l'intervista

De Leo: “Il futuro? È rete e infrastrutture in un unico grande sistema di mobilità fisica e virtuale”

a cura di Raffaele Barberio |

Le risorse del Next Generation EU sono l’ultima chance per il rilancio dell’Europa nel confronto globale. Non si può più scommettere sul passato, quando il futuro è alle porte, perché il costo da pagare sarebbe troppo alto e non ce lo possiamo permettere. Mohammed Alì diceva che: “dentro un ring o fuori, non c’è niente di male a cadere, è sbagliato rimanere a terra”. Quindi basta con le critiche, ma è tempo di voltare pagina.

Consueto appuntamento settimanale con Francesco De Leo, Executive Chairman di Kauffman & Partners (Madrid), questa volta sui metodi dell’innovazione, sui modi con cui va affrontata e maneggiata e sul senso e l’importanza della scelta del pensiero strategico. Il nemico è il “pensiero breve”, spesso poco profondo, che caratterizza il nostro tempo e che sta inaridendo lo scenario della elaborazione. Ed appare come un controsenso, francamente, che ciò avvenga nel momento di maggior intensità dell’innovazione e della velocità con cui essa si manifesta e si evolve, trascinandoci, volenti o nolenti, nel futuro, ricordandoci che è il nostro futuro.

Key4biz. Vorrei riprendere il nostro salotto settimanale da dove ci siamo lasciati. Da un lato la pandemia e l’esigenza di superamento dell’emergenza, dall’altra la trasformazione digitale industriale che investe ed investirà sempre più anche nel nostro Paese di infrastrutture chiave. Verso quale scenario andiamo?

Francesco De Leo. L’impatto della pandemia ha contribuito ad accelerare la fase di trasformazione delle nostre economie, facendo venire a galla problemi strutturali che con tutta probabilità in tempi “normali” avrebbero raggiunto una soglia di criticità in modo lineare. Si ha la netta sensazione che siamo stati colti di sorpresa, anche perché in questi ultimi 20 anni abbiamo vissuto di false certezze, con schemi di analisi preconfezionati, che hanno contribuito ad un senso diffuso di “complacency”, di pigrizia intellettuale, abituati come eravamo a considerare il futuro come l’estrapolazione lineare del presente. Poi, tutto di un colpo a marzo dello scorso anno, davanti all’impatto della prima ondata pandemica, abbiamo avvertito che il quadro complessivo su cui si basavano le nostre attese non teneva in conto che il futuro era già arrivato, trasformando per sempre il nostro modo di vivere e lavorare e le relazioni fra le persone. Oggi è chiaro per tutti che la competizione fra Sistemi-Paese si gioca sul ruolo centrale dei dati e dell’intelligenza artificiale. Come ci ricorda Marc Andreessen, fondatore di Netscape e oggi partner di Andreessen & Horowitz, “software eats everything” (ndr. il software divora tutto). Non è un caso che il piano di rilancio del presidente americano Joe Biden, “bild back better”, sia maturato in queste settimane con un programma di investimenti senza precedenti nella storia: più di 2.600 miliardi di dollari, tanto che Ray Dalio, fondatore di Bridgewater Associates, il più grande fondo hedge al mondo con 160 miliardi di dollari di asset under management) lo ha paragonato al “Piano Marshall”. E non è un caso che le infrastrutture siano tornate ad essere centrali e siano oggi il principale terreno di confronto competitivo: l’elettrificazione dell’automobile e la mobilità di nuova generazione hanno ridefinito il ruolo delle reti e della connettività.

Key4biz. Parliamo ormai costantemente della nuova fase di convergenza che sta interessando i settori dell’energia, dell’automobile e delle reti di telecomunicazione. Perché insiste così tanto su questo cambio di paradigma?

