L’era delle rotte commerciali lineari, ottimizzate solo per efficienza, sta rapidamente lasciando spazio a un nuovo paradigma: quello della resilienza, della prossimità geopolitica e della diversificazione. Secondo un nuovo studio McKinsey, entro il 2035 oltre un terzo del commercio globale potrebbe subire una riconfigurazione sostanziale. A essere in gioco non è solo il volume degli scambi, ma l’intera architettura delle supply chain globali, specialmente per settori considerati strategici.
Dal 2017, le economie hanno commerciato meno con partner geopoliticamente distanti. I recenti annunci su dazi, scambi commerciali e politiche industriali hanno aggravato l’incertezza.
La frammentazione, spinta dall’aumento dei dazi doganali, potrebbe determinare i maggiori spostamenti, soprattutto nei settori critici.
In uno scenario di frammentazione (in cui economie geopoliticamente distanti commerciano meno), circa 3.000 miliardi di dollari potrebbero andare persi.
Secondo lo studio, i corridoi commerciali tra le economie emergenti potrebbero essere tra le scommesse più sicure.
La globalizzazione “ribilanciata”
Negli ultimi anni, tra pandemia, guerre commerciali e tensioni geopolitiche, il commercio internazionale ha iniziato a comportarsi come un sistema sismico: placche tettoniche economiche che si spostano lentamente, ma in modo profondo.
Il risultato? Le aziende stanno rivedendo non solo dove produrre, ma anche con chi commerciare.
Tre sono gli scenari delineati da McKinsey:
- Base: il commercio globale continua a crescere (+12 mila miliardi di dollari al 2035);
- Diversificazione: crescita più contenuta, ma catene più resilienti;
- Frammentazione: rischio di contrazione fino a -3 mila miliardi, con forti barriere tra economie distanti.
Elettronica e semiconduttori i settori strategici i più esposti
Se c’è un settore che illustra bene i rischi della frammentazione, è l’elettronica. Il report rivela che il 58% del commercio futuro del comparto è esposto a turbolenze.
La motivazione? Tre fattori chiave: alti volumi tra partner geopoliticamente distanti (Cina–USA, Taiwan–Europa); forte concentrazione produttiva, con la Cina da sola che esporta il 75% dei laptop globali; sottosettori critici come i semiconduttori, soggetti a dazi elevati e a potenziali blocchi.
Lo studio riporta anche un caso emblematico, con l’investimento miliardario di Micron in India, paese geopoliticamente più neutro, che dimostra come le aziende stiano riposizionando la produzione per intercettare sia i sussidi pubblici sia nuovi mercati interni in crescita.
Manifattura: tra ri-localizzazione e vulnerabilità nascosta
Il settore manifatturiero, che include macchinari industriali e automazione, non è da meno. Circa il 44% del suo valore commerciale al 2035 è a rischio. La dipendenza da un ristretto numero di fornitori e la complessità tecnica delle componenti rendono queste catene del valore estremamente fragili.
L’interruzione di un singolo componente—dai chip alle resine plastiche—può bloccare intere filiere, come accaduto nel settore automotive nel 2022.
Energia e risorse, la concentrazione che costa
Nel mondo delle materie prime critiche, la concentrazione produttiva rischia di diventare un boomerang. Ad esempio: il 90% della raffinazione di terre rare avviene in Cina; il 70% del litio raffinato proviene dallo stesso Paese; per alcune risorse (es. neodimio), ogni dollaro di materia prima consente fino a 600 dollari di output industriale.
Ma anche l’energia è vulnerabile: sebbene il petrolio sia più distribuito, la dipendenza regionale (come Corea e Giappone verso il Medio Oriente) rende costosa e lenta ogni ristrutturazione delle forniture.
La transizione europea dal gas russo al GNL americano ne è un esempio lampante: richiede nuovi terminali, reti logistiche e forti investimenti pubblici.
Rotte alternative: da rischio a opportunità
Non tutti i corridoi commerciali sono minacciati allo stesso modo. Lo studio distingue tre categorie:
- Safe bets: rotte resilienti, come Cina–ASEAN, India–UE, Europa–USA;
- Cautious bets: corridoi moderatamente esposti, come Europa–Medio Oriente o Giappone–ASEAN;
- Uncertain bets: rotte ad alto rischio, come Cina–USA o Russia–Europa, che potrebbero vedere una contrazione drastica.
Secondo il report, alcune rotte potrebbero perdere fino al 76% del loro valore rispetto allo scenario base.
Cosa devono fare le imprese?
Le aziende che operano in settori strategici non possono più permettersi di “navigare a vista”. McKinsey suggerisce diversi percorsi: mappare l’esposizione geopolitica delle proprie supply chain; diversificare i fornitori, senza compromettere la qualità; sviluppare opzioni regionali per produzione e logistica; valutare incentivi pubblici per nuovi investimenti in mercati chiave; creare resilienza operativa anche per beni “invisibili” ma vitali (connettori, chip, materiali rari).
La resilienza come nuova efficienza
La globalizzazione non è finita, ma sta cambiando pelle. Se ieri l’efficienza era sinonimo di “tutto in Cina”, oggi il paradigma si sposta su prossimità, ridondanza e flessibilità.
In questo contesto, l’innovazione nelle supply chain non è più un lusso, ma una necessità strategica per competere nel nuovo ordine commerciale globale.