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Dazi al 15%, l’Ue investirà 600 miliardi di euro negli Usa. Mancano ancora le firme e per i semiconduttori altre due settimane di negoziati

Accordo raggiunto sui dazi tra Usa e Ue, ma a vantaggio di chi?

Il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sembrava più preoccupato delle pale eoliche troppo vicine al suo mega resort a Turnberry, a 90 km a Sud-Ovest della città di Glasgow, in Scozia, che dell’accordo sui dazi con l’Unione europea.

Alla fine, i negoziatori sono riusciti a trovare un accordo sulla tariffa del 15% su tutte le merci europee in entrata negli Stati Uniti (niente al contrario), confermando le voci già diffuse nei giorni scorsi. Discorso diverso per acciaio, alluminio e altri metalli pesanti che subiscono invece il 50%, come deciso precedentemente.

Il patto di Turnberry è stato annunciato da Ursula von der Leyen e Trump dopo un bilaterale di circa un’ora, accompagnati dal commissario Ue Maros Sefcovic e il tandem americano formato da Howard Lutnick e Jamieson Greer, con l’obiettivo di mettere al riparo (almeno per ora) un interscambio da 1.400 miliardi di euro l’anno.

L’accordo di oggi crea certezza in tempi incerti. Offre stabilità e prevedibilità, per cittadini e imprese su entrambe le sponde dell’Atlantico. Si tratta di un accordo tra le due maggiori economie mondiali. Scambiamo 1,7 trilioni di dollari all’anno. Insieme siamo un mercato di 800 milioni di persone. E rappresentiamo quasi il 44% del PIL globale. A poche settimane dal vertice NATO, questo è il secondo tassello fondamentale, che riafferma il partenariato transatlantico“, ha detto la von der Leyen.

I chip di intelligenza artificiale statunitensi contribuiranno ad alimentare le nostre gigafactory di intelligenza artificiale e aiuteranno gli Stati Uniti a mantenere il loro vantaggio tecnologico“, ha sottolineato la Presidente della Commissione Ue.

Manca ancora la firma (e accordo vantaggioso per chi?)

Facile mostrare entusiasmo, ma al dunque i punti al buio di questo “patto” sono diversi e tutto sommato si tratta più di una limitazione del danno, certo non di una vittoria. Le incertezze sono sempre le stesse e infatti i costi che sono già aumentati continueranno a farlo.
Il punto dolente è sempre lo stesso: si tratti di energia, infrastrutture digitali o sicurezza, l’Europa non è in grado di agire in modo indipendente e autonomo nei settori chiave e strategici.

Ricordiamo, inoltre, che per il momento si sono raggiunti solo accordi verbali e non è stata apposta nessuna firma su carta. Questo lascia ancora vivo un certo margine di incertezza.

Al momento, gli accordi preliminari raggiunti tra Ue e Usa si allineano grosso modo a quelli Usa-Giappone, ma prevedono dazi del 5% in più rispetto a quelli previsti dall’intesa raggiunta tra Washington e Londra e triplicano la media pre-Trump del 4,8%.

Anche in questo caso, quindi, va sottolineato che nel braccio di ferro tra le due parti, ad avere la meglio è sempre Washington, con un accordo squilibrato a suo vantaggio (personale, non degli americani, che anzi molto probabilmente dovranno affrontare un aumento generalizzato dei costi, perchè i dazi sulle importazioni ricadono in larga misura sul Paese importatore in termini di consumi) e frutto di imposizioni politiche ed economiche pesanti.

Di fatto, l’Unione europea (come già fatto dal Giappone) ha accettato di abbassare a zero i propri dazi sulle merci americane in entrata, ha promesso investimenti enormi negli Stati Uniti (anche se in tempi piuttosto lunghi) e aperto ancora di più il proprio mercato interno ai produttori americani.

Auto, farmaceutica, semiconduttori, alcol e liquori, robotica, aerei e Spazio, ecco cosa accadrà

Oggi abbiamo anche concordato dazi zero-per-zero su una serie di prodotti strategici. Tra questi rientrano tutti gli aeromobili e i relativi componenti, alcuni prodotti chimici, alcuni farmaci generici, apparecchiature a semiconduttore, alcuni prodotti agricoli, risorse naturali e materie prime essenziali. Continueremo a lavorare per aggiungere altri prodotti a questo elenco“, ha precisato von der Leyen nelle sue dichiarazioni ufficiali.

Si alleggerisce il peso dei dazi per il settore automobilistico, che oggi sono al 27,5% (qui lo sconto vero l’ha ottenuto la Germania), mentre rimangono dubbi su altri settori strategici, come farmaceutica e semiconduttori. Nel primo caso la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha detto una cosa e Trump un’altra, nel secondo caso, secondo quanto riportato da Politico, sembra che la negoziazione richiederà ancora dei giorni, forse un paio di settimane aggiuntive, ha spiegato Lutnick.

Trump ha affermato che l’Unione europea acquisterà materie prime energetiche per 750 miliardi di dollari e investirà non meno di 600 miliardi di dollari in più del previsto negli Stati Uniti (più un imprecisato ma ingente volume di acquisti in prodotti militari).