Francesco De Leo. Per tre ragioni. La prima è che cambia la prospettiva. La seconda è che cambia il terreno di confronto competitivo. Infine, la terza è che accelera la dinamica del cambiamento: stiamo infatti entrando più rapidamente del previsto in un’era di iper-connettività (hyper-connectvity), che rimette in gioco, una volta per tutte, gli assetti di governo di settori chiave come l’energia, le telecomunicazioni e le infrastrutture dei trasporti. Non è solo una questione di competitività a livello di Sistema-Paese, ma una priorità in tema di sicurezza nazionale. Per queste ragioni non si può affrontare la questione delle reti con delle categorie concettuali che appartengono al secolo scorso e che hanno solo contribuito ad un ritardo strutturale dell’Europa (e in primis nel nostro Paese) nel riconoscere il cambio di paradigma competitivo che stiamo vivendo.

Key4biz. Qual è il punto di partenza più a portata di mano, secondo lei??

Francesco De Leo.   Il punto di partenza è considerare che l’automobile è a tutti gli effetti un sistema di sensori in movimento ed è al tempo stesso un PoP, un punto di presenza di una rete sempre più intelligente, dinamica e distribuita, in grado di generare una base di dati che cresce in modo esponenziale per effetto della Legge di Metcalfe, che prevede l’utilità ed il valore di una rete cresca con il quadrato del numero degli utenti.

Key4biz. Aumenta sempre più la domanda di capacità di calcolo…

Francesco De Leo. Come aveva anticipato nel 1984 John Gage, uno dei fondatori di Sun Microsystems, “the network is the computer”: a quell’epoca non era semplice comprendere tutte le implicazioni di questa affermazione, ma sta di fatto che l’evoluzione del “parallel computing” è andata in questa direzione e che questa “profezia” si è realizzata. Oggi siamo in grado di compilare una ricerca su Google,trovando risposta mentre stiamo digitando una stringa di caratteri perché milioni di server lavorano senza soluzione di continuità su data center distribuiti su più Paesi, come se fossero un singolo super computer. Ma questo è solo uno degli aspetti chiave. L’elettrificazione dell’automobile ha avuto come conseguenza diretta quella di creare un mondo iper-connesso di “reti di reti” (networks of networks), che devono essere ripensate e riprogettate per lavorare insieme come se fossero un unico super computer. È una sfida senza precedenti che trasforma infrastrutture fisiche/statiche come le reti stradali ed autostradali in reti intelligenti, in grado di modulare le proprie capacità di traffico in maniera dinamica, generando una quantità di dati che cresce esponenzialmente grazie alla progressiva integrazione fra due mondi che fino ad oggi non si erano trovati nelle condizioni di dovere comunicare: il mondo dell’energia e quello delle telecomunicazioni. Siamo solo agli inizi di quello che è a tutti gli effetti un nuovo ciclo di innovazione, come è avvenuto agli inizi del secolo scorso, solo che questa volta la trasformazione ci sembrerà più rapida, perché arriva sottotraccia dopo 20 anni in cui la tecnologia ha fatto passi da gigante nel campo dell’intelligenza artificiale, dell’energy storage, nell’edge computing e nel blockchain.

Key4biz. Insomma entriamo, per così dire, a tutta velocità nell’era dell’iper-connettività:

Francesco De Leo. Cambia il terreno di confronto competitivo, e questo vale per tutti gli attori in gioco, nessuno escluso. Servirebbe a poco cercare di imporre limiti alla trasformazione in corso con l’obiettivo di proteggere lo status-quo, perché la magnitudo degli investimenti non lascia margini di recupero, se non si aggancia da subito il treno dell’innovazione. L’elettrificazione dell’automobile non è la semplice sostituzione del motore a combustione interna con un motore elettrico. Se fosse così, sarebbe fin troppo semplice. Al contrario, è un cambio di prospettiva profondo, che trasforma la mobilità di nuova generazione nel vero tessuto connettivo delle nostre economie e diventa il cuore della nuova frontiera dell’innovazione su scala globale. La competizione si sposta dall’auto come prodotto alla mobilità come sistema, dalle infrastrutture fisiche all’iper-connettività, dalla meccanica all’intelligenza artificiale, dall’aereodinamica alla capacità di disegnare microprocessori dedicati (mission-critical) per la guida assistita.

