I padri fondatori dell’Europa unita – i sette del secondo dopoguerra che hanno coltivato e operato per un sogno comune (gli italiani Altiero Spinelli e Alcide De Gasperi, i francesi Jean Monnet e Robert Schuman, il tedesco Konrad Adenauer, il lussemburghese Joseph Beck e il belga Paul Henri Spaak) – e i suoi stessi precursori (come Giuseppe Mazzini e Carlo Cattaneo per limitarci alle nostre latitudini) anelavano un mondo di pace, convivenza e collaborazione fra i popoli.

Tutt’altro appare il mondo del nostro tempo, dilaniato da una quarantina di guerre e conflitti disastrosi, inutili e dannosi, ai quali si è aggiunta l’invasione russa dell’Ucraina che alla fine di agosto aveva causato 5.587 vittime civili (di cui 972 bambini), 6,7 milioni di sfollati ucraini al di fuori del Paese e 6,6 milioni di sfollati interni, oltre ad aver messo in ginocchio un’economia che accumula un deficit di 5 miliardi di dollari al mese[8].

Ora, un conto è sostenere lo Stato invaso con aiuti economici, un altro è inviare armi come ha fatto, unitamente ai principali Paesi europei, il governo di Roma.

Secondo il Documento Programmatico Pluriennale della Difesa del triennio 2020-2022 – nella cui Introduzione si ribadisce il «valore aggiunto» che la Difesa può assumere in situazioni tipo l’emergenza pandemica e le «indispensabili capacità» di cui devono disporre le forze armate[9] –  e, soprattutto, l’ultima legge di bilancio approvata alla fine del 2020, la spesa annuale della Difesa è passata da 22.940 miliardi di euro a 24.580 nel 2021.

Visto che abbiamo impiegato tanti soldi per il settore bellico, le spese del ministero della Difesa sono state integrate da quelle dei dicasteri delle Finanze e dello Sviluppo economico. Scelte inaccettabili già di per sé, tanto più in un frangente in cui veniva comunicato alla popolazione che i posti letto negli ospedali e il personale sanitario erano insufficienti.

Tra le spese più consistenti c’era l’acquisto, a peso d’oro, di 90 cacciabombardieri F35, ognuno dei quali equivale a 3.244 posti letto in terapia intensiva[10]. La vicenda delle due fregate militari «dirottate» per 1,2 miliardi di dollari all’Egitto, e partite dal porto de La Spezia il giorno del Natale 2020, aveva innescato forti tensioni nella maggioranza del governo Conte.

I 25,9 miliardi (pari al 3,2 per cento del Pil) di stanziamento per le spese militari previsti nelle legge di Bilancio dal governo Draghi nel 2022 e l’incremento fino al 2 per cento del Pil, corrispondenti a circa 38 miliardi di euro per uniformare il paese agli impegni presi in sede Nato, hanno costituito un sensibile incremento rispetto al ministero Conte II, durante il quale, come detto, la spesa ha sfiorato i 23 miliardi di euro: proprio il leader pentastellato si è detto contrario a tale aumento delle spese militari, ritenendo «impensabile» una corsa al riarmo appena un mese dopo lo scoppio del conflitto alle porte orientali dell’Europa e alimentando così un ampio dibattito nell’opinione pubblica nazionale.

Allargando lo sguardo agli ultimi anni, i cambiamenti risultano maggiormente evidenti: la percentuale delle spese in conto capitale per il ministero della Difesa è passata dall’11,4 per cento nel 2016 al 22,3 per cento del 2022 (ai quali vanno aggiunte quelle degli altri due sopra citati ministeri). In buona sostanza, l’aumento delle spese militari è stato costante negli ultimi tempi e l’adeguamento alle richieste della Nato farà impennare la curva ancora di più [11].

Siamo in totale disaccordo con lo sperpero di denaro rappresentato dalle spese militari così come con il fatto che l’Italia continui ad essere tra i primi Paesi al mondo produttori ed esportatori di armi. Tale posizione risponde non solo a un convinto pacifismo, ma anche perché la nostra appartenenza alla Nato e all’Unione europea non può dipendere dalle «maggiori risorse» da destinare alla Difesa, come esplicitamente dichiarato nel sopra citato documento[12].

In uno scenario internazionale sottoposto a continui cambiamenti ma ancora profondamente caratterizzato da guerre e conflitti[13], risulterebbe molto più costruttivo che l’Italia si rendesse portatrice di una scelta più moderna e democratica, come l’investimento di buona parte degli investimenti fatti in spese militari per contenere la povertà e le disuguaglianze e per sviluppare su tutto il territorio nazionale una vasta opera di educazione ai temi della pace e della nonviolenza[14].