Dazi zero invece per altri segmenti di mercato altrettanto importanti e strategici come robotica, aeronautica civile, macchinari industriali e aerospaziale. A quanto si apprende dalla stampa internazionale, forse anche gli acolici e i liquori potrebbero rimanere esentati (restano sulle spine Italia e Francia), ma qui il dubbio persiste.

Trump ha detto più volte che è ancora intenzionato a introdurre dazi progressivi sui settori farmaceutico e dei semiconduttori, minacciando dazi al 200% per il primo (non prima di 18 mesi), e non è per niente chiaro se l’accordo raggiunto in Scozia comprende anche queste due voci o meno (la farmaceutica è forse la voce più importante in termini economici).

Prossimi passi e la partita a parte su acciaio e alluminio

A questo punto questo accordo preliminare deve passare al voto dei 27 Stati membri e del Parlamento europeo. In particolare, imprese, associazioni e società civile chiedono agli europarlamentari e ai propri Governi di tenere bene a mente quelle che sono le priorità per l’Unione: ridurre le dipendenze dagli Stati Uniti, aumentare la nostra indipendenza su più fronti (in primis energetico e tecnologico), ragionare sul nostro posto nel mondo (avere consapevolezza di un mercato unico europeo da quasi 500 milioni di consumatori e della mancanza di una visione politica e geostrategica autonoma da Washington, che sempre più spesso evidenzia interessi nazionali diametralmente opposti ai nostri, contro ogni supposta appartenenza ad un’idealizzata area occidentale ).

In caso di esito positivo, si procederà ad accantonare il pacchetto di contromisure europee da oltre 90 miliardi di euro che doveva entrare in vigore dal 7 agosto 2025.

Come ricordato dall’Ansa, il cuore dell’intesa è l’aliquota doganale del 15%. Lo schema include la clausola della ‘nazione più favorita’ (Mfn) – garanzia di parità e non discriminazione nel quadro della World Trade Organization – che stabilisce la tariffa media reciproca del 4,8% nel commercio transatlantico, valida nel pre-Trump.

In realtà anche su acciaio e alluminio la partita non è del tutto chiusa (e non è detto che sia una buona notizia). Secondo quanto appreso dall’Ansa, le due parti lavorano a “un sistema di contingenti tariffari basato sui flussi commerciali storici, accompagnato da una politica comune per gestire le importazioni extra Ue e Usa“.

Bruxelles e Washington avrebbero discusso “un’unione dell’acciaio e dei metalli, che riflette un’intesa comune“, nella quale si riconosce che “la vera sfida è la sovraccapacità a livello globale“: “Vi è stato un ampio consenso sulla necessità di collaborare come alleati e coordinarsi contro la concorrenza sleale di Paesi terzi“.

Meloni: “Scongiurata guerra commerciale“. Ma i dazi impattano sull’economia italiana

Il Governo italiano accoglie positivamente la notizia del raggiungimento di un accordo tra Unione Europea e Stati Uniti sui dazi e le politiche commerciali, che scongiura il rischio di una guerra commerciale in seno all’Occidente, che avrebbe avuto conseguenze imprevedibili“, hanno dichiarato in una nota di Palazzo Chigi il Presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, e i Vicepresidenti Antonio Tajani e Matteo Salvini.

Nelle more di valutare i dettagli dell’intesa – si legge nel documento – giudichiamo sostenibile la base dell’accordo sui dazi al 15%, soprattutto se questa percentuale ricomprende e non si somma ai dazi precedenti, come invece era previsto inizialmente“.

Secondo stime dell’Ispi, i dazi appena fissati andranno a colpire in particolare i Paesi per cui l’export verso gli Stati Uniti ha un peso economico rilevante, come Germania e Italia.
È quindi lecito aspettarsi un impatto economico maggiore su Berlino e Roma. In uno scenario con dazi al 15%, il PIL tedesco rallenterebbe di quasi lo 0,3%, quello italiano di quasi lo 0,2%, mentre l’effetto sull’economia francese sarebbe più contenuto, intorno allo 0,1%. 

Il deprezzamento del dollaro un dazio aggiuntivo. Stangata da 23 miliardi di euro per l’economia italiana

C’è poi da considerare che il deprezzamento del dollaro “si traduce in una sorta di dazio aggiuntivo, si legge sempre sull’approfondimento di Matteo Villa per l’Ispi.
Le nostre aziende devono scegliere se mantenere invariati i prezzi in dollari abbassando quelli in euro (e dunque i propri ricavi), o rischiare di perdere competitività: “Per esempio, oggi l’onere medio per un esportatore italiano non si limita al dazio medio dell’8% che gli Stati Uniti applicavano a maggio sui beni italiani, ma arriva a un impatto complessivo del 21%.  

Ricordiamoci sempre, come drammaticamente certificato dall’Ocse, che l’Italia è il Paese con i salari più bassi e che crescono meno tra tutti i mercati che aderiscono all’Organizzazione mondiale del commercio.
All’inizio del 2025 i salari reali italiani erano ancora inferiori del 7,5% rispetto al 2021.

I dazi al 15% sulle esportazioni Ue negli Stati Uniti si traducono per l’economia italiana in una stangata da 23 miliardi di euro circa, secondo stime diffuse qualche giorno fa dal Centro Studi Confindustria. Il made in Italy si vedrebbe cancellare un terzo delle sue vendite nel mercato statunitense.

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