Key4biz. Da questo quadro si ricava che nulla è destinato a rimanere come prima…

Francesco De Leo. Si perché siamo stati abituati in passato a pensare le reti in modalità stand-alone, come se fossero destinate a rimanere per sempre isolate come universi paralleli. In seguito, la possibilità di avere a disposizione capacità di calcolo senza precedenti, grazie all’evoluzione delle GPUs (Graphic Processing Units) e TPUs (Tensor Processing Units) ha reso possibile lavorare in tempo reale su basi di dati che crescono in modo esponenziale. Tutto questo ha contribuito a trasformare due settori tradizionali come quello dell’energia e delle infrastrutture fisiche nel laboratorio di innovazione più avanzato al mondo. Ma non per tutti è stato così ed oggi i protagonisti che hanno fatto la storia dell’automobile e delle telecomunicazioni si trovano a dovere inseguire il cambiamento, per non finire ai margini di una trasformazione che rimette in gioco assetti troppo a lungo considerati immutabili nel tempo. Come ci ricorda Albert Einstein: “tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, fino a quando arriva uno sprovveduto che non lo sa e la inventa”. È quello che è successo con la progressiva elettrificazione dell’automobile, che trasforma per sempre il ruolo delle infrastrutture fisiche in “reti di reti” intelligenti progettate per comunicare fra loro e capaci di traghettare il mondo che conosciamo verso un’era di iper-connettività. Per chi è rimasto ai margini del cambiamento è ora troppo facile, anche se comprensibile, accampare scuse. Difficile pensare che si possa tornare indietro, anche perché i mercati chiedono un cambio di passo sul raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile fissati dalle Nazioni Unite (SDGs, Sustainable Development Goals) prima della scadenza naturale del 2030. Prepariamoci quindi a sperimentare nei prossimi 5-7 anni cambiamenti che nel recente passato richiedevano 50 anni per realizzarsi.

Key4biz. Sembra quasi impossibile che in un’era di iper-connettività sia proprio il settore delle telecomunicazioni, che della connettività ha fatto il suo business, a dover inseguire gli altri. Come è stato possibile?

Francesco De Leo. È il risultato di una deriva lunga, che inizia almeno 20 anni fa, dopo l’introduzione della telefonia mobile e che, come spesso accade, è frutto di scelte e di strategie che alla lunga si sono dimostrate sbagliate. L’Europa non si troverebbe certo in queste condizioni di impasse se si fossero prese strade diverse da quelle che nel tempo sono diventate quasi delle scelte obbligate. Complessivamente, e direi che in parte c’era da aspettarselo, il settore è diventato un caso studio di come sia andata declinando nel tempo la capacità di definire strategie in grado di rispondere alle sfide che man mano si palesavano all’orizzonte. Il ritardo che si è andato accumulando nel tempo ha finito per indebolire in modo strutturale la capacità di risposta del settore, messo a dura prova da un livello di indebitamento che ha raggiunto limiti di guardia proprio in concomitanza con l’attuale cambio di paradigma che ha impresso una forte accelerazione alla progressiva de-verticalizzazione del settore. Se vuole, è un caso esemplare di “bad strategy”, come direbbe Richard Rumelt, il non mai troppo citatoautore di “Good Strategy, Bad Strategy: The Difference and Why it matters” del 2011). Sostenere di voler andare oltre la connettività (beyond connectivity) quando il cambiamento va nella direzione opposta, ovvero quella dell’iper-connettività, vuole dire rinunciare alla propria storia e non valorizzare le competenze di “rete” che sono al centro della trasformazione in atto. Un’occasione persa, a ben vedere, che oggi vede come protagonisti le aziende dell’energia e le nuove realtà emergenti nelle infrastrutture di telecomunicazioni, come le società leader nelle torri di telefonia mobile e nelle reti in fibra ottica.

Key4biz. Il cul-de-sac nel quale, secondo lei, si sono cacciati gli operatori di tlc è un punto di non ritorno?