Pnrr

Sullo stato di attuazione del Pnrr, il premier uscente ha rivendicato il conseguimento di tutti gli obiettivi del primo semestre 2022 cosicché l’Italia potrà ricevere altri 21 miliardi di euro, mentre nel secondo semestre dovranno essere realizzati 55 risultati (39 traguardi e 16 obiettivi), ai quali è collegata una rata di 21,8 miliardi di euro, di cui una parte è già stata versata come prefinanziamento; a partire dal 2023, e soprattutto dal secondo semestre, – sempre secondo Draghi – gli obiettivi prevarranno sui traguardi e la loro incidenza sui risultati da realizzare crescerà progressivamente; infine sarà possibile rivedere gli investimenti, ma non già le riforme.

In particolare, l’invasione russa dell’Ucraina ha determinato un aumento non prevedibile dei prezzi per l’energia e dei materiali da costruzione, che quindi va considerato una “circostanza oggettiva”, di quelle cioè che giustificano una richiesta di modifica, secondo quanto previsto dall’articolo 21 del Piano[15].

Tali rivendicazioni del premier uscente sono state ben accolte dalla Commissione europea e dall’agenzia Fitch, mentre la premier – ancora in pectore al momento in cui scriviamo –  Giorgia Meloni ha affermato che «i ritardi del Pnrr sono evidenti e difficili da recuperare».

Dei ritardi effettivamente ci sono stati, mentre l’erogazione dei fondi è legata a obiettivi intermedi (milestone) e finali (target), con i primi ben più facili da raggiungere rispetto ai secondi poiché per raggiungerne una parte basta che alcune procedure legislative o di finanziamento siano state semplicemente avviate, a prescindere dal fatto che siano oggettivamente in linea con i programmi e le aspettative del governo: il nostro Paese ha conseguito tutti e 51 gli obiettivi previsti per il 2021 e i 45 relativi ai primi sei mesi del 2022, ed è sulla buona strada per raggiungere i 55 previsti per il 2022; a detta di Draghi entro la fine di ottobre l’Italia ne avrà realizzati 29.

Quanto alla cosiddetta attuazione finanziaria (l’effettiva realizzazione delle spese previste), emerge che in questi mesi il governo italiano ha sensibilmente ridotto le sue aspettative sul 2022 per via di lentezze e fatiche nella spesa concreta dei fondi; le iniziali previsioni di spesa pari a 41 miliardi, sono state ridotte a 33,7 miliardi dal Def dell’aprile 2022 e a 20, 5 ancora ridotte dalla Nota di aggiornamento al Def (Nadef).

Preoccupa inoltre il fatto che finora le spese effettuate nell’ambito del Piano hanno riguardato per lo più progetti esistenti e avviati che sono stati inseriti in esso per assicurarne il completamento[16].

Rientrato dalla missione a Praga convinto di aver fatto il massimo per spingere l’Europa verso una soluzione concreta dell’energia – il caro-energia ha finora prodotto tra gli Stati membri una risposta individuale dei governi degli Stati membri, non già comune[17] – Draghi è intenzionato a portare sui tavoli del Consiglio di Bruxelles del 20-21 ottobre – l’ultima uscita comunitaria – una proposta di regolamento anche per lasciare alle istituzioni europee «un’eredità di merito e di metodo» a coronamento dei venti mesi del suo mandato.

In Italia l’ultima strategia che si sta affinando in questo scorcio di transizione si concreta in tre obiettivi: far diminuire il prezzo del gas, avviare la riforma dell’elettricità e ottenere un fondo di solidarietà[18].

Divisività e senso della storia. L’inizio della XIX Legislatura

La paura di uno scontro nucleare è tornata di stretta attualità dopo le dichiarazioni rese da Vladimir Putin e dal suo entourage a otto mesi dall’invasione attuata si danni della sovranità ucraina.

Le relazioni internazionali corrono lungo l’asse Stati Uniti-Cina e i regimi si reggono sulla storia, o meglio, sulle rivendicazioni di ciò che storicamente apparteneva a una determinata realtà statale o sovranazionale; una volta c’erano le ideologie e le politiche novecentesche, oggi, dopo i continui rimescolamenti geo-politici degli ultimi tempi, si richiama la storia: lo fa Putin con l’Ucraina, Xi Jinping con Taiwan e altri Stati con o senza un’eredità imperiale, mentre la disciplina di Clio sbanda paurosamente in Italia, un Paese in cui peraltro le discipline umanistiche hanno goduto a lungo di una indubbia egemonia.

