Il romanzo

Democrazia Futura. Bye Bye Freud? Che rimane oggi della psicoanalisi: una via senza ritorno

di Massimo De Angelis, scrittore e giornalista, si occupa di filosofia ed è condirettore di Democrazia futura |

Recensione del lavoro autobiografico di Maria Chiara Crisoldi Cammina leggera (Lecce, Manni, 2021, 160 p.): “un romanzo di vita”.

Massimo De Angelis

Massimo De Angelis condirettore di Democrazia futura recensisce il romanzo autobiografico di Maria Chiara Crisoldi Cammina leggera (Lecce, Manni, 2021, 160 p.) in un articolo “Bye bye Freud? Che rimane oggi della psicoanalisi: una via senza ritorno. Per De Angelis “La psicoanalisi dopo essere stata per la protagonista la via ascendente per diventare ciò che è, la via per svolgere il proprio Sé, si rivela essere una gabbia, il meccanismo sofisticato di falsificazione del proprio più autentico Sé dal quale dunque liberarsi”, aggiungendo poi: ” Ciò da cui ci si libera è infine sempre una falsa coscienza. Per le passate generazioni questa è stata legata agli imperativi di una morale. Contro di essi ci si è liberati appunto attraverso le teorie della liberazione tra le quali appunto la psicoanalisi. Senza veder bene che dietro a ogni pensiero e pratica di liberazione vi è il rischio di una nuova oppressione la quale però, ecco il punto, non risiede tanto nella suddetta teoria ma nell’uso che se ne fa. È in genere perciò che ogni razionalità va maneggiata con cura, rischiando sempre di diventare ideologia e quindi guscio difensivo”.

Maria Chiara Risoldi

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Cammina leggera, della mia amica Maria Chiara Risoldi, è un romanzo di vita. Un fratello che muore, il nastro di un’esistenza che si riavvolge e scorre di nuovo dinanzi all’anima: quella famiglia, quel padre e quella madre che sono sempre, per ognuno, un eterno presente col quale fare i conti, ritrovando ogni volta prospettive e significati inaspettati. E poi il lavoro di una vita e gli amori di una vita. Con bilanci sempre necessariamente sospesi ed enigmatici.

Cammina leggera è innanzitutto un bel racconto che schiude tutto questo. La traiettoria di un Dasein direbbe Martin Heidegger. Un particolare, radicato, che si apre e scorre e che è in questo una vita.

Ma ogni Dasein è anche espressione e suggello di un’epoca. E lo è senz’altro, persino controvoglia, anche Matilde protagonista del romanzo e alter ego di Maria Chiara.

L’epoca è quella attraversata e interpretata dalla generazione dei cosiddetti baby boomers (definizione che non mi è mai piaciuta granché); dai ragazzi degli anni Settanta come mi piace più dire.

C’è un solo modo di vivere per ognuno: si nasce, si cresce, si ama, si lavora, si invecchia (spesso) e si muore. Ma c’è poi sempre un modo, che è insieme individuale e di epoca, in cui ciascuno lo fa.

E così il racconto ci mostra come Matilde cresca a suo modo nella sua particolare famiglia, essendone, come tutti, indelebilmente segnata, e poi come desideri intensamente e ami e poi certamente cada anche sino allo sfinimento. In un contesto ben scolpito: il ’68, il “movimento” (Lotta Continua e poi il Manifesto); e dopo il femminismo, il Pci e infine, e sembrerebbe un approdo ma naturalmente non lo è, la psicoanalisi, Freud.

E qui occorre soffermarsi.

Perché tale itinerario che potrebbe sembrare persino comune, in realtà non lo è. Segnala un esserci della protagonista irripetibile.

Vi è un modo originale, di una persona e di un’epoca, di trascorrere. La ricerca di senso nella politica, lo stretto legame tra personale e politico, il vivere diverse attività e professioni (politica, giornalismo, psicoanalisi) alla ricerca di qualcosa d’altro (di un senso), gli amori intensi e insieme come frammentari, molteplici e sempre a rischio di essere anch’essi distratti da qualche altro significato: ebbene sono questi tutti ‘modi’ caratteristici dell’epoca e della nostra generazione, assai diversi dal modo in cui si è ordinata l’esperienza di ogni altra generazione precedente (e senz’altro anche di ogni generazione successiva).

