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Democrazia Futura. Il regalo avvelenato della vecchia signora

Vittorio Macioce

La nuova edizione de La Gallina[1], opera prima di Fabrizio Ottaviani risalente al 2011, una promettente variante italica del Nouveau Roman filosofico transalpino. La metafora grottesca, malefica dell’inattesa quanto tragicomica rovina di una famiglia borghese in un tempo indefinito risorge nel contagio pandemico.

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La vecchia arriva da chissà dove come una maledizione o un presagio di sciagura e se non fosse così fuori posto, come un passato dimenticato che ti insegue, non ti verrebbe neppure in mente di lasciarla andare via con lo sguardo di sufficienza di chi non ha tempo per soffermarsi sulle stranezze di una vita a cui già si fatica a dare un senso. La vecchia, con il passo arrogante da contadina, che dovrebbe ricordarti da dove vieni, è l’imponderabile che ti piomba in casa proprio quando ti stavi lamentando che non succede mai nulla. È quello che non ti aspetti.

Fabrizio Ottaviani

Fabrizio Ottaviani sembra muoversi in un tempo indefinito, tanto che fatichi a vedere sul suo volto i segni degli anni che passano, e questo gli dona uno sguardo distaccato sulle miserie umane. Lo conosci da sempre e sai che non è menefreghismo, ma la curiosità saggia e strafottente di chi per qualche motivo si incapriccia a inseguire i percorsi in apparenza casuali delle formiche prima dell’arrivo del temporale. Sanno cosa le aspetta? Lo sentono? Oppure si ostinano ad andare avanti e indietro perché non c’è altro da fare? Non sai se gli interessa la sorte delle formiche, la reazione all’imprevisto o semplicemente sta lì perché si diverte a guardarle. Temi che sia per tutte e tre le ragioni.

Il romanzo La gallina è stato pubblicato per la prima volta da Marsilio nel 2011[2].

È la storia, tragicomica, di una rovina.

Tutto comincia con questa vecchia signora che bussa alla porta di una casa signorile in un tempo indeterminato del secolo scorso. L’orizzonte è quello di una città europea senza nome. Non sai perché ma nella tua testa sta in Svizzera. Bussa e lascia una gallina. Viva, pennuta, con la cocciutaggine di chi non ha alcuna voglia di lasciarsi eliminare e si arrangia semplicemente a sopravvivere, perché in fondo quella è il suo istinto, qualcosa di più radicale di una missione. La gallina genera subbuglio e inquietudine nella famiglia De Giorgi e tra chi ci gira intorno, soci, amici, domestici.

È l’inizio della caduta.

’inatteso irrompe nel quotidiano e lo sconvolge e svela la fragilità grottesca dei personaggi che si muovono nella casa, li mette a nudo, li mostra nelle loro meschine rivalità, ride delle loro paure, calpesta il goffo titanismo con cui cercano di sbarazzarsi dell’intrusa, tanto che non ci vuole poco a capire che non andrà tutto bene. Fabrizio Ottaviani è stupefacente nel far entrare in scena i personaggi proprio nel momento in cui si imbattono nella gallina e disegna le loro dinamiche, con un gioco di coppie che fa piroettare il marito e la moglie, il maggiordomo e la cuoca, senza pietà, rappresentati nell’orizzonte senza respiro della casa, quasi che il fuori fosse proibito, non per una barriera naturale, ma per l’inopportunità di andare troppo fuori, perché prima di uscire è bene risolvere il misterioso caso della gallina stravolgente, che arriva perfino a diventare la prova casuale di una corruzione.

L’unico personaggio per cui si può provare un minimo di commiserazione è il povero maggiordomo, che per ruolo dovrebbe essere il carnefice, l’uomo che risolve l’angosciante situazione e libera la casa dal maleficio frutto non tanto di una misteriosa fattucchiera ma di una insospettabile maestra degli scacchi. Non è infatti una partita con la sorte, ma il gioco di un’intelligenza artificiale che impara dagli errori degli altri. Errori umani. Il maggiordomo a cui forse manca il coraggio ma non la pietas non riesce a cancellare la gallina e come il resto della caracollante umanità sembra costretto a conviverci.

La storia, da palcoscenico dell’assurdo, resa pubblica nel 2011, come accade per i capolavori non riconosciuti trova il suo fatale approdo nella realtà quando la casa editrice Watson la riporta nelle librerie. È una rivelazione. Ottaviani ha visto quello che sarebbe potuto accadere e che noi, lettori distratti o increduli, ci siamo ritrovati a vivere fino a rassegnarci. La gallina è il romanzo che tutti stavano aspettando sul virus. È il contagio e la pandemia. È la surreale situazione che ci siamo ritrovati a incarnare e il grottesco che si respira sulla pelle ci accompagna come una maledizione, come una malattia.

“Mentre il sibilo dei motori testimoniava che l’ascensione verso l’attico procedeva a tutta velocità un odore di pane bagnato, granaglie sminuzzate e sterco si diffuse nella cabina, scatenandole un violento starnuto che appannò il centro dello specchio. Infastidita dal contrattempo la vecchia si soffiò il naso con un lurido fazzoletto a scacchi, poi torcendo il busto provò a pulire la superficie insozzata con il medesimo fazzoletto, ma l’operazione ottenne l’effetto opposto: sul vetro si allargò un alone denso e grigiastro che si seccò subito”.

Fabrizio Ottaviani non si stupisce, non si fa mai prendere la mano, non si lascia andare a nulla che non sia preciso e essenziale, perché il suo racconto non ha bisogno di enfasi e spiazza con un solo colpo di scena, il principio di ogni cosa. Qualcuno potrebbe definirlo un visionario o un profeta. Nulla di tutto questo. È solo uno che andato a spasso nel tempo e ha visto qualcosa che lo ha beffardamente immalinconito. La tragedia non ci rende migliori.


[1] Roma, Watson edizioni, 2022, 232 p.

[2] Venezia, Marsilio, 2011, 237 p.

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