L’inizio della XIX Legislatura: i due discorsi al Senato di Liliana Segre e del presidente eletto La Russa

L’inizio della XIX legislatura ha confermato l’imbarazzante digiuno di storia da parte della classe dirigente italiana.

Se i giornali hanno fatto a gara nel definire come il meglio e il peggio l’insediamento del Senato con la presidenza inaugurale di Liliana Segre e l’assenza clamorosa dei rappresentanti di Forza Italia, dal canto suo l’avvocato siciliano Ignazio La Russa, nel cui passato ci sono sia i vivaci trascorsi del Fronte della gioventù (con vicende da bombarolo e saluti romani continui e recenti, come quello levato nel 2017 durante il dibattito sulla legge Fiano contro l’apologia di fascismo)[19] sia un trentennio di presenza parlamentare, ha voluto tradire la sua imbarazzante padronanza della memoria storica asserendo, una volta eletto alla seconda carica dello Stato (presidente del Senato), che è sua intenzione di inserire nelle principali feste civili della Repubblica (25 Aprile, Primo Maggio e 2 Giugno) menzionate dalla senatrice a vita Segre – che ha pure esortato la classe politica ad abbassare i toni – la nascita del Regno d’Italia.

Avesse detto l’Unità d’Italia o la nascita dello Stato nazionale non ci sarebbe stato nulla di male.

Ma quella frizione, commessa dopo aver insistentemente cercato di non sbagliare nulla (i fiori alla Segre, l’omaggio «ecumenico» alle vittime del terrorismo e la «citazione meritoria» del commissario Luigi Calabresi, «anche se per l’emozione lo ha declassato a ispettore»), ha ridimensionato la prima uscita presidenziale a Palazzo Madama dell’ex missino[20].

Il Regno d’Italia non è un simulacro storico da rivendicare al giorno d’oggi perché è corresponsabile di due guerre mondiali, dell’avvento al potere del regime fascista e del suo fiancheggiamento totalitario, della guerra di aggressione all’Etiopia, delle leggi razziali e di quella pagina buia che è stata definita la morte della patria, cioè la fuga di Vittorio Emanuele III da Roma senza impartire ordini e del conseguente sbandamento del regio esercito, con arresto e traduzione nei campi di lavoro e deportazione del Reich di 600 mila soldati italiani, quindi di una Italia separata, spaccata in due, opportunamente definita una nazione allo sbando[21].

Quindi abbiamo potuto riscontrare nel discorso del neo eletto presidente del Senato quanto di più divisivo ci possa essere in un 2022 dominato, al centro come in periferia, dalla fossilizzazione delle classi dirigenti, in una cittadinanza repubblicana che invece si basa, e deve continuare a basarsi, sulla matrice antifascista, sulla scelta resistenziale e sulla Carta costituzionale entrata in vigore il 1° gennaio 1948.

Al nuovo presidente del Senato queste potranno sembrare sottolineature da legulei, invece sono pagine di storia contemporanea.

L’elezione alla Camera dell’ultraconservatore antiabortista Lorenzo Fontana

Secondo il segretario (dimissionario) del Partito Democratico Enrico Letta, la maggioranza di centrodestra vincitrice delle elezioni del 25 settembre ha iniziato la nuova legislatura «in modo incendiario»[22], nominando a capo delle due istituzioni parlamentari personaggi che più divisivi e di destra non ci potessero essere: dopo l’avvocato La Russa, co-fondatore di Fratelli d’Italia, infatti è stato eletto presidente della Camera dei deputati il leghista e impiegato Lorenzo Fontana, europarlamentare dal 2009 al 2018 e parlamentare italiano dal 2018, ultraconservatore, antiabortista, contrario alle unioni civili e all’educazione sessuale pro-Lgbt, che considera la teoria del gender una minaccia e ha inserito nel suo curriculum un evidente errore ortografico alla voce della professione, quella di “inpiegato” a Veronafiere[23]; inoltre è andato a salutare nel 2016 i neonazisti greci di Alba dorata, mentre nel 2018 ha chiesto l’abolizione della legge Mancino (2013), varata per sanzionare gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista[24].

Mario Draghi non è stato il salvatore della patria né il premier migliore di tutti coloro che l’hanno preceduto in 76 anni di storia repubblicana. Ma se queste sono le premesse della nuova stagione politica, i motivi di rimpianto dell’ultimo inquilino di Palazzo Chigi sono destinati rapidamente a crescere.