Ma c’è qualcosa di ancor più specifico di questo romanzo che finisce per costituirne il nocciolo.

È l’esperienza di Freud e della psicoanalisi che ha segnato oltre trent’anni di vita di Matilde e che viene infine posta come sotto processo.  

“Come si diventa ciò che si è” è il sottotitolo all’ultimo libro di Friedrich Nietzsche Ecce homo, rappresentando esso il ripensamento e la condensazione di tutta la sua esperienza. In fondo anche Cammina leggera è a suo modo questo ripensamento e condensazione di un’esperienza.

Ed è dunque ricerca dell’origine e sguardo su un compimento. E al centro di questo ripensamento vi è appunto Freud e la psicoanalisi.

La psicoanalisi dopo essere stata per la protagonista la via ascendente per diventare ciò che è, la via per svolgere il proprio Sé, si rivela essere una gabbia, il meccanismo sofisticato di falsificazione del proprio più autentico Sé dal quale dunque liberarsi.

Vi sono qui almeno un paio di cose essenziali da annotare. 

Ciò da cui ci si libera è infine sempre una falsa coscienza. Per le passate generazioni questa è stata legata agli imperativi di una morale. Contro di essi ci si è liberati appunto attraverso le teorie della liberazione tra le quali appunto la psicoanalisi. Senza veder bene che dietro a ogni pensiero e pratica di liberazione vi è il rischio di una nuova oppressione la quale però, ecco il punto, non risiede tanto nella suddetta teoria ma nell’uso che se ne fa. È in genere perciò che ogni razionalità va maneggiata con cura, rischiando sempre di diventare ideologia e quindi guscio difensivo. Non sorprende quindi che Matilde, nel romanzo, dopo aver abbracciato la psicoanalisi per liberarsi da false piste e ideologie, prenda congedo dalla psicoanalisi stessa. Attraverso che cosa, però? Attraverso una nuova psicoterapia.

Diventa ciò che sei, infatti, è possibile, non lo è diventare un altro o un’altra. Non bisogna e in fondo non si può neanche cambiare via, la propria via, ma invece percorrerla meglio.

Matilde alias Maria Chiara ce l’ha molto con la famosa frase di Freud : “Dove c’è l’Es lì deve diventare Io”. Frase che indica il processo di bonifica e quindi si potrebbe anche dire di purificazione nel quale consiste la psicoanalisi.

Frase si può riconoscere ambigua. E però si deve tener conto di come la tripartizione tra Es, Io e Super-Io sia stato un rovello mai chiuso nel pensiero di Freud e come ad esso si sia sempre sovrapposto quello assai più chiaro di inconscio-conscio. Ma soprattutto la chiave di quella frase è in quel ‘diventare’ che segnala un percorso sempre aperto e, per quanto sempre esposto a gabbie razionaliste, sempre dotato della spinta a romperle. Come appunto fa, nel romanzo, Matilde.

Ragion per cui se la sua vicenda è un atto d’accusa alla psicoanalisi lo è in realtà a un certo modo di farla e di viverla, superabile attraverso la psicoanalisi stessa.

Soprattutto, mi azzardo a dire, quest’ultima è aperta perché lascia aperto lo spazio alla “profondità”. E qui torna a pulsare lo spirito di un’epoca, dell’epoca dei ragazzi degli anni Settanta i quali, tra mille sbandamenti, ideologismi e superficialità, hanno tuttavia avuto una certa idea e una certa pratica della profondità.

Ce ne sarà una per i millennials?

Quella profondità forse non la conosceranno (anche se a noi tocca per quanto possibile provare a trasmettergliela) ma forse ne attingeranno un’altra. Sicuramente saranno avviluppati in quell’amalgama di pensiero digitale, pensiero binario e unico quindi, di politically correct e di scientismo (magari anche di neuroscienze). Ne trarranno quel che potranno trarne alla ricerca del loro Sé.

Credo dovranno faticare non poco.

La loro via del resto non potrà che esser questa e senz’altro anche loro a un certo punto dovranno rivoltarsi se vorranno liberarsi e si può presumere che tale rivolta contro il pensiero unico sarà più radicale e quindi forse anche più dolorosa di quella che noi abbiamo sperimentato.