Bruxelles attende le prime lettere da Washington, che dazi saranno?
Entro il 9 luglio, la maggior parte dei Paesi europei e del resto mondo troverà un’intesa tariffaria e commerciale con gli Stati Uniti “o con una lettera, o con un accordo”, ha dichiarato il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.
Le prime “lettere” dovrebbero arrivare a Bruxelles entro oggi, attorno alle ore 18:00, in vista della scadenza per l’entrata in vigore delle imposte sospese, ha riportato Mattia Bernardo Bagnoli sull’Ansa.

Secondo Radiocor, fonti diplomatiche dell’Unione europea, coinvolte nella preparazione dell’incontro Ecofin nella capitale belga, preceduto dalla riunione dei ministri dell’Eurogruppo, hanno commentato l’arrivo delle lettere assicurando che “non cambieranno l’agenda della riunione dei ministri delle finanze di domani”.
Sulla spinosa questione dei dazi si è espresso anche il Segretario al Tesoro, Scott Bessent, che ha messo in guardia l’Europa: “se non si raggiungerà un accordo con gli Stati Uniti nei prossimi giorni, i dazi fino al 50% annunciati all’inizio di aprile, e poi sospesi in attesa dei negoziati, entreranno in vigore dal primo agosto”.
In realtà, si leggeva su MilanoFinanza sabato, questo termine ultimo era già stato anticipato sempre dal Presidente Trump lo scorso venerdì sul social di famiglia Truth.
Bessent non ha commentato oltre, ma ha comunque dato un giudizio positivo sui negoziati, “nonostante proseguano troppo lentamente”, che potrebbero riguardare fino a 18 accordi commerciali.
Il clima disteso è confermato anche dal portavoce della Commissione, che ha riportato di “un buono scambio” di battute ieri al telefono tra la Presidente Ursula von der Leyen e Trump.
UE divisa sul tema dazi, ma in ballo c’è un mercato atlantico ricchissimo
Mentre il tempo stringe per la scadenza del 9 luglio imposta da Trump, la Commissione europea è ancora incerta su come tratterà il blocco, che come ha ricordato il quotidiano britannico The Guardian minaccia un traffico commerciale tra le due sponde dell’Oceano Atlantico da 1,6 trilioni di euro.
In Europa non c’è una visione univoca del problema e ognuno naviga per conto suo o almeno questa è l’impressione che danno i 27 stati membri dell’Unione. La Germania vuole trovare un accordo in tempi rapidi, come è stato per la Gran Bretagna, evitando quindi ogni attrito commerciale con gli Stati Uniti.
La Francia, invece, vuole l’accordo migliore per l’Europa e per raggiungere questo obiettivo è disposta anche ad attendere, perché la fretta è cattiva consigliera e potrebbe portare ad un accordo sbilanciato a favore di Washington magari.
Trump attacca i BRICS
Trump deve poi affrontare anche la sfida che a suo dire i Paesi BRICS hanno lanciato agli Stati Uniti, arrivando a minacciare di imporre dazi aggiuntivi del 10% “sui paesi che seguono le politiche antiamericane” di questo fronte.
BRICS che in un documento ufficiale hanno espresso serie preoccupazioni per le politiche tariffarie americane, prese unilateralmente e in maniera del tutto ingiustificata, “misure che creano distorsione del commercio mondiale e che sono incoerenti con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio”.
Tanto è bastato a Trump per puntare l’indice contro questo blocco geopolitico che preoccupa sempre di più Washington e che a suo dire “esprime un chiaro desiderio di andare oltre l’attuale ordine mondiale guidato dagli Stati Uniti, in materia finanziaria e di governance globale”, secondo quanto affermato da Stephen Olson, ex negoziatore commerciale degli Stati Uniti e attuale ricercatore senior ospite presso l’ISEAS-Yusof Ishak Institute.
Ma i BRICS potrebbero davvero ribaltare l’ordine mondiale
I BRICS ormai vanno ben oltre l’acronimo originale, composto da Brasile, Russia, India, Cina, comprendendo anche Sudafrica, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Indonesia e Iran. Basta questo per comprendere perché gli Stati Uniti temono e non poco questo blocco.
Dal primo gennaio 9 paesi, Bielorussia, Bolivia, Cuba, Indonesia, Kazakistan, Malesia, Thailandia, Uganda e Uzbekistan, sono diventati partner del gruppo dei Brics. È il passo che precede la piena membership, hanno spiegato Mario Lettieri e Paolo Raimondi in un approfondimento su ItaliaOggi. Altri 4 paesi, Algeria, Nigeria, Vietnam e Turchia, sono stati invitati a fare lo stesso.
In prospettiva, i Brics rappresenteranno presto il 41,4% del pil mondiale, se calcolato in parità di potere d’acquisto (ppa), il 37% del commercio globale ed il 40% della produzione petrolifera mondiale.
Il G7 non raggiunge il 30% del PIL mondiale.