[1] Su ciò sia consentito rinviare a Marco Severini, Da Conte a Draghi. Problemi e scenari del biennio pandemico, Aras, Fano 2022, pp. 223-246.

[2] Stefano Pagliarini, “È finito il governo di Mario Draghi”, Today, 20 luglio 2022.

[3] Massimo Franco, “Il no populista”, Corriere della Sera, 21 luglio 2022.

[4] Valentina Conte, “Draghi ultimo atto: I governi passano, ma l’Italia resta”, la Repubblica, 10 ottobre 2022.

[5] Antonio Polito, “I tre meriti di un premier non politico”, Corriere della Sera, 21 luglio 2022.

[6] Alessandro Leonardi, “Luci e ombre del governo Draghi”, la Svolta, 25 luglio 2022.

[7] Matteo Bonelli, “Le ragioni della crisi, gli errori di tutti (anche Draghi) e il nodo delle regole”, il Sole 24 ore, 25 luglio 2022.

[8] Ucraina: metà anno in guerra, Ispi, 24 agosto 2022, https://www.ispionline.it/

[9] Ministero della Difesa, Documento Programmatico Pluriennale della Difesa per il triennio 2020-2022, Edizione 2020, in <www.difesa.it>, pp. II-III.

[10] Eugenio Abruzzese, “L’Italia è un Paese che ripudia la guerra?”, Anti­mafia Duemila, 26 marzo 2021.

[11] “Le differenze delle spese militari nelle leggi di Bilancio di Conte e Draghi”, Domani, 30 marzo 2022.

[12] Documento Programmatico Pluriennale della Difesa, cit., p. V.

[13] Associazione Culturale 46° Parallelo, Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo. X edizione, Terra Nuova Edizioni, Firenze 2021.

[14] La spesa militare mondiale è aumentata del 2,6% durante il 2020, raggiungendo il valore di 1.98 trilioni di dollari: Stati Uniti e Cina sono i Paesi che hanno speso di più. L’Italia è all’undicesimo posto: Aumenta la spesa militare globale nel 2020: Stati Uniti e Cina in testa, 26 aprile 2021, in <sicurezzainternazionale.luiss.it>.

[15] “Pnrr, Draghi invia relazione a Camere: risultati significativi”, il Sole 24 ore, 6 ottobre 2022.

[16] “Chi ha ragione fra Draghi e Meloni sul PNRR”, il Post, 7 ottobre 2022.

[17] Antonella Baccaro, “Disunione europea A ciascuno il suo scudo”, 10 ottobre 2022. Il valore dei piani di aiuti dei Paesi europei vede l’Inghilterra al primo posto (con 180 miliardi di euro), la Germania al secondo (95, più altri 200 annunciati), l’Italia al terzo (62,6), seguita da Francia (20), Olanda (18) e Spagna (16).

[18] Monica Guerzoni, “Prezzo del gas e riforma elettrica Eco le ultime mosse di Draghi”, Corriere della Sera, 9 ottobre 2022.

[19] Gianni Barbacetto, “Ti saluta La Russa: fratelli neri tra bombe, mazzate e potere”, il fatto quotidiano, 23 settembre 2022; Davide Romoli, “Quando Ignazio La Russa finì in disgrazia per la bomba che uccise un poliziotto”, il Riformista, 14 ottobre 2022.

[20] Massimo Gramellini, “La frizione di ’Gnazio”, Corriere della Sera, 14 ottobre 2022.

[21] I riferimenti bibliografici sul tema sono Ernesto Galli Della Loggia, La morte della patria La crisi dell’idea di nazione tra Resistenza, antifascismo e Repubblica, Laterza, Roma-Bari 1996, ed Elena Aga Rossi, Una nazione allo sbando L’armistizio italiano del settembre 1943 e le sue conseguenze, il Mulino, Bologna 1993.

[22] Mario Ajello, “Letta e l’attacco da Berlino: «Avvio della destra incendiario». Meloni: Un danno all’Italia”, Il Messaggero, 16 ottobre 2022.

[23] Alessandra Paolini, “L’errore ortografico di Fontana”, la Repubblica, 16 ottobre 2022;  “Lorenzo Fontana “inpiegato”: lo strafalcione del presidente della Camera”, affariitaliani.it, 16 ottobre 2022.

[24] Simone Alliva, “Chi è Lorenzo Fontana, l’idolo dei Pro-Vita e dell’estrema destra veronese eletto presidente della Camera”, l’Espresso, 14 ottobre 2022.

Exit mobile version