Francesco De Leo. Guardi, dobbiamo aver sempre presente che il mondo che sta intorno a noi cambia senza dare preavviso. Se si insiste su ricette datate che già avevano smesso di funzionare almeno da un decennio, ma per inerzia si procedere nella stessa direzione, è inevitabile dover constatare ad un certo punto che il futuro abbia preso una strada diversa dalla nostra. Due giorni fa Bloomberg ha pubblicato un articolo dal titolo emblematico: “AT&T and Discovery deal is more evidence that Telecom and Media don’t mix” (L’accordo fra AT&T e Discovery è un ulteriore segno evidente che la convergenza fra telecomunicazioni e media non funziona”). Agli inizi del mese di maggio Verizon aveva ceduto la sua Divisione Media ad Apollo Global Management per 5 miliardi di dollari, ed ora AT&T ha annunciato lo spin-off di Time Warner e la successiva fusione di questa con Discovery. Come è stato scritto da Bloomberg, gli annunci di ieri segnano la fine dell’integrazione verticale fra telecomunicazioni e media. In Europa solo BT (British Telecom) ha preso la decisione di disfarsi dei diritti sportivi della Premier League. Per il resto, si direbbe che le telco europee siano ancora arroccate nel difendere un “piccolo mondo antico”, che è destinato a soccombere nell’era dell’iper-connettività.

Key4biz. Difficile marciare con la testa ricolta all’indietro…

Francesco De Leo. Quando in un mondo che cambia non ci si fa trovare pronti ad adattarsi ad un cambio di paradigma, si rischia di perseverare in investimenti che vanno a scontrarsi con una realtà con cui risulta sempre più difficile misurarsi. Così, alla lunga, si finisce per ritrovarsi dalla parte sbagliata del cambiamento. Per l’Europa è l’ultima chiamata. Le risorse del Next Generation EU sono l’ultima chance per ripensare il ruolo delle telco, prima che a pagarne il conto siano gli investitori, i dipendenti ed i cittadini, come purtroppo si è verificato in più occasioni in questi anni. Per invertire la tendenza a giocare al ribasso e l’inerzia che ha portato telco europee in una posizione marginale occorre cimentarsi con la sfida dell’iper-connettivita’ che chiude definitivamente l’era dell’integrazione verticale. Prima si affronta il problema meglio è. Non si può scommettere sul passato quando il futuro è alle porte perché il costo da pagare sarebbe troppo alto e non ce lo possiamo permettere. Mohammed Alì diceva che: “dentro un ring o fuori, non c’è niente di male a cadere, è sbagliato rimanere a terra”. Quindi nessuna critica, ma è tempo di voltare pagina.

Key4biz. Posto che si decida di non rimanere a terra, Nel rialzarsi sul ring, da dove si dovrebbe ripartire?

