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Dati e informazioni digitali, quando la privacy diventa la nostra ricchezza

Roberto Capocelli

In un mondo sempre più interconnesso, il dibattito sul trattamento delle informazioni personali tende a focalizzarsi su questioni come la riservatezza dei dati e il rischio di controllo da parte di entità governative e private. Si tratta, senza dubbio, di questioni estremamente serie e centrali.

Raramente però ci si focalizza su un altro aspetto, altrettanto e forse più importante: quello economico.

E’ di poco fa la notizia che la Securities and Exchange Commission (SEC) americana ha modificato i criteri che regolano il lancio, nel mercato USA, delle offerta pubbliche di acquisto sulle grandi aziende: secondo le nuove regole, a differenza del passato, si potranno mantenere riservate le informazioni finanziarie dell’azienda che si quota in borsa per tutto il tempo in cui la Commissione esamina il caso.

Cosa c’entra questo con la privacy dei nostri dati di cittadini e utenti del web?

C’entra e molto: “ci auguriamo che [con questa riforma, ndr] la prossima storia di successo americana si rivolgerà al nostro mercato pubblico quando avrà bisogno di capitali a basso costo”, ha detto, commendando la nuova normativa, Jay Clayton, il presidente della SEC nominato direttamente da Donald Trump. Clayton ha aggiunto che “la misura mira ad incoraggiare più imprese a considerare la quotazione in borsa così da favorire più scelte per gli investitori, la creazione di nuovi posti di lavoro e una economia più forte negli USA”.

Insomma, gli stessi uomini legati all’Amministrazione Trump, riconoscono pienamente l’alto valore economico insito nella riservatezza dei dati, in questo caso addirittura quelli finanziari delle aziende che chiedono soldi agli investitori: la privacy è ricchezza e valore economico, per le aziende come per gli individui.

Singolare notare che proprio l’Amministrazione Trump aveva ulteriormente ridotto il diritto alla privacy degli utenti permettendo ai fornitori di servizi internet di vendere, senza nemmeno chiedere il consenso, abitudini di navigazione e altri dati utili alla profilazione.

Anche i dati relativi alle nostre finanze, e ai nostri acquisti, non godono di protezioni maggiori visto che, recentemente, Google ha fatto sapere di avere accesso non solo ai dati degli acquisti online, ma anche a quelli relativi alle spese compiute nel mondo reale con carta di credito.

Se riconosciamo il valore economico della privacy, dunque, ci rendiamo facilmente conto dei rischi insiti nel fornire ad aziende private una fotografia troppo trasparente e dettagliata della nostra situazione economica: questa realtà espone i consumatori al rischio di impoverimento.

L’asimmetria informativa, infatti, offre a chi vuole fare profitti delle armi precise per misurare il proprio interlocutore, ottimizzando il proprio interesse.

E’ dalla notte dei tempi che si conosce bene il valore economico delle informazioni sul mercato; non a caso, i legislatori di tutto il mondo hanno reso l’insider trading un crimine.

Proprio gli Stati Uniti sono il sistema-paese che più trae profitto dalla violazione su larga scala della privacy; non tanto perché, come messo in luce dallo “scandalo NSA”, usano internet per spionaggio a livello mondiale, ma piuttosto perché generanno un’economia basata sull’asimmetria informativa e sul controllo dei dati di consumo e commerciali di miliardi di persone. Proprio pochi giorni fa, un’indagine della UE durata anni, aveva accertato che Google sfrutta la propria posizione dominante come motore di ricerca per favorire i propri prodotti, mettendo in atto una vera e propria concorrenza sleale.

Il caso della grande G non è isolato: anni fa, l’antitrust dell’Unione Europea aveva riscontrato lo stesso problema con Microsoft. Ancora, la Commissione europea ha avviato un’indagine nel giugno 2015 per cercare di capire se Amazon abbia utilizzato la sua posizione dominante nel mercato dei libri elettronici per impedire ai rivali di offrire prezzi più bassi.

La lista è lunga, ma negare che esista un problema nell’economia dei dati e delle informazioni digitali non può che essere un atteggiamento miope o in cattiva fede.

I legislatori europei hanno il dovere di difendere la privacy come la ricchezza dei propri cittadini.

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