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Dazi dal 7 agosto. Ue ferma al 15%, pressioni Usa sul digitale

Arriva l’ordine esecutivo firmato dal Presidente USA, dazi effettivi dal 7 agosto

È arrivata nella tarda serata di ieri la firma dell’ordine esecutivo con cui il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, imponeva ufficialmente i nuovi regimi tariffari (concordati o meno) sulle importazioni di prodotti con decine di Paesi in tutto il mondo.

L’Unione europea si è vista confermata il 15%, ma altri Paesi come Canada e Svizzera, hanno visto aumentare i dazi rispettivamente dal 25% al 35% e al 39%, mentre la Siria ad esempio ha visto lievitare la tariffa commerciale al 41% e il Sudafrica al 30%.
Meglio apparentemente è andata al Messico che ha ottenuto un allungamento delle trattative di 90 giorni.

Altra novità, invece che da oggi 1° agosto, il nuovo regime tariffario entrerà in vigore dal 7 agosto prossimo.

Poi, come spesso capita, il Presidente Usa parlando con la stampa ha lasciato intendere che “la sua porta è sempre aperta a nuove trattative”, anche con i Paesi attualmente più colpiti.

Usa-Ue: nessuna firma e tutto ancora in gioco, a partire da digitale e reti

L’Italia e la Francia chiedono che si sistemi una volta per tutte la trattativa sull’agroalimentare, in particolare su alcol e liquori. Dal 7 agosto è prevista la tariffa del 15% su queste merci, ma Bruxelles punta ad un’esenzione totale.

Acciaio, alluminio e rame vedono la pesante scure del 50% e molto probabilmente qui è molto più difficile ottenere modifiche concrete al ribasso, anche se Bruxelles si attende dalla controparte un sistema di quote dettagliato che al momento non c’è.

Secondo il segretario del Commercio degli Stati Uniti, Howard Lutnick, però, “ci sarà ancora molto da negoziare” e questo apre spiragli su possibili revisioni delle tariffe, anche per quel che riguarda i settori strategici come semiconduttori e farmaci.

Scontro aperto sul digitale

Altro terreno di scontro, anche aspro, è quello del digitale e delle reti. L’Ue ha assicurato di aver accantonato l’idea di una web tax, cioè di tassare le Big Tech come Google, Microsoft, Amazon e Meta, solo per citare le più popolari, e di un prelievo per l’uso delle reti europee.
L’Ue però ci tiene a ribadire che non intende fare un passo indietro su regolamentazione e tutela dei diritti, quindi sul pieno controllo normativo del settore (in particolare antitrust, moderazione dei contenuti e privacy), cosa che invece gli americani vogliono assolutamente ammorbidire. Qui la trattativa è più che mai aperta e potrebbe essere il punto più critico dell’intero accordo.

Washington vuole salvaguardare il suo primato tecnologico e digitale, soprattutto nei confronti della Cina (e questo la dice lunga sulla capacità attuale dell’Unione di proporsi come player di livello in questo settore chiave).
Le Big Tech sono i suoi titani e niente e nessuno dovrebbe interporsi tra loro e gli obiettivi strategici da raggiungere. Bruxelles però reclama a gran voce il suo “spazio vitale digitale” e non è intenzionata a cederne il diritto di regolamentazione autonoma.

La web tax italiana

In Italia è presente una web tax: si tratta della Digital Service Tax, introdotta nel 2020. Si tratta di un prelievo fiscale sui proventi generati dalla fornitura di servizi digitali, quali la pubblicità online, le attività connesse alle piattaforme di e-commerce e lo streaming. Introdotta dall’articolo 1, commi 35-50, della Legge 145/2018, essa prevede un’aliquota del 3%.
Nel 2024 il gettito è stato di 455 milioni (l’85% versato da multinazionali Usa). Una cifra davvero ridotta se si considera che, secondo un report della Cgia di Mestre, le Pmi italiane versano 24,6 miliardi di euro in tasse all’anno.

La lista dei Paesi colpiti dai dazi Usa

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