Francesco De Leo. Può essere utile ricordare da dove nasce il termine “bad strategy”, perché l’inerzia collettiva che porta a ritrovarsi in posizioni di retroguardia non è solo il tema dominante dei nostri giorni. Il termine “bad strategy” è stato coniato da Richard Rumelt nel corso di un seminario ristretto a sole 9 persone, organizzato a Washington nel 2007 dal Center for Strategic and Budgetary Assessment (CSBA). Fra i partecipanti James R. Schlesinger, in passato già Segretario alla Difesa e Direttore della CIA, e Fred C. Ikle’, membro del Council on Foreign Relations, in passato Sottosegretario di Stato alla Difesa, e Direttore del U.S. Arms Control and Disarmament Agency. La riunione era stata convocata senza un motivo specifico, se non quello di discutere del progressivo declino della qualità del pensiero strategico che comportava, a tendere, una minaccia a livello di sicurezza nazionale. Stiamo parlando del 2007, l’anno prima del crollo di Lehman Brothers. A Washington la preoccupazione crescente era legata all’evidenza incontrovertibile di una pericolosa e non prevista fragilità strutturale nel trovare risposte e formulare strategie in un mondo in rapido cambiamento. La sensazione dominante era che il declino progressivo del pensiero strategico fosse un malessere diffuso anche nel mondo delle imprese e della finanza, e che occorreva porvi rimedio per non finire con il ritrovarsi fuori gioco anche in materia di sicurezza nazionale. Da qui il termine “bad strategy”, un decadimento della capacità di affrontare il cambiamento, che presenta sintomi precisi, riconducibili ad almeno quattro aspetti. Il primo è la prevalenza di slogan e di parole di utilizzo popolare per spiegare concetti apparentemente esoterici mirati a proiettare un’immagine di un pensiero strategico di alto livello, per nascondere l’assenza di una strategia coerente in termini di risorse ed obiettivi. Il secondo è l’incapacità di riconoscere le sfide per quello che sono, per nascondere la dura realtà dei fatti che si scontra con una narrativa edulcorata, che cerca di deviare l’attenzione dai problemi strutturali che per troppo tempo sono stati tenuti nascosti. Il terzo è il ripetersi dell’errore di confondere gli obiettivi con la strategia, al solo scopo di dare l’idea che di fatto conti solo l’esecuzione. Il quarto è un prosieguo di quello precedente e prevede semplicemente il puntare ad obiettivi già di per sé sbagliati in partenza. Ebbene, sono sicuro che i suoi lettori, che ci stanno leggendo, si siano fatti un’idea ben precisa dei ritardi che sono stati accumulati in questi 20 anni.

Key4biz. E l’Europa?

Francesco De Leo. Se a Washington il Center for Strategic and Budgetary Assessment (CSBA) si è posto 15 anni fa il problema di come adeguare le proprie competenze strategiche a fronte delle sfide di un cambio di paradigma senza precedenti, c’è da chiedersi perché da noi non ci si impegni a fare altrettanto. D’altra parte i numeri e le valutazioni dei mercati parlano chiaro, viste le attuali capitalizzazioni di borsa, e non si può dire che nel tempo abbiamo visto emergere dei “fenomeni”, in grado di ribaltare la situazione. Qualche volta sarebbe molto più utile non cercare di reinventare l’acqua calda, rispolverando ricette che erano già obsolete ab origine. Al contrario, bisogna avere l’umiltà e l’intelligenza di essere pronti ad imparare dai migliori, perché ogni giorno, ogni minuto perso ci riporta indietro nel tempo in un mondo che non esiste più da almeno 20 anni. Bisogna ritrovare un senso di urgenza a livello collettivo, perché di cosiddetta “annuncite” si può anche morire. Troppo tempo è stato gettato al vento anche per la compiacenza di molti, che hanno preferito assecondare gli eventi, voltando le spalle al cambiamento, quando al contrario era arrivato il momento di porsi qualche domanda.

Key4biz. Possiamo chiudere indicando quantomeno una via d’uscita o, se vuole, un metodo per cercarla?

Francesco De Leo. Innovazione e trasparenza. Due parole semplici, ma spesso dimenticate. Sono un buon punto di partenza per affrontare un mondo che cambia. A prima vista si direbbe facile e scontato, ma non è così. Per questo ci vuole uno sforzo collettivo, il contributo di tutti, consapevoli che la strada che abbiamo davanti si fa stretta e non ammette deviazioni o scorciatoie. Non è semplice passare da un mondo che vede la presenza prevalente di “bad strategy” ad un nuovo paradigma competitivo, perché questo passaggio richiede lavoro, dedizione, comunione di intenti e perseveranza. Non lasciamoci trascinare a fondo da ricette approssimative, frutto di false certezze che in molti casi si scontrano con la logica dei numeri e dei fatti. Si commetterebbe un errore imperdonabile che può minare il futuro delle prossime generazioni. Con il Recovery Fund abbiamo ancora un’ultima, forse irripetibile, possibilità di riagganciare il treno dell’innovazione. È imperativo farcela, “no matter what”. Cesare Pavese scriveva: “L’unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere, perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante”.

Deve essere così anche per noi. Il nostro Paese merita un futuro migliore. E lo meritiamo anche noi.